Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
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Minsky- --------------
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
1992...me ne ero andato da appena un paio d'anni, appena in tempo
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Questo è il vero fallimento dell'Italia.
Via dall'Italia 250 mila giovani in 10 anni Esodo dovuto alla mancanza di lavoro
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Minsky ha scritto:Questo è il vero fallimento dell'Italia.
Via dall'Italia 250 mila giovani in 10 anni Esodo dovuto alla mancanza di lavoro
Sempre stato, dagli anni '60 (Svizzera), '70 (Germania) e fanno benone ad andarsene. E comunque, detto chiaro: ch se ne fotte del fallimento dell'Italia? A me niente. Chi dice che non gli piace il posto in cui sta e poi ci resta mi ha sempre fatto ridere. Non ti va? Se non puoi, o non vuoi (provare a) cambiare le cose vattene, o piantala di smagagnare.
Ah, mia figlia è in Australia da gennaio, non le andavano bene le regole di qui.
Ha fatto bene.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Ma, a me il posto dove sto va benissimo. L'unica cosa di cui mi lamenterei è che per campare ho dovuto girare come una trottola, fino ad avere la nausea per i viaggi. Ma per fortuna adesso riesco ad essere quasi stanziale. In realtà chi emigra cerca semplicemente un posto in cui stabilirsi. È uno stanziale anche lui.Rasputin ha scritto:Minsky ha scritto:Questo è il vero fallimento dell'Italia.
Via dall'Italia 250 mila giovani in 10 anni Esodo dovuto alla mancanza di lavoro
Sempre stato, dagli anni '60 (Svizzera), '70 (Germania) e fanno benone ad andarsene. E comunque, detto chiaro: ch se ne fotte del fallimento dell'Italia? A me niente. Chi dice che non gli piace il posto in cui sta e poi ci resta mi ha sempre fatto ridere. Non ti va? Se non puoi, o non vuoi (provare a) cambiare le cose vattene, o piantala di smagagnare.
Ah, mia figlia è in Australia da gennaio, non le andavano bene le regole di qui.
Ha fatto bene.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Minsky ha scritto:
Ma, a me il posto dove sto va benissimo. L'unica cosa di cui mi lamenterei è che per campare ho dovuto girare come una trottola, fino ad avere la nausea per i viaggi. Ma per fortuna adesso riesco ad essere quasi stanziale. In realtà chi emigra cerca semplicemente un posto in cui stabilirsi. È uno stanziale anche lui.
Io per campare ogni volta che mi sono reso conto di dover stare nella ruota del criceto come dicono qui ho cambiato posto.
Su quelli che emigrano forse hai ragione per la maggioranza, ma in primo luogo occorrerebbe definire da che punto uno va considerato "stanziale", io lo sono forse ora perché comincio ad invecchiare e sopratutto mi sta bene il posto dove sono (dove mai finora ho dovuto girare come una trottola, ci hanno provato ma i tentativi sono miseramente falliti).
Ma prima ho totalizzato - dall'età della ragione, che per me è arrivata a 28 anni suonati, ormai oltre 30 anni fuori da Cialtronia, suddivisi in 3 paesi diversi...e se ci vedo bene mia figlia mi sa che farà meglio, e farà bene.
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Minsky ha scritto:
Fa il paio con il ponte sullo stretto di Messina.
Scommetterei qualcosa che verificando la data della notizia c'era qualche elezione imminente
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Rasputin ha scritto:Minsky ha scritto:
Fa il paio con il ponte sullo stretto di Messina.
Scommetterei qualcosa che verificando la data della notizia c'era qualche elezione imminente
Hai indovinato.
Elezioni che hanno fatto la storia: il 1992
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Minsky ha scritto:Rasputin ha scritto:Minsky ha scritto:
Fa il paio con il ponte sullo stretto di Messina.
Scommetterei qualcosa che verificando la data della notizia c'era qualche elezione imminente
Hai indovinato.
Elezioni che hanno fatto la storia: il 1992
Beh dai, in retrospettiva difficile non era
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Contro Milano
di Michele Masneri
18 Novembre 2019 alle 10:46
Foto LaPresse
Prima c’è stato il lamento di Provenzano. Peppe Provenzano, neo ministro per il Sud (Pd), ha detto a un convegno che insomma, Milano è un problema. Ha detto, Provenzano, a un convegno sul tema “Il Meridione visto da Nord”, periglioso fin dal titolo, che “Milano attrae ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae”. “Tutti decantiamo Milano”, disse Provenzano, “ma non è la prima volta nella storia d’Italia che è un riferimento nazionale. A differenza di un tempo, però, oggi questa città attrae ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae”. E poi ancora: “Intorno ad essa si è scavato un fossato: la sua centralità, importanza, modernità e la sua capacità di essere protagonista delle relazioni e interconnessioni internazionali non restituisce quasi niente all’Italia. E’ la sfida che dovremo provare a cogliere”. Insomma è uno sfogo in piena regola, un lamento, contro Milano e il suo mito arrembante di questi anni post Expo. Milano la ricca, la internazionale, la smart city, Milano perfino col bel tempo. E che doveva fare, Peppe Provenzano, da Caltanissetta, ministro per il Sud che ormai non ha più neanche il portafoglio del sole: il suo è davvero un lamento, è il Provenzano’s complaint, verso questa città che prende ma non dà, cioè l’accusa che si fa sempre agli amanti che non corrispondono, o agli amici che si vorrebbero un po’ più di amici. Che doveva fare, Peppe Provenzano, il ministro per il Sud, trentasettenne che gli tocca stare a Roma, con due figli piccoli, e magari vorrebbe tanto stare al Bosco Verticale.
Le risposte, da Milano, sono arrivate subito: il sindaco Sala ha spiegato che “Milano restituisce nella misura in cui ci viene chiesto e nella misura in cui veniamo messi in condizione di farlo. Non abbiamo nessun istinto egoistico”. Prendi su e porta a casa. E poi però timide ammissioni: “A oggi è vero che Milano sta un po’ fagocitando tutta la crescita che il nostro paese potrebbe meritare – ha detto Sala –. Ma, se mi chiedete da sindaco di Milano se è giusto, dico di no. Mettendosi nei panni delle imprese straniere, qui si sentono rassicurate perché sanno che il sistema funziona”. Il fatto è che un problema c’è, il problema è che Milano funziona troppo, e Beppe Sala, anzi Beppesala, come il suo profilo Instagram, è parte del problema.
Normalmente i sindaci che vengono mitologizzati o periscono in servizio per mano di burocrazia o squilibrati (Petroselli a Roma, Harvey Milk consigliere comunale a San Francisco), o compiono azioni poi epocali – Rudy Giuliani con la teoria del vetro rotto; altrimenti è difficile che si crei la leggenda in vita. Giuseppe Sala, o come dicevan tutti Beppe, o Beppesala che è il nickname, il nome d’arte, e soprattutto il suo account Instagram, c’è riuscito. Di Milano lui è più che sindaco, è testimonial, grazie a una comunicazione moderna e postmoderna online e offline. Su Instagram, grazie a un guardaroba e a una logistica invidiabile, passa da completini sciistici a felpe con cappello targate Netflix quando c’è da celebrare la vittoria di Milano per le Olimpiadi invernali, alla felpa che richiama Tokyo, uno dei personaggi della serie “Casa di carta”, che va in onda su Netflix e di cui il sindaco è seguace, perché un sindaco di Milano non può non amare le serie. Altri outfit-signifiers di Beppesala sono le calze arcobaleno a significar vicinanza – sacrosanta – col popolo Lgbt; il marsupio, utilizzato in una recente apparizione nella trasmissione di Daria Bignardi in cui la Bignardi lo accusava in sostanza d’esser radical chic e dunque sconnesso dal paese reale (è di nuovo il lamento di Provenzano) e lo camuffava secondo un’idea codificata di tamarraggine metropolitana (marsupio, appunto, e occhiali da sole). Ancora: con maglietta “pensavo fosse amore invece era Milano”; a torso nudo ma *ironico*, con birra marca Malnatt, che va ai carcerati; con Raffaella Carrà; con un libro di Philip Roth, con Papa Francesco, con mug “Tiremm innanz”. Con Jovanotti. Con Ghali. Col milanese imbruttito.
In generale l’Instagram – un bell’Instagram – di Beppesala è astuto e aspirazionale, mostra la vita di un signore felice, in belle case, una bellissima fidanzata (Chiara Bazoli), libri interessanti, vasche da bagno d’epoca. In generale pare l’Instagram di un privato cittadino, più che di un amministratore, e in questo c’è il successo e la contemporaneità. La privatizzazione del pubblico, con gli outfit, con le foto in vacanza, Beppesala fa cose, è insomma – apriti cielo – la stessa di un Matteo Salvini, ovviamente depurata dalla volgarità, spurgata dai mojitini, ma sempre di corpi, talvolta al sole si tratta. Ed è molto diversa da quella di altri sindaci: distantissima dall’Instagram di Virginia Raggi, per esempio, ansiogeno e basico come direbbero a Milano, ma più da sindaco, e dunque forse “antico”, fatto di cartelli “Nuovi bus a metano”; “Centro off limits agli autobus turistici”, scritte cubitali gialle di impegni poi quasi mai mantenuti, “Rinasce deposito Atac San Paolo”, “Roma avanti nel turismo di lusso”, compattatori di bottiglie di plastica, in una valanga di foto anche cromaticamente incoerenti (ma la Raggi ha 250 mila follower, il doppio di Beppesala).
Anche offline la comunicazione di Beppesala è efficiente, giovane, top. Non sbaglia un colpo: incontra e capta tutte le manifestazioni di figaggine varia – appena Mahmood vince Sanremo, lui se lo accaparra subito: “Unico cantautore che si ricordi a essere stato intervistato da un sindaco di Milano” strilla subito l’ufficio stampa collettivo della città-stato, una delle forze della Milano di oggi, un centro di positività che dirama e irraggia il resto del paese e il mondo intero di good news milanesi.
Beppesala ha incontrato in primavera il cantante in un evento già leggendario nella costruzione del mito della nuova Milano: “Per una volta non sarò io l’intervistato – ha detto – ma chiederò a lui di parlarmi di come vive Milano e di cosa può fare la nostra città per i giovani”. Beppesala intervista anche Marracash, altro rapper, altro segmento della Milano inclusiva e partecipata. Poi Ghali, poi Jovanotti. Beppesala partecipa a tutti i gay pride, a tutte le manifestazioni, per la pace, per la Segre, le sagre, e i milanesi si fanno il selfie con Beppesala. Top.
