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Una concezione pratica della verità

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Messaggio Da Comune mortale Lun 13 Giu 2011 - 11:35

In questi giorni ho parlato con mamme a cui erano morti, a causa di incidente stradale, i propri figli. Moltissimo dolore. Tantissimo. Capibilissimo. Le mamme ( di cui una m'ha detto sta cosa ) si sono rivolte a delle maghe o cose simili per mettersi in contatto con i propri figli, e la signora in questione m'ha raccontato d'aver ascoltato la voce del figlio e, dopo, di essersi sentita meglio. Molto meglio. Addirittura m'ha detto d'aver sospeso l'uso di determinate gocce per tranquilizzarla e prender sonno.

Personalmente mi sono astenuto dal fare qualsiasi commento in merito. Ho detto tra me e me che se la cosa era riuscita a far star bene la signora allora la cosa andava bene anche per me. Del resto questo non testimonia che l'esperienza religiosa è funzionale al bisogno di arginare il dolore ela sofferenza della vita ?

Cosa ne pensate ?


ps. penso che questa mia scelta di non dir nulla sia in sintonia con una concezione pragmatica della verità, per cui vero è cio che mi serve per certe cose e non qualcosa che è tale indipendentemente dalla funzionalita pratica della verita stessa.
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Messaggio Da Werewolf Lun 13 Giu 2011 - 11:50

ps. penso che questa mia scelta di non dir nulla sia in sintonia con una concezione pragmatica della verità, per cui vero è cio che mi serve per certe cose e non qualcosa che è tale indipendentemente dalla funzionalita pratica della verita stessa.
Protagora? Non condivido quest'idea, nel senso che fa riferimento ad un valore soggettivo(l'utilità non è un valore oggettivo, ciò che è utile per me non è detto lo sia per te) ed in definitiva estremizzandola porta a dire che tutto è contemporaneamente vero e falso.

Personalmente mi sono astenuto dal fare qualsiasi commento in merito. Ho detto tra me e me che se la cosa era riuscita a far star bene la signora allora la cosa andava bene anche per me. Del resto questo non testimonia che l'esperienza religiosa è funzionale al bisogno di arginare il dolore e la sofferenza della vita ?
Che una cosa faccia star bene, non significa che sia vera oggettivamente. Quanto al fatto che l'esperienza religiosa sia anche funzionale al bisogno di arginare il dolore e la sofferenza della vita, mi pare ovvio che sia così: non so immaginare quanto, nei periodi "dei signori della guerra, e dei re, che spadroneggiavano su una terra in tumulto"(cit.) quanto potere lenitivo abbia (avuto) la credenza di un qualcosa oltre la sfera del conoscibile sulla maggioranza della povera gente, che subiva malattie, pestilenze, carestie, distruzioni arbitrarie e uccisioni. Ma il fatto che una favola sia bella o utile, non toglie che sia una favola: e non dobbiamo dimenticare che è in nome di tali favole che moltissime sofferenze sono state inflitte. Il conto è decisamente in negativo.

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Messaggio Da Comune mortale Lun 13 Giu 2011 - 12:48

Protagora? Non condivido quest'idea, nel senso che fa riferimento ad un valore soggettivo(l'utilità non è un valore oggettivo, ciò che è utile per me non è detto lo sia per te) ed in definitiva estremizzandola porta a dire che tutto è contemporaneamente vero e falso.

Sul fatto che l'utilità sia qualcosa di solamente soggettivo avrei i miei dubbi, nel senso che il concetto di utilità è dentro una logica mezzi-fine. Diciamo che per alleviare un dolor di testa ( fine ) è utile pigliarsi determinati farmaci ( mezzo ) quindi abbiamo qui un concetto di utilità all'interno di un concetto di verità dai tratti scientifico-razionali.
Ma questo è altro discorso. Il punto è : dinanzi ad una signora che soffre e che si piglia farmaci il vederla alleviare le proprie sofferenze attraverso delle convinzioni ( il sentire la voce del figlio grazie al medium ) discutibili è o non è desiderabile rispetto ad un discorso che le dica che suo figlio è andato una volta per tutte ?
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Messaggio Da Werewolf Lun 13 Giu 2011 - 12:56

Ma questo è altro discorso. Il punto è : dinanzi ad una signora che soffre e che si piglia farmaci il vederla alleviare le proprie sofferenze attraverso delle convinzioni ( il sentire la voce del figlio grazie al medium ) discutibili è o non è desiderabile rispetto ad un discorso che le dica che suo figlio è andato una volta per tutte ?
Desiderabile per lei, forse. Desiderabile per la società, che deve mantenere dei santoni che millantano capacità che non hanno, e che nel 90% dei casi truffano la gente, per niente.
Sul fatto che l'utilità sia qualcosa di solamente soggettivo avrei i miei dubbi, nel senso che il concetto di utilità è dentro una logica mezzi-fine. Diciamo che per alleviare un dolor di testa ( fine ) è utile pigliarsi determinati farmaci ( mezzo ) quindi abbiamo qui un concetto di utilità all'interno di un concetto di verità dai tratti scientifico-razionali.
Il concetto di utilità è oggettivo(è pura definizione), il fatto è che si piega a tutti i casi singoli e soggettivi. Per te è utile curarti coi farmaci: per l'altro, che è allergico a certi principi attivi(per esempio), non è utile, ma anzi dannoso.

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Messaggio Da Comune mortale Lun 13 Giu 2011 - 13:04

Desiderabile per lei, forse. Desiderabile per la società, che deve mantenere dei santoni che millantano capacità che non hanno, e che nel 90% dei casi truffano la gente, per niente.

Per lei appunto ! Semmai è che si sfruttano queste esigenze delle persone per lucrare!

Il concetto di utilità è oggettivo(è pura definizione), il fatto è che si piega a tutti i casi singoli e soggettivi. Per te è utile curarti coi farmaci: per l'altro, che è allergico a certi principi attivi(per esempio), non è utile, ma anzi dannoso.

Ne esce che ci sono due definizioni di utilità ? Una oggettiva e l'altra soggettiva ? O vuoi dire che proprio perchè oggettiva ( ad un livello formale ) puo essere soggettiva ? Poi che per una persona non è utile pigliarsi certe cose non significa che il concetto di utilità sia soggettivo ma semmai che per quella persona è vero-utile ( il suo essere allergica a certi principi attivi ) prendersi altri principi attivi al fine di star bene. Penso che originariamente il concetto di utilità sia dentro a quello di verità scientifico-razionale!

p.s. sul conectto di verità oggettiva pernso si tratti di una interpretazione radicalmente condivisa!
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Messaggio Da Werewolf Lun 13 Giu 2011 - 13:32

p.s. sul concetto di verità oggettiva penso si tratti di una interpretazione radicalmente condivisa!
Direi di sì. :)


1)Ne esce che ci sono due definizioni di utilità ? Una oggettiva e l'altra soggettiva ? O vuoi dire che proprio perchè oggettiva ( ad un livello formale ) puo essere soggettiva ? Poi che per una persona non è utile pigliarsi certe cose non significa che il concetto di utilità sia soggettivo ma semmai che per quella persona è vero-utile ( il suo essere allergica a certi principi attivi ) prendersi altri principi attivi al fine di star bene. 2 Penso che originariamente il concetto di utilità sia dentro a quello di verità scientifico-razionale!
1 Io ritengo che non sia valida la relazione biunivoca vero=utile, utile=vero. Ci sono un sacco di cose utili che non sono vere ed un sacco di cose vere che non sono utili. Data la definizione generica(intersoggettiva e condivisa quindi, ai fini della nostra discussione, oggettiva) di utile come 'ciò che riesce a migliorare le condizioni di qualcosa', è ovvio che il fatto che una cosa sia utile dipende dalle condizioni di base di quel qualcosa. Ergo, ciò che è utile è soggettivo: dato che la verità deve essere oggettiva, in quanto serve, se vogliamo, come base di partenza per altre affermazioni che devono essere valide per tutti, allora la verità non può identificarsi con ciò che è utile.