Da Roma ha traslocato Sky, alla periferia coreana di Rogoredo, e poi Netflix, che non ha una sede ma è come se l’avesse: oltre a vestire il sindaco veste
la fermata della metro di porta Venezia, col suo arcobaleno,
che doveva essere transitorio invece rimarrà (e a Roma, invece,
rimane solo ’a Rai, e ’a Raggi)
Ma il Beppesala beach party definitivo è stato quando ha distribuito borracce d’acqua naturalmente “del sindaco” ai ragazzi delle elementari e medie. A metà settembre si è dotato di contenitori di alluminio e insieme al cantante (quanti cantanti) Marco Mengoni si è fatto ritrarre insieme a bambini festanti in pose un po’ nordcoreane. Caption: “Con il mio amico @mengonimarcoofficial a consegnare borracce #amomilano #plasticfree” (e pazienza se qualche professore lamenta che le borracce sono un po’ pericolose e i bambini se le danno in testa, che diventano ricettacoli di germi), l’ufficio stampa collettivo copre tutto il rumore di fondo. A Milano si sta bene. A Milano sono tutti felici.
Qualche volta Beppesala, perché è umano, perde la brocca anche lui, a causa del male oscuro milanese, la übris: così c’è stato il già famoso schiaffo di Avellino, che a Milano si tende a dimenticare, ma tocca qui ricordare, invece, un anno fa, quando Beppesala a un convegno “in” Bicocca, rispondeva all’allora in voga tematica delle chiusure domenicali dei negozi, idea avanzata dall’allora ministro dello Sviluppo economico Di Maio; e Beppesala rispondeva, ovviamente, giustamente, che trattavasi di “follia”. E poi perché i negozi sì, e non i giornali, ad esempio? Ma non sazio del buonsenso, si scatenava in un pensiero un poco razzista: “Se la vogliono fare in provincia di Avellino la facciano, questa chiusura. Ma a Milano è contro il senso comune. Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e 9 milioni di turisti”.
La sparata di Beppesala stupiva per quel riferimento ad Avellino, paese di nascita di Di Maio, che però trova la costituency soprattutto a Pomigliano d’Arco, e il riferimento alla rottura di palle, e ai turisti pure (il turismo a Milano continua a crescere, ha battuto Roma, è cresciuto del 17 per cento anche a settembre). “Mi rende particolarmente orgoglioso”, dice Beppesala.
Ma quello su Avellino era un tipico sbrocco da milanese, toccato oltretutto nel sacro graal del lavurà. “Lavoro guadagno pago pretendo”, era Milano contro il sud tutto intero, a partire da Roma, Franca Valeri contro Alberto Sordi nel “Vedovo”. Avellino era una metonimia, la parte per il tutto (il più illustre avellinese della storia d’Italia è Ciriaco De Mita, oggi 91 anni, già definito da Gianni Agnelli “un intellettuale della Magna Grecia”). Il simmetrico di Beppesala.
De Mita però è un uomo del secolo scorso, Beppesala è l’uomo dei nostri tempi. Beppesala si ricandiderà, Beppesala guiderà il Pd, Beppesala può fare ciò che vuole: forse però non in Italia, perché l’Italia – Provenzano was right – è un’altra cosa. Milano è ormai una città stato, un emirato felice, una bolla. E’ il secolo delle città, e Milano è la città più città di tutte. Lo teorizza lo stesso Beppesala, nel suo libro, “Milano e il secolo delle città” (La nave di Teseo). Lo ha ammesso anche Antonio Calabrò, giornalista e vicepresidente di Assolombarda; nel 2025, secondo una ricerca McKinsey, in 600 città globali il 66 per cento della popolazione del mondo produrrà due terzi del pil mondiale. E se la competizione internazionale già adesso non è più tra nazioni, ma tra grandi aree metropolitane ricche di connessioni, tra “sistemi territoriali integrati”, la “grande Milano”, con la rete di relazioni e di flussi di persone, idee e affari “nel raggio di cento chilometri”, ha tutte le caratteristiche per giocare un ruolo di primo piano. Anche “in termini di smart city, di economia circolare e civile, di quel green new deal caro anche alla Commissione Ue”.
E però il Guardian, forse eterodiretto da Peppe Provenzano: “Questo posto è cambiato enormemente negli ultimi anni. E’ molto più internazionale”, fa dire a un Pierluigi Dialuce, giovane economista émigré romano a Milano, intervistato dal giornale inglese. “Ci sono stati così tanti investimenti e c’è così tanta cultura. Roba che non trovi in altre parti d’Italia. Il milanese non esiste più. Milano è fatta da professionisti che sono venuti a vivere qui perché qui ci sono opportunità che non ci sono lì da dove vengono. Questi sono il meglio che l’Italia offre. E’ una specie di selezione naturale, che sta creando una comunità che è molto più europea come mentalità. Milano non è l’Italia”, dice Dialuce, commentando un sondaggio Eumetra dell’anno scorso, secondo cui l’85 per cento dei milanesi non sceglierebbe un’altra città in cui vivere. Questa quota aumenta fino al 90 per cento tra i più giovani, in particolare tra i 18-24enni (95 per cento) e tra i 25-34enni (91 per cento). Città stato, città bolla, con gioventù coreana, che sfila per il suo sindaco.
Il titolo del pezzo del Guardian è: “Come le megacittà d’Europa hanno rubato la ricchezza del continente”. La tesi è affascinante ed è totally Provenzano: sempre più persone si concentrano in luoghi urbani iperqualificati, che a loro volta producono richiesta per un certo tipo di beni e servizi ad alto valore aggiunto. Diventando sempre più attrattive, risucchiano quello che c’è intorno. E’ anche un po’ la tesi di Enrico Moretti, il nostro economista di Stanford, che teorizza i cluster: luoghi come le abbazie benedettine nel medioevo, con tutti i talenti concentrati (e intorno il deserto).
Milano ha l’horror vacui e si prende tutto: è appena finita Bookcity, la settimana del libro, ma poi c’è piano city, e calcio city, e la settimana del mobile e della moda, e la photo week e la game week e digital week e la art week. Non tutte sullo stesso livello eccelso, ma comunque nulla sfugge all’idrovora milanese, il salone del libro tenta di resistere, le Olimpiadi non ce l’hanno fatta. Milano è un Dyson. Aspira tutto quello che c’è intorno: anche a livello giudiziario: la procura guidata da Francesco Greco ha appena aperto un’inchiesta su Taranto (più lontana di Avellino), non perché vi sia ipotesi di reato, ha precisato, ma perché c’è un interesse pubblico a difendere l’occupazione e l’economia. Insomma, Milano investita di competenza anche morale-giuridica sul resto d’Italia.
Nella città-stato a difendere occupazione ed economia ci pensano i milanesi, invece: albergatori e tassisti, baristi e Airbnb, finanzieri e architetti. I prezzi stanno diventando una cosa seria. Arrivare, nella città-stato, a volte è difficile (i treni veloci da Roma costano anche 90 euro a tariffa piena). Scapparne a volte impossibile, quelli del weekend vanno prenotati con anticipo. Rimanervi, pestilenziale. In questi giorni di Bookcity – ma le settimane in cui non c’è qualcosa sono ormai pochissime – impossibile trovare un Airbnb sotto i 120 euro. Per chi ha fatto il grande passo, e decide di stabilirvisi, millecinque è il prezzo per l’oggetto dei desideri, il “bilo”. Le agenzie immobiliari lo sanno e sfornano letteratura e branding e acronimi, “zona Fondazione Prada”, “Nolo”, Naba, i racconti di chi cerca casa in questi anni di trionfo milanese sono angoscianti, devi andare coi soldi in mano, altro che coeur in man.
In generale l’Instagram di Beppesala è astuto e aspirazionale,
mostra la vita di un signore felice, in belle case, una bellissima fidanzata (Chiara Bazoli), libri interessanti. In generale pare l’Instagram
di un privato cittadino, più che di un amministratore,
e in questo c’è il successo e la contemporaneità
Micidiali periferie con microclimi lagunari sono vendute a 4/5 mila al metro, famigerati scali ferroviari vengono sottoposti a biechi ripristini da parte di primarie archistar mondiali ad attirare incauti forestieri in rigenerazioni urbane velocissime. Chi ha casa se la affitta su Airbnb nelle innumerevoli week e va a stare da amici. C’è un problema di spazio, fisico e metafisico, come ti raccontano gli imprenditori che tentano di aprire a Milano. A parte gli affitti terribili, bisogna ormai strapagare le maestranze; si studiano soluzioni, grazie anche o per colpa delle Frecce e della Tav che ha compiuto in questi anni il miracolo di Milano, agendo come vaso comunicante ha portato tutti dove si sta meglio.
Solo che ora non c’è più posto: la Lombardia, prima dell’Italia, sta facendo i conti con questa espansione quasi-tumorale; le città intorno sono polverizzate e risucchiate dal Dyson di Beppesala. Le più grosse stanno in campana. In tanti fanno il loro commuting da Brescia e Torino, belle città che non sono Milano (ma le case costano un terzo) e che lottano per non diventare sue periferie. La prima si pone come ben amministrato snodo verso l’oriente e verso il manifatturiero, collegata con l’unica autostrada business class d’Italia, la A35 o Brebemi. Gli imprenditori dell’acciaio bresciani vi sfrecciano verso Milano che considerano come loro piazza terziaria, ci sono gli avvocati, c’è l’aeroporto. Se non hai la macchina c’è il Frecciarossa, 36 minuti, 26 euro in classe basica. Chi non li ha prende il nigger train o il giargia, termini poco carini per indicare i regionali (“Ho preso il nigger delle 22.20”. “Sei matto”, è un dialogo frequente). Poi Torino, miseria e nobiltà, banche (grattacielo Intesa), OGR, derubata delle sue Olimpiadi, orfana della Fiat, un po’ Detroit. Tanti ci si trasferiscono per non morire d’affitto. Sessanta minuti di freccia, 36 euro.
Il troppopieno milanese preoccupa non solo Provenzano ma anche i milanesi intelligenti. Stefano Boeri, archistar identitaria, figlio della Cini, autore del Bosco verticale, patron della Triennale, studia con interesse che sta succedendo nel resto d’Italia; ha antenne nelle colonie. Ha un suo giovane seguace come assessore alla Cultura a Firenze, e fa accordi perfino col Maxxi a Roma. “Una città così interessante”, sibila qualcuno, sinceramente interessato, alla capitale, tipo Elon Musk che vuole andare a colonizzare Marte. Magari c’è ossigeno.