2 Nel 90% dei casi, arrivare alla verità è utile, in quanto pone le basi per una modifica della realtà, solitamente in modo vantaggioso, a partire da tale verità scientifico-razionale ottenuta. Sapere che esistono i batteri, mi permette di cominciare a cercare un modo per combatterli e così stare meglio. Ci sono dei casi, rari ma ci sono, in cui la verità non è utile: nel nostro caso, il fatto che sia verità praticamente oggettiva(non ci sono vere motivazioni per ritenere il contrario) che il figlio semplicemente non sia più in essere, in alcun senso, non è utile, ma anzi dannoso per l'equilibrio psicologico della madre, perlomeno nel breve periodo, della madre. Ma questo non significa che difendere come verità oggettiva l'idea che i morti ci siano ancora da qualche parte(e che ci sia gente in grado di contattarli), sia utile e non, invece dannoso per la società. Si ritorna alla definizione: ciò che è utile dipende da per chi è utile, non è un dato oggettivo(cosa che invece deve essere la verità).

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Messaggio Da Paolo Lun 13 Giu 2011 - 13:46

Io concordo con were. Il fatto che funzioni non vuol dire che sia giusta. E' logico che sarebbe quanto meno crudele infierire su quella povera donna che ha perso il figlio. Ma è ugualmente ingiusto farla vivere nella illusione. Poiché nessuno è padrone di decidere per gli altri si deve anche rispettare la sua convinzione. Però la soluzione giusta è quella che viene chiamato supporto psicologico. In tutte le disgrazie vi è la possibilità di offrire un supporto psicologico che, se gestito correttamente, offre gli stessi (anche ben superiori) vantaggi, o meglio effetti, di un inganno che da il medium di turno. Si basa su posizioni scientifiche e non porta le persone a fare un danno a se e altri, facendo credere a cose magiche che non esistono.

L'errore di quella signora lo fa chi la sta seguendo. Le medicine sono, in un caso come questo, un primo aiuto ma poco possono fare nel tempo. Se chi la segue è un professionista serio, la sa indirizzare da chi le può dare un vero aiuto, reale e costruttivo, così come fanno nei centri oncologici meglio organizzati.

Io poi sul fatto che la religione poggi su questo, ho già più volte manifestato molti dubbi. Per me è solo un effetto collaterale del credere, non ne è nè la base nè l'origine.
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Messaggio Da Comune mortale Lun 13 Giu 2011 - 15:43

Penso che non ci sia una concezione oggettiva della verità, ma una concezione creduta, voluta, pensata, di verita come oggettività.

prendi una verità qualsiasi che pensi oggettiva e a ben vedere oggettiva è all'interno di cio che è creduto e voluto come tale. Che 1+1 faccia 2 non è vero perchè è oggettivamente vero ma perchè è creduto, è voluto, come oggettivamente vero perchè utile a determinati scopi matematico operazionali. Idem ad esempio per l'assiomatica di giuseppe peano. eccetera.

ribadisco: l'utilità a ben vederla è intrinseca all'idea di verita come qualcosa di creduto oggettivo.
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Messaggio Da Werewolf Lun 13 Giu 2011 - 15:57

prendi una verità qualsiasi che pensi oggettiva e a ben vedere oggettiva è all'interno di cio che è creduto e voluto come tale. Che 1+1 faccia 2 non è vero perchè è oggettivamente vero ma perchè è creduto, è voluto, come oggettivamente vero perchè utile a determinati scopi matematico operazionali. Idem ad esempio per l'assiomatica di giuseppe peano. eccetera.

ribadisco: l'utilità a ben vederla è intrinseca all'idea di verita come qualcosa di creduto oggettivo.
Credo che tu stia confondendo il fatto che la verità sia relativa ai parametri ed ai concetti che le stanno a monte, con il fatto che la verità all'interno di dati parametri sia oggettiva. Mi spiego meglio: 1+1=2 è vero, dati i concetti di 1 e 2 inseriti in un contesto matematico-algebrico. Sicuramente in altri contesti la cosa non è così, penso alle varie matematiche e geometrie. Ma questo non toglie che, se tu e io stiamo parlando di algebra, è una verità oggettiva che dati i concetti di 1 e di 2 che io e te abbiamo in mente(che li chiamiamo one and two, eis caì duo, un et deux, ecc), i due si relazionano oggettivamente ed indipendentemente da noi due, o da chiunque altro, in quel modo dato quel campo, e a prescindere dall'utilità. Quante volte avrei voluto io forzare i risultati delle operazioni in modo utile per ottenere il risultato richiesto dal problema! Non lo si può fare perché il linguaggio matematico-algebrico è indipendente da chi lo utilizza e quindi oggettivo e, in senso lato 'vero'.