Nell’èra delle serie tv e di Instagram, nell’èra di Milano, Roma è stata tagliata fuori anche come fabbrica dei sogni; certo rimane il Papa, ma tanto Milano ha il suo cardinale. E da Roma ha traslocato Sky, alla periferia coreana di Rogoredo, e poi Netflix, che non ha una sede ma è come se l’avesse: oltre a vestire il sindaco veste la fermata della metro di porta Venezia, col suo arcobaleno, che doveva essere transitorio invece rimarrà (e a Roma, invece, rimane solo ‘a Rai, e ‘a Raggi, con le metropolitane stecchite). Netflix, l’emittente californiana simbolo dei tempi, delle serie che non sono più i telefilm, non c’è ma è come se ci fosse; la riprova è che la magistratura (di Milano) ha aperto un’inchiesta, per qualche presunto impiccio, e se lo dice la magistratura esisti.
Nei giorni scorsi una polemichetta istruttiva, su Twitter, tra giornalisti milanesi giovani, e un interessante cortocircuito sulla nuova Milano: sull’uso di Myss Keta come testimonial per l’ennesima serie, di Netflix. Il fatto è che Netflix per lanciare la seconda stagione della serie “The End of the F***ing World”, fa un promo con dentro Myss Keta. Uno diceva che il resto del paese chissà se avrebbe capito. Forse era una roba veramente troppo local. “Ma quello che va bene a Milano va bene per l’Italia”, rispondeva l’altro. Per chi sta a Pescara, o a Vasto, e comunque fuori dalla città stato, Myss Keta è un interessante “progetto” (tutto a Milano è un progetto) di performer-cantante con testi sociologici-urticanti e nata nel 2013 con singoli abbastanza geniali e molto underground che cercavano di centrare la Milano di quegli anni: una donnona postmoderna un po’ swag, che canta, a volto coperto, canzoni come “Milano sushi e coca” (“Dammi il tuo nigiri / mi piace come tiri”; “mi faccio un tempura / che notte da paura / bamba soldi e sesso / la strada di successo”).
Uno dei suoi singoli più celebri, “Le ragazze di Porta Venezia”, lanciato proprio nei giorni dell’Expo, mostrava questa gang di ragazze a spasso appunto nel quartiere milanese tra rapine, droga, e sfottò-omaggio a divinità locali – le ragazze si chiamavano Miuccia Panda, Donatella, la Prada, la Cha-Cha e la Iban. Adesso, tre anni dopo, è uscita una nuova versione di queste ragazze di Porta Venezia, depurata dai riferimenti alla coca e ai ribellismi, ripulita e sanificata. Nel quartiere brandizzato Netflix, Myss Keta e le sue ragazze sono diventate “Un inno a vivere senza vergogna, senza farsi influenzare da nessuno. Un manifesto per tutte le persone che hanno il coraggio di essere se stesse, indipendentemente dai giudizi e dai pregiudizi degli altri”. La moderna femminilità è un altro aspetto che fiorisce nella città stato e che probabilmente non sarebbe possibile fuori, cioè in Italia. Si narra anche di feste a tema in cui giovani intellettuali si riuniscono per abbattere a mazzate la pignatta del patriarcato. Nel frattempo Myss Keta è ormai completamente istituzionalizzata, messa a reddito. Beppesalizzata. Da fenomeno underground che denunciava la Milano arrembante della coca e del nuovo rampantismo, è ormai inglobata nel sistema (e Beppesala compare in un video con lei, in cui il sindaco fa una specie di mago).
Ciò che va bene a Milano va bene per l’Italia. La città stato è iperconnessa, ma sconnessa dal resto d’Italia. La città stato è arrogante. Genera isteria nel resto d’Italia. Il Provenzano’s complaint è sgangherato ma comprensibile: il Paese, è chiaro, è andato. Ilva, Mose, Alitalia, Roma Capitale: dove ti giri c’è lo sfacelo. In queste condizioni, Milano potrebbe essere più carina, invece bullizza tutti gli altri: l’aeroporto di Linate è stato ristrutturato e riaperto in tre mesi meno un giorno, in anticipo sui tempi previsti; è stato dotato pure di “riconoscimento facciale” (addio metal detector, addio primato morale di Fiumicino, l’unica cosa che funziona a Roma). Musei e ospedali e biblioteche verticali e orizzontali e vegetali aprono ogni giorno. Nasce lo Human Technopole, centro di ricerca farmaceutica sul luogo sacro in cui sorse il rito primigenio fondante della nuova Milano, l’Expo 2015. Ora è diventato Mind, il Milano Innovation District: “Questa è la nuova casa per le scienze della vita” ha detto il presidente di Human Technopole, Marco Simoni. E il premier Conte, inaugurandolo: “Milano è all’avanguardia”. Ma ha poi assicurato che quel luogo sarà “sempre aperto” al “paese”. Grazie, gentilissimi.
Dev’essere questo bullismo, perché di bullismo si tratta, ad aver scatenato Provenzano. C’è da capirlo. Del resto i milanesi simpatici non son stati mai. Sono come i tedeschi in Europa, tendono a strafare. Col ritorno della grande Milano è nata anche una nuova genia, il bauscia 2.0, figura che si credeva scomparsa con la scomparsa di una certa cinematografia, il “cumenda”, che può essere Guido Nicheli in “Vacanze di Natale”, Massimo Boldi in “Yuppies”, o il commendator Fenoglio nel “Vedovo”, o il Bibi nel “Sorpasso”), insomma il milanese non simpatico che parla solo di soldi vantandosi dei suoi affari. In più, una certa mancanza di ironia, la tendenza a prendersi terribilmente sul serio, una specie di arroganza che tutti constatiamo in chi si trasferisce a Milano (Milano fa qualcosa alle persone, lo sappiamo tutti). Abituato all’assenza di sfottò, il milanese è agitato, performante, mai domo. Il nuovo bauscia naturalmente non si vanta delle conquiste femminili né avrebbe la Porsche o la Mercedes, è ecologico, femminista, con la sua borraccetta e gli airpods perenni che gli pendono dagli orecchi come gioielli di un faraone. Controlla le luci e le caption del suo Instagram. Ti parla del suo progetto, della sua idea, della sua startup. E’ elegante, vezzoso, pluriaccessoriato, forse perché sa che deve mantenere in vita gli immani commerci cittadini che reggono la città stato; tutto è ammesso a Milano tranne la frugalità.“Il milanese non esiste più. Milano è fatta da professionisti
che sono venuti a vivere qui perché qui ci sono opportunità
che non ci sono lì da dove vengono. E’ una specie di selezione naturale,
che sta creando una comunità che è molto più europea come mentalità. Milano non è l’Italia” (Pierluigi Dialuce)
È e rimane infatti una città di commerci, più che di industria, di qui un’eleganza e una mentalità da vetrinisti – il vetrinista, nobile professione; Giorgio Armani faceva le vetrine alla Rinascente, alle vetrine di Fiorucci in piazza Duomo ci si andava in pellegrinaggio; e uno dei miti fondativi di Milano, il commendator Bocconi, aveva il mall con le meglio vetrine di Milano e dunque d’Italia. Il gusto vetrinistico ha a che fare con le miniature e col presepe (presepi di pane, biscotti, tortellini, cravatte, cioccolatini; le disfide tra pasticcerie, le uova di pasqua e i fiocchetti. Un genere in cui Milano è maestra. Di qui lo strano e pervasivo feeling tra Milano e Napoli; Rizzoli che si trasferisce a Ischia; Berlusconi e Apicella, il culto dei milanesi per la napoletanità). L’estetica milanese non è dunque né da interno né da esterno, è un trionfo di usci, giardini, show room, insomma né dentro né fuori. In vetrina. E del resto il rito centrale della milanesità, il salone del Mobile, è trionfo appunto della vetrina, sia in senso metaforico, “vetrina dell’industria del settore”, per la fiera, sia proprio vetrina di negozio, per tutti i prosecchini e gli eventini cui le folle accorrono nella girandola del fuorisalone. Il culto delle merci si riverbera anche sul trionfo del calembour commerciante, nonsolopane, paninogiusto, pastamadre, il fornaio, el forner (quante panetterie, in una città di persone magrissime e fit che si sparerebbero pur di non ingerire carboidrati. Il trionfo del lievito non si spiega, eppure è ossessione cittadina almeno dal Seicento manzoniano, e ha incrociato in pieno la moda americana del baking, così è tutto un trafficare di paste madri e di semi rari e farri pregiati); e poi l’orgoglio della ferramenta, e l’uniforme per domestici, in un turbinio di cambi di insegna – la modernità di Milano sta anche nel cambiare velocissimo d’esercizi commerciali, quello che andava bene sei mesi fa è già completamente out. Tenersi informatissimi. Chi si ferma è perduto.
Forse questa attitudine a cambiare, insieme a ciò che deve cambiare per sopravvivere, la moda, portano quel gusto di prendere serissimamente tutte le manie e i trend del momento. Fare sempre tutti insieme la stessa cosa, tutti a vedere la nuova galleria di Massimo De Carlo lo stesso giorno, tutti al Piccolo a vedere lo stesso spettacolo, tutti a villa Necchi Campiglio, poi Louis CK e via a mangiare il poke o “in” fondazione Prada. Chi è nato in provincia riconosce quella sensazione di claustrofobia, insieme al culto dei consumi: Milano ha tutti i ritrovati di una moderna metropoli – trasporti efficienti, raccolta della spazzatura, attrazioni culturali, diversità, avocado toast. Però, una strana sensazione. “Si credono Copenhagen”, ha detto una volta un mio amico, “ma sono a Brescia”. Gli aspetti provinciali sono tutti lì: in più, prendere tutto assolutamente sul serio, che è la loro forza: la città stato, startup city con il suo ufficio stampa integrato tipo Israele. “Ho saputo che sei in città”, ti chiama appunto un ufficio stampa. Forse hanno già installato sistemi di riconoscimento facciale in Fondazione Prada. Quando apre un museo o una mostra sono tutti lì. Vai alla cena e trovi tutti. L’assimilazione avviene per base professionale, il mio progetto, la mia idea, il mio lavoro, e dopo un po’ è contagiosa (e di nuovo la claustrofobia: scordati di scomparire e d’essere lasciato in pace: quello succede nelle capitali). La Nuova Credulità Milanese prevede poi che anche a mostre modeste e a eventi riprovevoli, intellettuali normalmente ferocissimi non alzino il ciglio, terrorizzati forse dalle ritorsioni tribali o forse perché “non si fa”. Il culto di Beppesala, come tutti i culti milanesi, non ammette dubbi ed eresie; chi ne parla male viene molto vituperato (parlare male, in generale, è una cosa pochissimo milanese, considerata una perdita di tempo e dunque di denaro).
Chi non è milanese si adegua. C’è un patto esplicito. Consumi sofisticati e sospensione dell’incredulità. Un mio amico che abita a Milano, storicamente disinteressato all’estetica e ai social, quando lo metto alle strette perché invece da quando sta nella città stato passa ore a cercare la sua caption migliore di Instagram, o è in crisi perché non riesce a trovare delle lenzuola color tortora che si abbinino al pavimento, mi prega di non prenderlo in giro. Già è dura così, dice. Anche i romani, un tempo baldanzosi oppositori della milanesità, son mimetizzati e sono stati assimilati, non c’è più l’ombra dello sdegno di un tempo – “la cosa migliore di Milano è il treno per Roma”. Alcuni sono addirittura inseriti nei gangli della nuova Milano: soprattutto femmine come Lorenza Baroncelli, boss della Triennale; Irene Graziosi, autrice e agitatrice culturale e instagrammatica che presidia sui media della città-stato il prezioso segmento delle giovani donne. Spiega la gioventù milanese e dunque italiana insieme alla instagrammer baby Sofia Viscardi (sono celebrità a Milano prese molto sul serio, fuori chissà). Graziosi assomiglia molto peraltro a Pilar Fogliati, la ragazza romana che imita i vari accenti.
Abituato all’assenza di sfottò, il milanese è agitato, performante, mai domo. Il nuovo bauscia è ecologico, femminista, con la sua borraccetta
e gli airpods perenni che gli pendono dagli orecchi come gioielli
di un faraone. Controlla le luci e le caption del suo Instagram.
Ti parla del suo progetto, della sua idea, della sua startup
E poi il cibo, con Felice a Testaccio che ha aperto a Milano e presidia il food insieme al pizzettaro filologico Bonci che si inserisce nella temperie panettiera (ma poi, a contrario, ecco il milanese anzi pavese Max Pezzali a celebrare Roma, ormai simbolo dell’alterità deindustrializzata; nel suo nuovo brano “In questa città” uno sgangherato canto d’amore per Roma tra cinghiali, code ai taxi, e “In questa città c’è qualcosa che non ti fa mai sentire solo”. Insomma Roma come alterità possibile: vado a vivere a Roma è il nuovo vado a vivere in campagna.
E intanto Milano Provincia Capitale: il flusso di notizie in uscita è da Ventennio. Solo good news. Un turbinio di buone pratiche, record, dati positivi, studi entusiasmanti: ogni giorno apre un’università, un Emiro tira su un grattacielo. “Milano, ecco la biblioteca degli alberi: il nuovo mega parco di Milano, titola Milano Today: “Nessun cancello, ma solo verde, alberi, percorsi didattici e sentieri. Ha svelato finalmente il suo volto, sabato mattina, la “Biblioteca degli alberi, il nuovo mega parco di Milano sorto tra piazza Gae Aulenti, via Melchiorre Gioia e il quartiere Isola”. Il mega parco sono novantamila metri quadrati, terza area verde più grande di Milano (che non è proprio un vanto, diciamo). Però il mega parco, ai piedi del Bosco verticale a Porta nuova, rappresenta anche esteticamente la bolla milanese: un’area molto celebrata ma che ricorda paesaggi coreani o rumeni, anche con microclima micidiale, umidità gelida la sera, con grossi corvi che planano tra quei grattacieli da male di vivere e le residue cascine tipo Renato Pozzetto in “Il ragazzo di campagna”.
Valli a verificare, poi, questi novantamila metri quadri. Vai a verificare che sia tutto vero, reale, tutto ciò che Milano si vanta di essere oggi; i manager che incontri agli aperitivi in terrazza e poi vivono nelle stanze a Lambrate con tre coinquilini. Ma già a dire così passi per traditore della Patria. Il patto è talmente forte e pervasivo che ho un po’ paura a scrivere queste cose. La prossima volta, magari all’uscita dalla Centrale quando sfioro la mia carta di credito contact al tornello qualcuno mi rimanderà indietro o degli squadroni dell’Atm mi condurranno in una località segreta e poi mi smembreranno tipo consolato saudita.
Ormai il percepito è reale, cosa conta se questa biblioteca vegetale sarà grande quanto un parchetto. Lo spettacolo deve andare avanti. I giochi d’acqua nella darsena bellissimi. In mezzo alla sospensione dell’incredulità ogni tanto però qualche crepa: durante quell’Halloween milanese in cui tutto è concesso che è il salone del Mobile, è come se l’ombra, l’inconscio cittadino venisse fuori tutto: nei tassì per esempio.
E’ chiaro che i trasporti sono un altro tormentone della Milano Città Stato, città green e inclusiva, città dove abbandonare le auto – tra Area C e poi B e i sensori sparsi ovunque; l’orgoglio trasportistico prevede biglietto a due euro, la Lilla, Linate record, la metropolitana che si apre con la carta di credito, il rinnovato culto del tram tirato a lucido. Però, anche qui, la nemesi: per essere una capitale internazionale ed europea Milano dovrebbe avere Uber, e già qui la stranezza: ma poi i tassisti milanesi sembrano aver introiettato un’italianità riottosa e ‘nu poco levantina, napoletana, un’aggressività, che li porta a essere (apriti cielo) peggiori dei loro colleghi romani. Perché a Milano, dove tutti sono felici e dove i diamanti crescono sotto la Fondazione Prada, ti aspetteresti caramelle al miele e borracce d’acqua del sindaco a bordo. Invece il tassista milanese è leghista, incarognito, e partecipare al grande sabba milanese non lo placa comunque. Arriva con dieci euro di tassametro, e alla tua vaga protesta non avrà l’accidia del romano, bensì la protervia lombarda. “Ah non le va bene? Ne prenda pure un altro”, ti dice, sapendo che dopo averlo aspettato all’ombra di qualche Isozaki o Zaha Hadid inquietante nell’ombra umida serale, per accompagnarti in qualche tragica taverna o Airbnb coi prezzi raddoppiati causa salone, tu cederai al ricatto, e lui, vestito meglio di certo e con una macchina più nuova del collega romano, ti turlupinerà peggio di quello. Pur di non rimanere lì tu cedi e odi Milano e odi anche te stesso perchè pensi male di Milano (è la sera, la sera, che vien fuori l’angoscia di Milano, col troppo cemento, con le umidità, i grattacieli – ma chi ci abiterà mai in tutti quei grattacieli? La faccia che ti devi lavare causa smog, i ristoranti affollati con le vetrine appannate (ristoranti, tanti, di ogni tipo, naturalmente il pesce più fresco d’Italia. Essere poveri a Milano dev’essere una cosa tremenda).
Il tassista milanese sembra aver raccolto su di sé l’ombra, l’inconscio milanese; non può andar tutto bene; ecco allora che il tassì si carica degli spiriti oscuri. Ma anche la stazione centrale è un altro buco nero della nuova Milano: la distesa di africani baldanzosi si offre al passante e lo avvolge come ala di folla; la pericolosità dello scalo è superiore a quella romana: sono già celebri gli stormi di rapinatori zingari che si danno appuntamento per il Salone del mobile, a gruppi di trenta, anche loro attirati da quella kermesse. E poi le statistiche, di dieci giorni fa; per cui Milano è la città italiana con più reati denunciati (7.017 denunce ogni 100 mila abitanti, davanti a Rimini e poi Firenze, Roma non pervenuta). Ma si dirà che i reati si compiono dove i soldi stanno; o che i milanesi son grandi denunciatori. E dunque sulle pagine locali: vasi di fiori che cadono, gattini persi e subito ritrovati, Mahmood in lizza per l’Ambrogino d’oro. Tecnopoli che aprono. Emiri che arrivano. Tutto è depotenziato e soft: solo soft news a Milano. Certo c’è il Corriere, ci sono altri quotidiani e magazine, ma la città stato è fatta di giovani, e dunque è la città stato del giornalismo che non è carta e che è passato a Instagram. La civiltà delle immagini in movimento. Freeda. Le influencer academy. Powered by. “Pensiamo a una collaborazione”. “Mi occupo di contenuti”. Rubriche molto seguite che si chiamano “Appuntini”. Milano fabbrica dei sogni, dunque di Instagram con gli instagrammatori tutti che vengono dalla provincia, le Ferragni, e giù a scendere i Paolo Stella, l’Estetista cinica; i dj-stilisti-influencer come Marcelo Burlon (che ha chiamato il suo marchio “county of Milan”, come contea ma anche come paese). Poi, nella catena alimentare milanese, più in basso, anche tanti mostri, sòla, cialtroni, uffici stampa, pr, organizzatori di eventi e splendide cornici.Il problema è che Milano funziona troppo, e Beppe Sala, anzi Beppesala, come il suo profilo Instagram, è parte del problema
Tutto va bene a Milano ed è attutito in una bolla di rispetto e polveri sottili. Tutto è piccino e attutito e nulla può far davvero paura in questa città stato dagli alti muri. Forse Milano alla fine non ha alcun merito di questo suo nuovo status sovranazionale. Forse era semplicemente lì pronta a sbocciare, in attesa della concatenazione di eventi: 1) l’alta velocità; 2) il cambiamento climatico, che ha reso azzurro il cielo e visibili le architetture magnifiche e meno lugubri i risvegli; anche se la Pianura padana è uno dei posti che si sta riscaldando più velocemente nel mondo: negli ultimi cent’anni, dicono, la temperatura media è cresciuta di altri 2,5 gradi. E diventerà “come il Pakistan, o un deserto africano”, di qui ai prossimi cento; 3) iI secolo in cui si prendono sul serio le stronzate e l’ironia è sospesa. Il discorso sulle serie, i giornalisti delle serie, le serate a guardare le serie. Era come se Milano con la sua attenzione per l’effimero e la sua mancanza di ironia fosse lì pronta a sbocciare per cibo, piante, telefilm. Gli instagram dei trentenni milanesi, nelle loro stanze in affitto a seicento euro al mese, son pieni di raccontini, pisolini, vetrine, piscine (misteriose). Dicono che si scopi comunque poco. Si passa moltissimo tempo su Instagram, del resto. Tutto questo, è ovvio, è detto solo per invidia.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Operai Ilva e Whirlpool a Pietrelcina
Ah, raga, stavolta se davvero questi avranno il lavoro, bisogna credere...