ribadisco: l'utilità a ben vederla è intrinseca all'idea di verita come qualcosa di creduto oggettivo.
Che l'idea di verità sia utile, non ci piove: senza verità oggettive, non avremmo parametri per comprendere quello che ci circonda. Che ciò significhi che sia vero ciò che è utile però, no, perché come detto ciò che è utile lo è sempre in modo relativo al soggetto, mentre la verità, per definizione, deve essere qualcosa di oggettivo.

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Messaggio Da Comune mortale Lun 13 Giu 2011 - 16:12

Credo che tu stia confondendo il fatto che la verità sia relativa ai parametri ed ai concetti che le stanno a monte, con il fatto che la verità all'interno di dati parametri sia oggettiva

Se è oggettiva relativamente ad un contesto logico-simbolico ( originariamento stiamo asserendo che non c'è verità se non all'interno di un linguaggio è questo è quanto di piu pragmatico possa essereci ) allora fuori di quel contesto non c'è oggettività e quindi se ne conclude che la nozione di oggettività è una comoda ipotesi per fare ( utile ) altro.
[quote]



Mi spiego meglio: 1+1=2 è vero, dati i concetti di 1 e 2 inseriti in un contesto matematico-algebrico. Sicuramente in altri contesti la cosa non è così, penso alle varie matematiche e geometrie. Ma questo non toglie che, se tu e io stiamo parlando di algebra, è una verità oggettiva che dati i concetti di 1 e di 2 che io e te abbiamo in mente(che li chiamiamo one and two, eis caì duo, un et deux, ecc), i due si relazionano oggettivamente ed indipendentemente da noi due, o da chiunque altro, in quel modo dato quel campo, e a prescindere dall'utilità. Quante volte avrei voluto io forzare i risultati delle operazioni in modo utile per ottenere il risultato richiesto dal problema! Non lo si può fare perché il linguaggio matematico-algebrico è indipendente da chi lo utilizza e quindi oggettivo e, in senso lato 'vero'.


Dire che 1 e 2 sono veri all'interno di un determinato linguaggio, significa volere che i due segni, o enti, siano o abbiano un certo significato. Dire, ora, che 2 + 1 fa sempre 3 significa qualcosa di vero in un determinato contesto che per questo è vero nel contesto linguistico-simbolico; e la relazione tra i due termini non è oggettiva, o indipendente dal mio o tuo pensiero, proprio perchè io volgio che quando scrivo 1 significhi 1 e quando scrivo 2 idem con patate: alla fine è la mia volontà a voler un certo iter operazional-simbolico all'interno di un certo contesto.

Che l'idea di verità sia utile, non ci piove: senza verità oggettive, non avremmo parametri per comprendere quello che ci circonda. Che ciò significhi che sia vero ciò che è utile però, no, perché come detto ciò che è utile lo è sempre in modo relativo al soggetto, mentre la verità, per definizione, deve essere qualcosa di oggettivo

....oggettivo all'interno di un contesto assiomatico-linguistico cioè per questo obbedisce ad una utilità originaria che a volte sfugge!
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Messaggio Da Werewolf Lun 13 Giu 2011 - 17:04