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
L’addio di AstroSamantha è il simbolo dell’incapacità italiana di riconoscere il merito (c’entra pure il governo)
IL CENCELLI DELLO SPAZIO
L’addio di AstroSamantha è il simbolo dell’incapacità italiana di riconoscere il merito (c’entra pure il governo)
L’astronauta Cristoforetti ha lasciato l’Aeronautica pare per un pressing del corpo militare sull’Agenzia spaziale europea a favore di Walter Villadei, che il Conte 1 voleva mandare in missione con i russi (e i soldi italiani). Lei ha fatto bene ad andare a lavorare con l’Esa
03 gennaio 2020
di Flavia Perina
Samantha Cristoforetti ha lasciato ieri l’Aeronautica italiana, un addio formalizzato con una breve cerimonia nella base di Istrana che recide ogni rapporto istituzionale tra l’astronauta e il nostro Paese. AstroSamantha d’ora in poi resiederà in Germania, si preparerà alla prossima missione spaziale con le mostrine dell’Agenzia Spaziale Europea, non vestirà mai più la divisa azzurra: perdiamo non solo una riconosciuta competenza ma una figura che ha ispirato migliaia di ragazze con la sua carriera apparentemente impossibile, donna, pilota, astronauta, record-woman di permanenza nello spazio (199 giorni in orbita, superata solo dalle americane Christina Koch e Peggy Whitson). Perché sia successo è “ufficialmente” un mistero, ma una credibile ricostruzione di Repubblica parla da quarantott’ore di dimissioni firmate per amarezza e ribellione a decisioni non condivise e scarsamente motivate. La storia in due righe: all’ultimo meeting ministeriale europeo di Siviglia, in novembre, l’Italia si sarebbe presentata con un assegno da 2,3 miliardi di euro chiedendo in cambio all’Esa un’occasione di volo non per Samantha ma per un altro astronauta, Walter Villadei. L’Esa ha scelto comunque la Cristoforetti ma lei ha deciso di reagire al mancato sostegno nei suoi confronti. Non mi vogliono? Me ne vado.
C’è senz’altro un aspetto politico in questa vicenda, legato al sistema di relazioni che in Italia governa un po’ tutto, persino la designazione di un astronauta. Gli insider del settore raccontano che Samantha non ci ha mai lavorato molto, è bravissima e convinta che può farsi strada anche da sola (come il verdetto dell’Esa in fondo conferma). Il suo competitor, Villadei, sembra più attrezzato sotto questo punto di vista. I governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno investito moltissimo su di lui, al punto che si favoleggia di un piano del Conte Primo per organizzare una missione congiunta con la Russia completamente finanziata dall’Italia: il protagonista avrebbe dovuto essere proprio Villadei (che si è formato come astronauta a Mosca). Poi saltò tutto per i costi esorbitanti del progetto. Ma Villadei ha ottenuto anche un ruolo non secondario nell’Ufficio Generale per lo Spazio istituito nel 2017 dall’Aeronautica militare, quello che definisce la policy nel settore e presiede alla selezione degli astronauti italiani. Insomma, è un bravissimo pilota – lo sono tutti, a quel livello – ma anche un “investimento protetto” delle catene di comando militari e politiche.
Tuttavia quel che colpisce in questo retroscena – non smentito, nonostante circoli da giorni, e quindi sia senz’altro credibile – è il prezzo altissimo che l’Aeronautica e in generale l’immagine italiana pagano per un pressing che neanche è andato a buon fine, per un’operazione a resa zero. Probabilmente nessuno si aspettava che Samantha Cristoforetti reagisse sbattendo la porta al tentativo di metterla da parte. Forse immaginavano che avrebbe silenziosamente preso atto di una scelta “politica”, semmai ripromettendosi di coltivare meglio le sue relazioni e i suoi rapporti di potere. Invece ha abbandonato il gioco con la nettezza di posizioni che solo una grandissima può permettersi. In un tweet di spiegazione Cristoforetti ha avuto modo di esprimere, con eleganza e senza polemiche, il suo disaccordo con alcune scelte delle forze armate.
Anche questo la rende modello di eccellenza, anomalia assoluta e luccicante nel conformismo che affligge il nostro Paese, ispirazione per tante. Grazie all’Esa la rivedremo a breve nello spazio, avrà una nuova divisa, continuerà a parlarci di impegno, capacità, coraggio, a dimostrarci che si può coltivare un progetto di vita anche senza sottomettersi alla logica delle cordate. E chissà che la sua vicenda – scartata dall’Italia, ripescata dall’Europa – non possa costituire un ammonimento molto pratico per il Sistema Italia, che continua a parlare di merito ma non riesce a coltivarlo neppure al top di una professione ultra-specialistica, dove ci sarebbe solo da guadagnare a promuovere la capacità.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Eh sí, anche in Cialtronia ce ne sono che pecore non sono.
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Hanno uno come settott a fare i conti
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Fanno bene.
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Rasputin ha scritto:
Fanno bene.
Che tassino i porti della Cermania.
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Minsky ha scritto:Rasputin ha scritto:
Fanno bene.
Che tassino i porti della Cermania.
Ma lo sono già, sono già privatizzati. Qui la privatizzazione funziona, mica siamo in Cialtronia
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Mi auto-quoto. È già così.
«Non trovo personale: chiudo il bar». La replica: «Pagata 300 euro per 6 mesi di lavoro»
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Già, il 1992, io ero a naja, e nottetempo il primo ministro Amato mi sgraffignò lo 0,(qualcosa) dal mio conto corrente, dove erano custodite le mie poche sostanze, frutto delle mie stagioni da studente...Rasputin ha scritto:1992...me ne ero andato da appena un paio d'anni, appena in tempo
Questo, se avessimo un po' di onestà intellettuale, e senso delle prospettive, ci dovrebbe far capire che l'Unione Europea, che l'Euro, non hanno nessuna colpa nell'averci fatto sprofondare nell'attuale abisso economico: noi, tecnicamente, eravamo già falliti allora.
Quello che abbiamo fatto è andare, col cappello in mano, a Bruxelles, per chiedere di entrare nel club della moneta unica, così da recuperare un minimo di credibilità finanziaria, e non collassare immediatamente. Ricordo benissimo che in molti, Olandesi per primi, non volevano assolutamente che entrassimo. E come dar loro torto: voi mi mettereste in società con un socio (in partenza) già sommerso di debiti, e che ha già dato ampiamente dimostrazione (in passato) di essere un cialtrone e un mentecatto?
E' facile, è auto assolutorio, è consolante poter dar la colpa di misfatti (al 99,7%) dovuti alla nostra imperizia, alla nostra corruzione, alla nostra evasione, e addossarli a qualche d'un altro. E' una comoda scappatoia per i nostri politici. Lo è anche per i milioni di noi che hanno concorso a creare quello sfascio.
Solo io li vedo degli idraulici, degli imbianchini, dei panettieri che sistematicamente non rilasciano mai una fattura? Solo io li vedo milioni di dipendenti pubblici che non fanno sistematicamente un ca$$o dalla mattina alla sera ed hanno tutto il tempo (e le energie) di fare altri 2/3 lavoretti in nero (magari il mattino in ufficio, al posto di fare il loro dovere)?
I nostri politici non sono i responsabili. I nostri politici sono stati, da sempre, i nostri complici. Ovvero quelli che, sapendo benissimo che cosa stava accadendo, ci hanno sempre retto il sacco.
Mi pare di avervi già raccontato quella storia del Vice Ministro delle Finanze...
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
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Anche questo la rende modello di eccellenza, anomalia assoluta e luccicante nel conformismo che affligge il nostro Paese, ispirazione per tante. Grazie all’Esa la rivedremo a breve nello spazio, avrà una nuova divisa, continuerà a parlarci di impegno, capacità, coraggio, a dimostrarci che si può coltivare un progetto di vita anche senza sottomettersi alla logica delle cordate. E chissà che la sua vicenda – scartata dall’Italia, ripescata dall’Europa – non possa costituire un ammonimento molto pratico per il Sistema Italia, che continua a parlare di merito ma non riesce a coltivarlo neppure al top di una professione ultra-specialistica, dove ci sarebbe solo da guadagnare a promuovere la capacità.
Già... Promuovere la capacità... Come se fosse facile...
Il problema è che c'è sempre qualche nipote di un cardinale, qualche cognato di un sottosegretario da piazzare.
Ricordo che nella mia ditta, squisitamente privata, dovemmo assumere diversi nipoti di sottosegretari, ras locali della politica, in modo da poter ottenere certe grosse commesse dalla Pubblica
La Corte dei Conti ha stimato che l'Italia investe in corruzione molto di più di quanto non investa in innovazione.
E questo spiega quasi tutto.
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LA STORIA DEL VICE MINISTRO ALLE FINANZE
Ho un caro amico, Mauro, che da giovane venne assunto all'IBM Italia. Si trasferì, nel 1970, nella sede di Roma, nella mitica ed omnipotente IBM che in quegli anni era leader assoluto del settore. Il capo per l'Italia e l'Europa Meridionale lo prese a ben volere, ed un giorno gli disse:
- Vieni con me, dobbiamo andare dal (Vice) Ministro delle Finanze. L'Italia sta per appaltare la meccanizzazione della riscossione delle tasse. E' un affare di miliardi di lire.
Parliamo del 1970/1971, un appalto di miliardi era come un appalto di un miliardo di euro di oggi. Si recarono al ministero, raggiunsero l'ufficio del ministro, sbrigati i convenevoli, il Grande Capo Ibm srotolò sulla scrivania del politico un immenso foglio grosso come un lenzuolo, pieno di retteangoli, cilindri, freccie che collegavano le varie figure, e didascalie ...
- Questo (esordì il manager) è il progetto Ibm per l'informatizzazione dell'esazione tributi italiana. Come può vedere, tutte queste Basi Dati sono collegate tra loro usando come chiave il nuovo Codice Fiscale Italiano (era appena uscito). Il sistema è studiato per essere facilmente implementato in futuro, e per fare incroci di dati con altri enti della Pubblica Amministrazione con dati fiscalmente sensibili, tipo il Registro Automobilistico, l'Elenco delle Barche, il Catasto degli Immobili, ed altro ancora...
Il ministro rimase assorto a guardare tutte quelle freccie e rettagoli per un buon quarto d'ora, in assoluto silenzio. Il mio amico e il manager si guardavano tra loro, sperando di aver fatto una buona figura. Alla fine il politico si riebbe dai suoi pensieri e chiese:
- Ma sta' robba funziona...?
- Sì... Certo che funziona signor ministro...
- Beh, allora... non si può fare ...
Ho un caro amico, Mauro, che da giovane venne assunto all'IBM Italia. Si trasferì, nel 1970, nella sede di Roma, nella mitica ed omnipotente IBM che in quegli anni era leader assoluto del settore. Il capo per l'Italia e l'Europa Meridionale lo prese a ben volere, ed un giorno gli disse:
- Vieni con me, dobbiamo andare dal (Vice) Ministro delle Finanze. L'Italia sta per appaltare la meccanizzazione della riscossione delle tasse. E' un affare di miliardi di lire.
Parliamo del 1970/1971, un appalto di miliardi era come un appalto di un miliardo di euro di oggi. Si recarono al ministero, raggiunsero l'ufficio del ministro, sbrigati i convenevoli, il Grande Capo Ibm srotolò sulla scrivania del politico un immenso foglio grosso come un lenzuolo, pieno di retteangoli, cilindri, freccie che collegavano le varie figure, e didascalie ...