Se è oggettiva relativamente ad un contesto logico-simbolico ( originariamento stiamo asserendo che non c'è verità se non all'interno di un linguaggio è questo è quanto di piu pragmatico possa essereci ) allora fuori di quel contesto non c'è oggettività e quindi se ne conclude che la nozione di oggettività è una comoda ipotesi per fare ( utile ) altro.
...
Come tutta una serie di altre cose, la verità è una concezione umana, trasmissibile con il linguaggio umano. A prescindere da ciò che riteniamo vero, sta di fatto che l'unico modo per condividerlo è la comunicazione che deve avvenire tramite un linguaggio, che per sua natura è convenzionale. Ma attenzione, perché non è il linguaggio a dover essere vero, ma è il contenuto del linguaggio che deve esserlo concettualmente. Il linguaggio è solo la forma con cui il concetto può essere espresso, ma non c'entra nulla con il concetto, che difatti ne è indipendente. Che io dica 'ascia' o 'axe', sempre di quella cosa sto parlando, ma non è che 'axe' sia più o meno vero di 'ascia'. Difatti, la maggior parte dei problemi di comunicazione(ah, Beckett) deriva dallo scollamento fra parola e concetto.
....oggettivo all'interno di un contesto assiomatico-linguistico cioè per questo obbedisce ad una utilità originaria che a volte sfugge!
Il linguaggio è utile per comunicare i concetti, ma non è quello che deve essere vero, in quanto è solo un codice convenzionale: ma la verità dei concetti e delle loro relazioni è indipendente dal linguaggio con cui vengono espressi. Il concetto che la parola 'uno' veicola, è sempre quello, che tu lo scriva '1' o 'one', ed è vero che per espansione dia vita al concetto di 'due'. Che poi sia utile o meno, è un'altra questione.

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Messaggio Da Muriel Lun 13 Giu 2011 - 17:06

ti devo dire la verità, con tutto quello che si sente di questi tempi, tra vanne marchi e compagnia cantante, mi meraviglia il fatto che ci siano ancora persone così ingenue e deboli da cadere nelle trappole di questi ciarlatani. per quanto il dolore di queste persone possa essere grande, io non mi sento di giustificare questo tipo di superstizioni, visto che siamo nel 2011: è una vergogna il fatto che si lucri sul dolore l'ignoranza della gente, ma è anche ora che le persone si rendano conto che non siamo più nel medioevo, e che la magia non esiste.
e comunque l'effetto placebo può essere un bene in alcuni casi, quando non comporta dei danni collaterali. ma una truffa è sempre una truffa, e come tale non è ammissibile (argomento di cui si è discusso a lungo, per altro, nel thread sulle fantomatiche guarigioni di lourdes).

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Messaggio Da Paolo Lun 13 Giu 2011 - 17:23

La verità è solo ciò che deriva da quanto ci è trasmesso dai nostri sensi. Così come i concetti sono veri solo se derivano dalla realtà. Il resto è fantasia. Che una fantasia possa essere una ipotesi che si rileverà poi vera non prova il fatto che tutte le ipotesi siano vere.

Muriel, ci sono moltissime più persone di quanto tu pensi che credono a vanna marchi, magie, superstizioni, miracoli ecc.. E la questione che sconcerta è che sono anche persone insospettabili. Non solo persone ignoranti o poco colte. Ma anche professionisti, manager, uomini (e donne ovvio) di successo. Qui più che di truffa si tratta di ignoranza. Solo la cultura può far superare queste superstizioni e ammennicoli vari.
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Messaggio Da Muriel Lun 13 Giu 2011 - 17:34

Paolo ha scritto:Qui più che di truffa si tratta di ignoranza.
è truffa perpetrata ai danni di gente ignorante. ma nel mio discorso sostenevo appunto più la necessità di uscire dall'ignoranza che quella di eliminare i lestofanti, visto che i tempi ormai sono abbastanza maturi per staccarsi da credenze popolari nocive ed inutili.

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Messaggio Da Ludwig von Drake Lun 13 Giu 2011 - 19:19

alcune cose paiono utili a breve termine e si rivelano dannose a lungo termine, altre fanno passare il mal di testa e ti rovinano il fegato

___________________
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
Don Chisciotte - Guccini

https://iltronodispade.wordpress.com/
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Messaggio Da Paolo Lun 13 Giu 2011 - 19:32

Sei stato un po' ermetico!
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Messaggio Da Ludwig von Drake Lun 13 Giu 2011 - 20:19

Comune mortale ha scritto:(...) Il punto è : dinanzi ad una signora che soffre e che si piglia farmaci il vederla alleviare le proprie sofferenze attraverso delle convinzioni ( il sentire la voce del figlio grazie al medium ) discutibili è o non è desiderabile rispetto ad un discorso che le dica che suo figlio è andato una volta per tutte ?
Attenzione a ciò che fa passare il mal di testa ma distrugge il fegato.

Più chiaro ora?