- Questo (esordì il manager) è il progetto Ibm per l'informatizzazione dell'esazione tributi italiana. Come può vedere, tutte queste Basi Dati sono collegate tra loro usando come chiave il nuovo Codice Fiscale Italiano (era appena uscito). Il sistema è studiato per essere facilmente implementato in futuro, e per fare incroci di dati con altri enti della Pubblica Amministrazione con dati fiscalmente sensibili, tipo il Registro Automobilistico, l'Elenco delle Barche, il Catasto degli Immobili, ed altro ancora...
Il ministro rimase assorto a guardare tutte quelle freccie e rettagoli per un buon quarto d'ora, in assoluto silenzio. Il mio amico e il manager si guardavano tra loro, sperando di aver fatto una buona figura. Alla fine il politico si riebbe dai suoi pensieri e chiese:
- Ma sta' robba funziona...?
- Sì... Certo che funziona signor ministro...
- Beh, allora... non si può fare ...
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Ma di che ca$$o stiamo parlando Minsky...
Ha totalmente ragione Rusp: il sistema, qui, è questo. Ed è marcio fin nelle midolla. Non ha caso siamo il Paese che ha inventato la Mafia. Quella grande, e tutte quelle piccole, e piccolissime, che ammorbano totalmente la vita di tutti i giorni.
Non si può sconfiggere il sistema, non ha nessun senso combatterlo.
Ha solo senso scansarlo, andandosene al più presto.
Ha totalmente ragione Rusp: il sistema, qui, è questo. Ed è marcio fin nelle midolla. Non ha caso siamo il Paese che ha inventato la Mafia. Quella grande, e tutte quelle piccole, e piccolissime, che ammorbano totalmente la vita di tutti i giorni.
Non si può sconfiggere il sistema, non ha nessun senso combatterlo.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
holubice ha scritto:(...)
Solo io li vedo degli idraulici, degli imbianchini, dei panettieri che sistematicamente non rilasciano mai una fattura? Solo io li vedo milioni di dipendenti pubblici che non fanno sistematicamente un ca$$o dalla mattina alla sera ed hanno tutto il tempo (e le energie) di fare altri 2/3 lavoretti in nero (magari il mattino in ufficio, al posto di fare il loro dovere)?
(...)
E solo io li vedo i bancarottieri miliardari evadere tasse per milioni dirottando i capitali all'estero e le banche fare lo stesso per poi andare a battere cassa dallo Stato minacciando altrimenti licenziamenti ed ulteriori bancarotte?
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Più che di "italopitechi" si dovrebbe parlare di "europitechi".
Bloomberg – La moneta unica europea sta crollando
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Minsky ha scritto:Più che di "italopitechi" si dovrebbe parlare di "europitechi".
Bloomberg – La moneta unica europea sta crollando
Era chiaro.
Da Bloomberg, una analisi dettagliata del nuovo crollo sui mercati della moneta unica. Un insieme di circostanze che unite insieme formano un quadro di un’Europa politicamente nel caos ed economicamente votata al fallimentare modello mercantilistico, con le maggiori economie preda di un inarrestabile rallentamento e incapaci di affrontare le conseguenze della nuova crisi che giunge dalla Cina. Ironia della sorte, la dura legge del mercato tanto osannata dall’ultraliberismo eurista si sta abbattendo sulla moneta unica, che “se due decenni fa era considerata una sfida all’esorbitante privilegio americano, ora si sta rivelando un modello politico profondamente difettoso con un’economia strutturalmente disfunzionale”. A quasi dieci anni di distanza, il “tramonto dell’euro” diventa anche il sottotitolo di Bloomberg.
Ma cosa sto ripetendo io da anni ormai?
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Il processo di federalizzazione invisibile della UE
Il processo di federalizzazione invisibile della UE
Da un thread su Twitter una analisi dell'approccio europeo alla crisi da un punto di vista vicino ai "paesi frugali". L'economista finlandese Tuomas Malinen, dopo aver sinteticamente ricostruito le origini della crisi dell'eurozona secondo la versione europea del ciclo di Frenkel (in Italia già nota da anni grazie alla divulgazione del prof. Bagnai nel suo libro "Il Tramonto dell'euro"), afferma che la crisi attuale ci pone davanti a una scelta che rappresenta il "finale di partita" delle unioni monetarie. O si avanza verso una "federalizzazione" con trasferimenti verso i paesi svantaggiati dall'unione, o l'unione si rompe. Malinen dal suo punto di vista è contrario a questa federalizzazione politicamente pericolosa e condotta in maniera opaca, oltreché economicamente insensata. Gli interessi dei popoli del nord e del sud in definitiva coincidono...
di Tuomas Malinen, 17 luglio 2020
Questo è probabilmente un buon momento per spiegare perché, di recente, sono diventato scettico verso l'UE.
Se la UE non ha appreso la lezione della Brexit, ora il Recovery fund rappresenta un problema ancora più grande, che non ha un senso economico.
Questa è una discussione sulla federalizzazione "invisibile" della UE.
Le unioni monetarie sono creature fragili. Sono tenute insieme dalla sola volontà politica.
Una economia nazionale si sviluppa attraverso un insieme complesso di norme e regole di natura politica, culturale ed economica. In generale, più lunga è la storia di una nazione, più la combinazione è complessa.
Ciò porta a uno sviluppo fortemente eterogeneo della produttività e della competitività tra le nazioni.
La funzione del tasso di cambio è di riflettere e stabilizzare queste differenze tra le nazioni. Quando viene rimosso e sostituito da un'unione monetaria, le differenze economiche rimangono ed è anche probabile che aumentino.
Questo perché quando non esiste un tasso di cambio che possa compensare le differenze nella crescita della produttività e della competitività, la produzione tende a fluire verso i paesi con maggiore produttività / migliore competitività.
Quando le economie più deboli si uniscono a un'unione monetaria, i mercati possono presumere che ciò significhi che esiste un meccanismo di riduzione del rischio di credito. I tassi di interesse del loro debito possono scendere, portando a una convergenza dei tassi di interesse in tutta l’unione.
Purtroppo, i paesi membri più deboli tendono a perdere la produzione a favore dei paesi membri più forti, mentre per loro, le loro imprese e famiglie, diventa più economico indebitarsi.
Quindi, le economie più deboli diventano economicamente ancora più deboli e più indebitate.
Così, quando si verifica uno shock, i flussi di capitale (a debito) fuggono dalle nazioni più deboli. Si verifica uno shock asimmetrico.
I paesi più deboli potrebbero in un primo tempo tentare di colmare il divario causato dal deflusso dei capitali privati aumentando i consumi pubblici e il debito pubblico, ed è ciò che si è verificato nell’eurozona dopo la crisi finanziaria del 2007-2008.
Alla fine gli investitori internazionali iniziano a perdere fiducia nei confronti delle nazioni più deboli che vanno accumulando debiti e i tassi di interesse del debito pubblico iniziano a salire, a volte molto velocemente. Emerge così una crisi del debito.
Come si sistema la situazione? Due sono le scelte possibili.
1) Un paese può uscire dall'unione monetaria ed in parte ristrutturare il proprio debito.
2) L'unione monetaria può essere trasformata in un'unione di trasferimento, dove le economie più forti sostengono economicamente quelle più deboli.
Questo è il "finale di partita" che devono affrontare tutte le unioni valutarie.
O si rompono (e/o creano un meccanismo di uscita) o si trasformano in federazioni.
Ora la UE con la sua unione monetaria si trova in questa fase critica.
Quando sono stati istituiti l'UE, e l'euro, si era convenuto che i paesi non condividessero i loro debiti pubblici.
L'articolo 125 TFUE ha formalizzato questo principio:
"Uno Stato membro (o l’UE) non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro."
Durante la crisi del debito europeo nel 2010-2012, i leader della zona euro hanno dovuto affrontare un dilemma. Come sostenere la Grecia senza violare l'articolo 125?
Per eludere l'articolo, istituirono una sorta di società fittizia, l'EFSF, che emetteva obbligazioni garantite dagli Stati membri e forniva prestiti ai paesi in sofferenza dell'Eurozona (in particolare alla Grecia).
Pertanto, poiché i paesi non si sostenevano finanziariamente a vicenda in maniera diretta, l'articolo 125 non è stato violato, almeno formalmente.
Naturalmente è stato violato in pratica.
Nel 2012 i leader europei hanno creato un meccanismo europeo di stabilità (ESM), che fornisce prestiti ai membri in crisi dell'Eurozona.
Tuttavia, i suoi prestiti sono condizionati, il che significa che i paesi che prendono in prestito dal MES devono applicare riforme strutturali e austerità.
Poi, all'inizio del 2020, è scoppiata la pandemia del coronavirus.
La pandemia ha causato problemi economici in tutti i paesi dell'Eurozona, ma ha colpito più pesantemente gli Stati membri meridionali.
Poiché i paesi del sud sono fortemente indebitati, e supportati dal EFSF, dal MES o dalla BCE, sono più vulnerabili a un tale shock. Se le economie più deboli non fossero in grado di sostenere lo shock, potrebbero andare in default e lasciare l'euro.
Ciò potrebbe portare alla frattura della zona euro e causare ingenti perdite alle banche tedesche e francesi, che hanno effettuato prestiti ai paesi del sud utilizzando pratiche commerciali aggressive (in particolare all’Italia).
Quindi, non c'è da meravigliarsi che i leader di Germania e Francia siano stati presi dal panico. Non solo potrebbe crollare l'euro, ma anche le loro banche. Tutto questo doveva essere fermato.
Ma c'era un problema: il TFUE.
Il TFUE limita strettamente il modo in cui la UE può utilizzare il proprio bilancio (articolo 310) e come può distribuire i fondi (articolo 125).
Nel panico, tedeschi e francesi hanno deciso di aggirare queste regole reciprocamente concordate.
Hanno proposto di istituire un fondo in cui la UE dovrebbe prendere in prestito dei capitali dai mercati e concedere sovvenzioni ai paesi membri, con le quote maggiori destinate ad Italia e Spagna.
Mentre l'UE può prendere in prestito e fare prestiti, non può prendere in prestito e distribuire fondi attraverso il suo bilancio.
È anche illegale concedere sovvenzioni (i trasferimenti sono vietati dall'articolo 125), motivo per cui il fondo non deve essere chiamato con il suo vero nome, "fondo di salvataggio", ma con nomi non controversi come "fondo di investimento" o Recovery fund.
Il fatto è che i leader della UE ci stanno mentendo. Il fondo non porterà a una ripresa in Europa, poiché è troppo piccolo e la crisi è globale
Il fondo semplicemente istituirà, illegalmente, un'unione di trasferimento e ci spingerà in una federazione, e questo senza il consenso del popolo.
Credo fermamente che le istituzioni debbano essere al servizio dei popoli.
Quando la UE ha deciso di mettersi al servizio delle banche tedesche e francesi e di estorcere la sovranità sul bilancio ai suoi Stati membri, ha perso la sua giustificazione.
La UE ci mette davanti a una scelta.
O accettiamo il “traguardo" e ci avviamo verso la piena federalizzazione dell'Europa perdendo la nostra indipendenza, oppure rischiamo la rottura dell'Unione.
In Europa il potere concentrato ha una storia estremamente brutta. Non vi sono garanzie che i poteri che in futuro domineranno l'UE non ci porteranno sulla stessa strada.
Dal punto di vista economico l'Europa federale non avrebbe senso e i paesi nordici perderebbero i loro tanto apprezzati stati assistenziali.
Questo è il motivo per cui noi, popoli di Europa, dobbiamo rifiutare l'invito alla federalizzazione dell'UE, rifiutando il Recovery fund, anche se questo rischia di distruggere l'intera Unione.
Dobbiamo avere istituzioni che siano al nostro servizio, non dell'élite, e se questo porta allo smantellamento di istituzioni disfunzionali come la UE, così sia.
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Minsky ha scritto:
Azzz...che curriculum, questa qui mi sa che ha anche un cazzo di 20 centimetri
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Rasputin ha scritto:
Azzz...che curriculum, questa qui mi sa che ha anche un cazzo di 20 centimetri
22.
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Minsky ha scritto:Rasputin ha scritto:
Azzz...che curriculum, questa qui mi sa che ha anche un cazzo di 20 centimetri
22.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Recovery Fund, Marcotti: “per restituirlo saranno depredati i risparmi degli italiani”
Recovery Fund, Marcotti: “per restituirlo saranno depredati i risparmi degli italiani”
Violetta Silvestri 10 Ottobre 2020 - 10:11
Recovery Fund in primo piano nell’intervento di Marcotti a Money.it: come farà l’Italia a restituire il prestito? L’economista prova a dare una risposta.
La vera domanda sul Recovery Fund non è come spenderà l’Italia i miliardi di euro previsti. Piuttosto, occorre sottolineare come farà il nostro Paese a restituire i soldi presi in prestito.
A evidenziare questa riflessione è Giancarlo Marcotti, intervenuto come di consueto a Money.it. L’esperto di finanza è tornato su un argomento ormai protagonista della politica italiana e del progetto di rilancio economico nazionale: le risorse del Recovery Fund.
Il Governo Conte sta puntando tutto su questo storico progetto di aiuti targato UE. Non si può fallire l’obiettivo di investire nella crescita attraverso le risorse di Bruxelles. Ma proprio di fallimento ha parlato Marcotti, insinuando dubbi sulla restituzione dei miliardi dati in prestito.
Come restituire i soldi del Recovery Fund? L’allarme di Marcotti
Giancarlo Marcotti ha ipotizzato scenari pessimi per l’Italia e l’UE nei prossimi mesi. Il nodo è il Recovery Fund e, nello specifico, i miliardi promessi anche al nostro Paese per affrontare la grave crisi economica da pandemia.
Come ormai è noto, dei 209 miliardi di euro spettanti allo Stato italiano, solo poco più di 80 miliardi saranno erogati come sovvenzioni. I restanti 127, invece, verranno prestati e, dunque, dovranno essere restituiti.
Marcotti, quindi, ha sollevato un quesito a suo dire rilevante, molto di più rispetto alla domanda su come si potranno spendere le risorse europee. Questa la riflessione dell’economista:
“Dopo che saranno stati spesi, anzi sperperati, come faremo per restituirli non avendo in tasca neanche un centesimo? Come faremo a restituire quei prestiti? Questa la domanda da porsi, non dove spendiamo i soldi del Recovery Fund, ma come li restituiremo?”
A quel punto, nella previsione di Marcotti, dovrebbe saltare l’Unione Europea. Questo perché l’Italia non sarà mai in grado di restituire i prestiti e quindi ci sono due possibilità: “o vengono rubati i soldi degli italiani nei conti correnti o salta tutto”.
Il Recovery Fund sarà la fine dell’UE
In questo scenario per Marcotti si delinea la fine della stessa Unione Europea.
L’economista azzarda una provocazione: tutte le persone contrarie all’UE dovrebbero tifare per MES e Recovery Fund. Il motivo? Nel momento in cui l’Italia dovrà restituire le somme date in prestito da Bruxelles e non sarà capace di farlo, il sistema Europa fallirà.
L’unico modo di soddisfare le richieste europee, per Marcotti, è “depredare i risparmi degli italiani”, ma a quel punto la popolazione dovrà ribellarsi e l’Unione Europea sarà alla fine.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Minsky ha scritto:...L’economista azzarda una provocazione: tutte le persone contrarie all’UE dovrebbero tifare per MES e Recovery Fund. Il motivo? Nel momento in cui l’Italia dovrà restituire le somme date in prestito da Bruxelles e non sarà capace di farlo, il sistema Europa fallirà.
L’unico modo di soddisfare le richieste europee, per Marcotti, è “depredare i risparmi degli italiani”, ma a quel punto la popolazione dovrà ribellarsi e l’Unione Europea sarà alla fine.
Mahh...
L'Italia ha una ricchezza privata che è 8,5 volte il nostro Debito Pubblico. Come mai...?
Ho un amico che lavora come stagionale. Si è sempre fatto mettere in regola per un tot di giorni che lo facesse dichiarare un pelo sotto la soglia degli incapienti (8.400 euro lordi). In questo modo, quando ad Aprile fa la dichiarazione dei redditi, si riprende indietro 2.000 euro di tasse, ovvero quelle che il suo sostituto di imposta gli aveva versato nella stagione. Ovviamente, appena terminato di lavorare, fa richiesta di disoccupazione stagionale, e sono altri 1.500 euro, spalmati su tutti i mesi invernali. Ma non se ne sta con le mani in mano. Per poter lavorare in nero, ed essere sicuro di non venire beccato dall'ispettorato del lavoro (eventualità remota) se ne va a montare gli stand nelle fiere all'estero. Ovvero si fa un mese intero fuori, torna e sta fermo qualche settimana, riparte una altro mese, e così via.
Il mio amico ha fatto così sin da quanto era ragazzino. Gli è stato spiegato questo sistema da chi era del settore, e l'ha abbracciato con entusiasmo. In pratica, non ha mai pagato un copeco di tasse, niente per gli ospedali che ha usato, niente per l'asfalto che calpesta, niente per il lampione che lo illumina.
Quello che è scandaloso è che si è comperato una casa, che ha quasi finito di pagare. Ha quindi un capitale immobile ben individuabile, che fa a cazzotti con la situazione di indigenza che ha denunciato, tutti gli anni, fin da quando aveva i calzoni corti.
Lasciamo perdere il periodo sincopato che stiamo vivendo. Vi chiedo, prima di chiedere all'infermiera di Amburgo, oppure all'impiegato di Rotterdam, di darci dei suoi denari, non sarebbe il caso, e non sarebbe giusto, andare a confrontare le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 40 anni di certi contribuenti e, qualora ci fossero delle eclatanti incongruenze (come sopra) fare un esproprio seduta stante di quello che (in modo lampante) è stato inqquattato...?
P.S.
Vi ricordate che cosa è successo quando il buon Visco ha reso pubbliche (sul sito del ministero) le nostre dichiarazioni dei redditi degli ultimi 5 anni? Lo sapete che in Norvegia, in Svezia, in Finlandia sono pubbliche da un paio di secoli?
Basterebbe fare un copia-incolla dentro un link, ed avremmo una decina di milioni di finanzieri fai da tè che cingerebbero d'assedio chissà quanti villini, o seconde case (o anche prime case) che non quagliano... Ci avete mai pensato...?
Ehhh... La Terra dei Cachi...
Il giorno in cui in Italia furono consultabili le dichiarazioni dei redditi di tutti
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Lunedì e Martedì non ho lavorato. Oggi ho fatto pochino. Domani, quasi sicuramente sono a casa. E' vero che questo casino l'ho agognato da tanto tempo, ma adesso che ci sono in mezzo, non sono calmo neanche io.
Intanto, per la serie una fazza, una razza...
L’enorme baraccopoli alla periferia di Buenos Aires
"... Dallo scorso luglio a Guernica, una città che si trova poco a sud di Buenos Aires, in Argentina, migliaia di persone hanno iniziato a occupare un terreno inutilizzato, costruendo più di duemila baracche e ripari di fortuna in cui vivere in attesa di trovare di meglio. A causa della pandemia da coronavirus, la povertà nell’area metropolitana della città di Buenos Aires – la più densamente popolata del paese – è aumentata moltissimo e in tantissimi sono rimasti senza lavoro, senza casa e senza aiuti. Secondo le autorità locali, negli ultimi mesi ci sono state almeno 1.800 occupazioni simili a quella di Guernica, dove però è nata la baraccopoli più grande e quella di cui si sta parlando di più.
Guernica è il capoluogo del partido di Presidente Perón, uno dei 135 municipi dell’area metropolitana di Buenos Aires, che prende il nome dall’ex presidente argentino, Juan Domingo Perón. I giornali locali, come il Clarín e la Nacion, hanno scritto che nella baraccopoli sono state contate circa 2.500 famiglie, per lo più di giovani con bambini, che provengono anche da zone al di fuori del municipio. I loro ripari, costruiti in cartone e materiali di recupero, sono distribuiti in diversi lotti, distanziati tra loro, e alcuni di questi sono stati adibiti a servizi comuni, come la mensa. La situazione nell’accampamento è descritta come ordinata e pacifica, ma non ci sono elettricità né reti fognarie e tra le altre cose nei mesi passati il clima è stato spesso freddo e piovoso (in Argentina è appena iniziata la primavera). ..." (CONTINUA NEL LINK)
Intanto, per la serie una fazza, una razza...
L’enorme baraccopoli alla periferia di Buenos Aires
"... Dallo scorso luglio a Guernica, una città che si trova poco a sud di Buenos Aires, in Argentina, migliaia di persone hanno iniziato a occupare un terreno inutilizzato, costruendo più di duemila baracche e ripari di fortuna in cui vivere in attesa di trovare di meglio. A causa della pandemia da coronavirus, la povertà nell’area metropolitana della città di Buenos Aires – la più densamente popolata del paese – è aumentata moltissimo e in tantissimi sono rimasti senza lavoro, senza casa e senza aiuti. Secondo le autorità locali, negli ultimi mesi ci sono state almeno 1.800 occupazioni simili a quella di Guernica, dove però è nata la baraccopoli più grande e quella di cui si sta parlando di più.