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Messaggio Da Paolo Lun 13 Giu 2011 - 20:46

Io sono d'accordo. Cosa suggerisci per curare il mal di testa? Di mal di testa non si muore, però non è un bel vivere. Una terapia è necessaria.
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Messaggio Da Ludwig von Drake Lun 13 Giu 2011 - 21:10

Paolo ha scritto:Io sono d'accordo. Cosa suggerisci per curare il mal di testa? Di mal di testa non si muore, però non è un bel vivere. Una terapia è necessaria.
Non c'è una cura unica per il mal d'animo.

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Messaggio Da Paolo Lun 13 Giu 2011 - 21:23

Mi sembra logico che non ci sia il rimedio assoluto. Però qualcosa si può fare.
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Messaggio Da Muriel Lun 13 Giu 2011 - 22:03

già. ad esempio cominciare a pensare con la propria testa, e di conseguenza uscire dal torpore del dare per scontato che tutto quello che sentiamo sia vero, potrebbe essere un buon inizio.

Muriel
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Messaggio Da Ludwig von Drake Lun 13 Giu 2011 - 22:10

Se conoscessi una soluzione per rimediare al mal d'animo l'avrei già adoperata per me. L'unica cosa da fare è vivere nel senso pieno della parola finché ce la si fa.

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Messaggio Da Paolo Lun 13 Giu 2011 - 22:22

Ritengo che col termine mal d'animo tu intenda la depressione. E la depressione ha delle cause e spesso dei rimedi. Non voglio semplificare troppo un problema molto complesso, però spesso non privo di soluzioni. Io non sarei così pessimista.
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Messaggio Da chef75 Lun 13 Giu 2011 - 23:06

Muriel ha scritto:già. ad esempio cominciare a pensare con la propria testa, e di conseguenza uscire dal torpore del dare per scontato che tutto quello che sentiamo sia vero, potrebbe essere un buon inizio.

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Messaggio Da Muriel Lun 13 Giu 2011 - 23:36

chef75sp ha scritto:
Muriel ha scritto:già. ad esempio cominciare a pensare con la propria testa, e di conseguenza uscire dal torpore del dare per scontato che tutto quello che sentiamo sia vero, potrebbe essere un buon inizio.

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Messaggio Da lupetta Lun 13 Giu 2011 - 23:39

secondo me la "forza" dell'ateismo sta proprio in questi momenti, riuscire a rimanere razionali anche di fronte alla sofferenza.
in generale si pensa alla morte come ad un evento naturale troppo brutto, e il culto dei morti serve per chi rimane in vita, per avere una consolazione, per cercare di alleviare il dolore insopportabile.
la sofferenza poi è soggettiva e, oserei dire, culturale, ci sono infatti delle culture che ritengono la morte come un evento positivo e sono contenti quando qualcuno muore poichè andrà in "paradiso".
altri ancora non badano molto ai morti, per cui non necessitano un contatto con essi.

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Messaggio Da Comune mortale Mar 14 Giu 2011 - 8:36

(...) Ma attenzione, perché non è il linguaggio a dover essere vero, ma è il contenuto del linguaggio che deve esserlo concettualmente. Il linguaggio è solo la forma con cui il concetto può essere espresso, ma non c'entra nulla con il concetto, che difatti ne è indipendente. Che io dica 'ascia' o 'axe', sempre di quella cosa sto parlando, ma non è che 'axe' sia più o meno vero di 'ascia'. Difatti, la maggior parte dei problemi di comunicazione(ah, Beckett) deriva dallo scollamento fra parola e concetto.

Parli di scollamento tra parola e concetto. Tra linguaggio e concetto. Il concetto di ascia è pur sempre qualcosa di linguisticamente inteso, che dovrebbe ( all'interno di una visione ingenuamente ostensivista ) descrivere una verità di fatto che permane così e così al di la del linguaggio. Tuttavia la cosa ascia è descritta oggettivamente dal nostro concetto ? A me sembra una descrizione molto vaga e diafana: a quale ascia ci si riferisce dicendo " ascia " o " axe " ? Nel mondo c'è una marea di asce ! Esempio di come le persone credono di parlare << sempre di quella cosa >> alla quele il concetto si riferisce ( intenzionalità ) ma in realtà è molto arduo stabilire a che cose si stanno riferendo, se non a qualcosa che hanno voluto, creduto, riferirsi all'interno di un assiomatizzazione linguistico-concettuale.