Guernica è il capoluogo del partido di Presidente Perón, uno dei 135 municipi dell’area metropolitana di Buenos Aires, che prende il nome dall’ex presidente argentino, Juan Domingo Perón. I giornali locali, come il Clarín e la Nacion, hanno scritto che nella baraccopoli sono state contate circa 2.500 famiglie, per lo più di giovani con bambini, che provengono anche da zone al di fuori del municipio. I loro ripari, costruiti in cartone e materiali di recupero, sono distribuiti in diversi lotti, distanziati tra loro, e alcuni di questi sono stati adibiti a servizi comuni, come la mensa. La situazione nell’accampamento è descritta come ordinata e pacifica, ma non ci sono elettricità né reti fognarie e tra le altre cose nei mesi passati il clima è stato spesso freddo e piovoso (in Argentina è appena iniziata la primavera). ..." (CONTINUA NEL LINK)
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Ma neanche per sogno. Il tuo amico ha fatto benissimo. Innanzi tutto, la casa (una casa per ciascuna famiglia) dovrebbe essere un diritto. Che casa avrà mai il tuo amico? Un superattico? Una villa con piscina? No, sarà un appartamento in zona residenziale o tuttalpiù una villetta a schiera. Cosa vorresti, che avesse pagato le tasse e vissuto sotto un ponte? Con un impiego stagionale, secondo te, uno può permettersi di rischiare di rimanere in braghe di tela, lui e i suoi figli, perché ha pagato le tasse e non ha messo da parte un centesimo? Pagate per cosa? Per alimentare lo spreco e la bella vita di una massa di cialtroni? Poi, non è affatto vero che non abbia pagato tasse. Qualunque cosa tu acquisti, ci paghi il 22% di tasse. Le tasse le ha pagate, e anche più del giusto, secondo me. Magari potessi farlo anch'io, di tenermi almeno una parte dei sudati quattrini, invece di dover foraggiare un esercito di stronzi incapaci e ladri.holubice ha scritto:Minsky ha scritto:...L’economista azzarda una provocazione: tutte le persone contrarie all’UE dovrebbero tifare per MES e Recovery Fund. Il motivo? Nel momento in cui l’Italia dovrà restituire le somme date in prestito da Bruxelles e non sarà capace di farlo, il sistema Europa fallirà.
L’unico modo di soddisfare le richieste europee, per Marcotti, è “depredare i risparmi degli italiani”, ma a quel punto la popolazione dovrà ribellarsi e l’Unione Europea sarà alla fine.
Mahh...
L'Italia ha una ricchezza privata che è 8,5 volte il nostro Debito Pubblico. Come mai...?
Ho un amico che lavora come stagionale. Si è sempre fatto mettere in regola per un tot di giorni che lo facesse dichiarare un pelo sotto la soglia degli incapienti (8.400 euro lordi). In questo modo, quando ad Aprile fa la dichiarazione dei redditi, si riprende indietro 2.000 euro di tasse, ovvero quelle che il suo sostituto di imposta gli aveva versato nella stagione. Ovviamente, appena terminato di lavorare, fa richiesta di disoccupazione stagionale, e sono altri 1.500 euro, spalmati su tutti i mesi invernali. Ma non se ne sta con le mani in mano. Per poter lavorare in nero, ed essere sicuro di non venire beccato dall'ispettorato del lavoro (eventualità remota) se ne va a montare gli stand nelle fiere all'estero. Ovvero si fa un mese intero fuori, torna e sta fermo qualche settimana, riparte una altro mese, e così via.
Il mio amico ha fatto così sin da quanto era ragazzino. Gli è stato spiegato questo sistema da chi era del settore, e l'ha abbracciato con entusiasmo. In pratica, non ha mai pagato un copeco di tasse, niente per gli ospedali che ha usato, niente per l'asfalto che calpesta, niente per il lampione che lo illumina.
Quello che è scandaloso è che si è comperato una casa, che ha quasi finito di pagare. Ha quindi un capitale immobile ben individuabile, che fa a cazzotti con la situazione di indigenza che ha denunciato, tutti gli anni, fin da quando aveva i calzoni corti.
Lasciamo perdere il periodo sincopato che stiamo vivendo. Vi chiedo, prima di chiedere all'infermiera di Amburgo, oppure all'impiegato di Rotterdam, di darci dei suoi denari, non sarebbe il caso, e non sarebbe giusto, andare a confrontare le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 40 anni di certi contribuenti e, qualora ci fossero delle eclatanti incongruenze (come sopra) fare un esproprio seduta stante di quello che (in modo lampante) è stato inqquattato...?
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
holubice ha scritto:Minsky ha scritto:...L’economista azzarda una provocazione: tutte le persone contrarie all’UE dovrebbero tifare per MES e Recovery Fund. Il motivo? Nel momento in cui l’Italia dovrà restituire le somme date in prestito da Bruxelles e non sarà capace di farlo, il sistema Europa fallirà.
L’unico modo di soddisfare le richieste europee, per Marcotti, è “depredare i risparmi degli italiani”, ma a quel punto la popolazione dovrà ribellarsi e l’Unione Europea sarà alla fine.
Mahh...
L'Italia ha una ricchezza privata che è 8,5 volte il nostro Debito Pubblico. Come mai...?
A quanto ammonta la porzione proprietà del vaticazzo?
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Minsky ha scritto:Ma neanche per sogno. Il tuo amico ha fatto benissimo. Innanzi tutto, la casa (una casa per ciascuna famiglia) dovrebbe essere un diritto. Che casa avrà mai il tuo amico? Un superattico? Una villa con piscina? No, sarà un appartamento in zona residenziale o tuttalpiù una villetta a schiera. Cosa vorresti, che avesse pagato le tasse e vissuto sotto un ponte? Con un impiego stagionale, secondo te, uno può permettersi di rischiare di rimanere in braghe di tela, lui e i suoi figli, perché ha pagato le tasse e non ha messo da parte un centesimo? Pagate per cosa? Per alimentare lo spreco e la bella vita di una massa di cialtroni? Poi, non è affatto vero che non abbia pagato tasse. Qualunque cosa tu acquisti, ci paghi il 22% di tasse. Le tasse le ha pagate, e anche più del giusto, secondo me. Magari potessi farlo anch'io, di tenermi almeno una parte dei sudati quattrini, invece di dover foraggiare un esercito di stronzi incapaci e ladri.
Mi chiedo, Vi chiedo...
Quando (a giorni) andremo come Paese a gambe all'aria, chi dovremo biasimare per quanto è successo? Ce la prenderemo con il Recovery Fund che non è arrivato? Ah, quella cosa non si chiama così, ma Next Generation EU, ovvero sono denari stanziati per assicurare un futuro (dignitoso) alle nuove generazioni, non per tappare le nostre falle di bilancio.
Bariamo anche sui termini ...
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
holubice ha scritto:Minsky ha scritto:Ma neanche per sogno. Il tuo amico ha fatto benissimo. Innanzi tutto, la casa (una casa per ciascuna famiglia) dovrebbe essere un diritto. Che casa avrà mai il tuo amico? Un superattico? Una villa con piscina? No, sarà un appartamento in zona residenziale o tuttalpiù una villetta a schiera. Cosa vorresti, che avesse pagato le tasse e vissuto sotto un ponte? Con un impiego stagionale, secondo te, uno può permettersi di rischiare di rimanere in braghe di tela, lui e i suoi figli, perché ha pagato le tasse e non ha messo da parte un centesimo? Pagate per cosa? Per alimentare lo spreco e la bella vita di una massa di cialtroni? Poi, non è affatto vero che non abbia pagato tasse. Qualunque cosa tu acquisti, ci paghi il 22% di tasse. Le tasse le ha pagate, e anche più del giusto, secondo me. Magari potessi farlo anch'io, di tenermi almeno una parte dei sudati quattrini, invece di dover foraggiare un esercito di stronzi incapaci e ladri.
Mi chiedo, Vi chiedo...
Quando (a giorni) andremo come Paese a gambe all'aria, chi dovremo biasimare per quanto è successo? Ce la prenderemo con il Recovery Fund che non è arrivato? Ah, quella cosa non si chiama così, ma Next Generation EU, ovvero sono denari stanziati per assicurare un futuro (dignitoso) alle nuove generazioni, non per tappare le nostre falle di bilancio.
Bariamo anche sui termini ...
Vi dice qualcosa il nome Klaus Schwab?
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Calcolo approssimativo:Rasputin ha scritto:holubice ha scritto:Minsky ha scritto:...L’economista azzarda una provocazione: tutte le persone contrarie all’UE dovrebbero tifare per MES e Recovery Fund. Il motivo? Nel momento in cui l’Italia dovrà restituire le somme date in prestito da Bruxelles e non sarà capace di farlo, il sistema Europa fallirà.
L’unico modo di soddisfare le richieste europee, per Marcotti, è “depredare i risparmi degli italiani”, ma a quel punto la popolazione dovrà ribellarsi e l’Unione Europea sarà alla fine.
Mahh...
L'Italia ha una ricchezza privata che è 8,5 volte il nostro Debito Pubblico. Come mai...?
A quanto ammonta la porzione proprietà del vaticazzo?
- beni immobiliari ≈ 5000 miliardi;
- asset liquidi e investimenti ≈ 2000 miliardi;
- oro 65.000 tonnellate x 52 €/g ≈ 3380 miliardi;
- TOTALE ≈ oltre 10.000 (diecimila) miliardi.
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Minsky ha scritto:Calcolo approssimativo:Rasputin ha scritto:holubice ha scritto:Minsky ha scritto:...L’economista azzarda una provocazione: tutte le persone contrarie all’UE dovrebbero tifare per MES e Recovery Fund. Il motivo? Nel momento in cui l’Italia dovrà restituire le somme date in prestito da Bruxelles e non sarà capace di farlo, il sistema Europa fallirà.
L’unico modo di soddisfare le richieste europee, per Marcotti, è “depredare i risparmi degli italiani”, ma a quel punto la popolazione dovrà ribellarsi e l’Unione Europea sarà alla fine.
Mahh...
L'Italia ha una ricchezza privata che è 8,5 volte il nostro Debito Pubblico. Come mai...?
A quanto ammonta la porzione proprietà del vaticazzo?
- beni immobiliari ≈ 5000 miliardi;
- asset liquidi e investimenti ≈ 2000 miliardi;
- oro 65.000 tonnellate x 52 €/g ≈ 3380 miliardi;
- TOTALE ≈ oltre 10.000 (diecimila) miliardi.
Era una domanda semiretorica a Holu, infatti vedi che non ha risposto
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Eh sí, l'Ispettore Clouseau ormai imperversa ovunque
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Re: Gli Italopitechi e il default prossimo venturo
Il mio non peggiora. Mi viene l'esaurimento nervoso qui se il Grande Capo Raspu mi riprende in continuazione. Che mi vuoi dettare? Non mi scocciare quando scrivo, oh.Rasputin ha scritto:
Eh sí, l'Ispettore Clouseau ormai imperversa ovunque
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