Il concetto che diamo al segno 1 è qualcosa che teniamo fermo, che vogliamo tener fermo ( pragmatismo della verità ) per procedere all'interno d'un seguito operazional simbolico. Il segno, Il grafema " 1 " non è di per sè evidente, non è qualcosa di anapodittico ( che non necessita di altra dimostrazione che di se stesso) per dirla con aristotele, ma appunto necessità del nostro volere, della nostra volontà, del nostro tener fermo che significhi quell' "1 "che sommato a "1" dia "2" : questo alla radice il pragmatismo della verità.Il suo utilitarismo originario. Funzionale.
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Messaggio Da Werewolf Mar 14 Giu 2011 - 9:53

Il concetto che diamo al segno 1 è qualcosa che teniamo fermo, che vogliamo tener fermo ( pragmatismo della verità ) per procedere all'interno d'un seguito operazional simbolico
Il concetto di '1' nasce nella mente prima di disporre di un linguaggio utile per comunicarlo, tanto più che, per fare qualche esempio banale, anche i primati sono in grado di comprenderlo, e nella preistoria possiamo essere sicuri che i concetti numerici, ma anche di altro genere, fossero compresi dall'uomo, anche se non aveva un linguaggio scritto per comunicarlo. Altro esempio, i bambini che non hanno ancora imparato a parlare: possiamo dire che non possiedano già il concetto in testa? Direi di no, visto e considerato che altrimenti non avrebbe nemmeno senso insegnare loro a collegare convenzionalmente il concetto ad un simbolo. Non è, il concetto, qualcosa che segue il linguaggio(a parte in alcuni rari casi), ma qualcosa che sta a monte di esso: il concetto di per se è autosufficiente, mentre il linguaggio senza concetto non lo è. Il linguaggio nasce come utile strumento per comunicare il concetto, questo sì, ma il concetto non nasce come utile o pragmatico, ma solitamente è soltanto frutto di una constatazione, di una percezione.
Es: il bambino vede un blocco di legno, e possiede il concetto di uno, vede un altro blocco di legno uguale e possiede il concetto di due. Il concetto non è utile, è semplicemente il modo naturale con cui la mente compie la comprensione della realtà. Che poi sia per l'uomo un utile frutto di un adattamento evolutivo, è un'altra questione.

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Messaggio Da Comune mortale Mar 14 Giu 2011 - 11:49

ilconcetto di '1' nasce nella mente prima di disporre di un linguaggio utile per comunicarlo, tanto più che, per fare qualche esempio banale, anche i primati sono in grado di comprenderlo, e nella preistoria possiamo essere sicuri che i concetti numerici, ma anche di altro genere, fossero compresi dall'uomo, anche se non aveva un linguaggio scritto per comunicarlo. Altro esempio, i bambini che non hanno ancora imparato a parlare: possiamo dire che non possiedano già il concetto in testa? Direi di no, visto e considerato che altrimenti non avrebbe nemmeno senso insegnare loro a collegare convenzionalmente il concetto ad un simbolo. Non è, il concetto, qualcosa che segue il linguaggio(a parte in alcuni rari casi), ma qualcosa che sta a monte di esso: il concetto di per se è autosufficiente, mentre il linguaggio senza concetto non lo è. Il linguaggio nasce come utile strumento per comunicare il concetto, questo sì, ma il concetto non nasce come utile o pragmatico, ma solitamente è soltanto frutto di una constatazione, di una percezione.

Dici che il concetto è qualcosa che starebbe a monte della coscienza linguistica dello stesso. Bertrand Russel ad esempio nel suo SINTESI FILOSOFICA spiega il saper contare dei bambini come una reazione linguistica al presentarsi in concomitanza d'un certo grefema visto, ad esempio "1" con l'udire un certo suono articolato che è ii nostro dire " uno ". Parla di reazione linguistica e spiega così l'origine dei concetti. Scrivere ( come fai tu ) che i concetti precedono il linguaggio nella mente delle persone e che sono solo il frutto di una constatazione, di una percezione pre-linguistica significa, a mio avviso, sostenere che il bambino sa benissimo, ha un concetto chiaro e distinto del significato del grafema " 1 " ancor prima che qualcuno gli indichi qualche relazione tra il grafema e un suono articolato, tuttavia questa è solo una ipotesi che si contraddice nel momento in cui non spiega perchè quel bambino non possa avere nella testa quando vede o constata il grafema "1" qualche altra cosa e non proprio quella, dal momento che per verificare la cosa è necessario che il bambino al momento del grafema dica per reazione linguistica "uno" .



il bambino vede un blocco di legno, e possiede il concetto di uno, vede un altro blocco di legno uguale e possiede il concetto di due (...)

Allora vede, percepisce, constata, e poi possiede il concetto ? O il concetto ( di uno ) è già presente nella mente ( tipo kant ) e poi sistematizza le cose in base al suo arredo categorico-mentale ? Il pezzo di legno è concepito come UNO ancor prima della constatazione o dopo di essa ? Se è PRIMA allora il bambino nella testa ha qualche idea umbratile di una cosa, una singola cosa, ancor prima che veda le cose ( il pezzo di legno ) e daccapo: come puoi eliminare l'ipotesi contraria e cioè che nella testa del bimbo non ci sia nessun concetto equivalente s el'unico criterio di verifica seria è dato dall'enunciato verbale e comportamentale del dire in presenza del ciocco di legno " uno " ? Se dici che è dopo allora ok, ma allora l'ipotesi delle idee nella mente prima del mondo non sono necessarie ( occam ).
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Messaggio Da Muriel Mar 14 Giu 2011 - 11:54

Comune mortale ha scritto:
Werewolf ha scritto:(...) Ma attenzione, perché non è il linguaggio a dover essere vero, ma è il contenuto del linguaggio che deve esserlo concettualmente. Il linguaggio è solo la forma con cui il concetto può essere espresso, ma non c'entra nulla con il concetto, che difatti ne è indipendente. Che io dica 'ascia' o 'axe', sempre di quella cosa sto parlando, ma non è che 'axe' sia più o meno vero di 'ascia'. Difatti, la maggior parte dei problemi di comunicazione(ah, Beckett) deriva dallo scollamento fra parola e concetto.

Parli di scollamento tra parola e concetto. Tra linguaggio e concetto. Il concetto di ascia è pur sempre qualcosa di linguisticamente inteso, che dovrebbe ( all'interno di una visione ingenuamente ostensivista ) descrivere una verità di fatto che permane così e così al di la del linguaggio. Tuttavia la cosa ascia è descritta oggettivamente dal nostro concetto ? A me sembra una descrizione molto vaga e diafana: a quale ascia ci si riferisce dicendo " ascia " o " axe " ? Nel mondo c'è una marea di asce ! Esempio di come le persone credono di parlare << sempre di quella cosa >> alla quele il concetto si riferisce ( intenzionalità ) ma in realtà è molto arduo stabilire a che cose si stanno riferendo, se non a qualcosa che hanno voluto, creduto, riferirsi all'interno di un assiomatizzazione linguistico-concettuale.
i concetti a cui vi state riferendo nell'ambito degli studi che li concernono vengono chiamati più semplicemente significante e significato.

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Messaggio Da Comune mortale Mar 14 Giu 2011 - 12:57

Daccordo Muriel,

ma che sia significante e sia significato siano ipotesi, convenzioni, siano cioè che il termine mela ( significante ) significhi, la mela che mangiamo e vediamo è convenzione: è la volontà che vuole appunto che un determinato significante significhi, altro ossia la mela reale. E' qualcosa di utile, originariamente utile.
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Messaggio Da Werewolf Mar 14 Giu 2011 - 13:32

ma che sia significante e sia significato siano ipotesi, convenzioni, siano cioè che il termine mela ( significante ) significhi, la mela che mangiamo e vediamo è convenzione: è la volontà che vuole appunto che un determinato significante significhi, altro ossia la mela reale. E' qualcosa di utile, originariamente utile.
E' quello che stavo cercando di dire. Il linguaggio è utile, in quanto serve per comunicare, ma il la concettualizzazione della realtà ne è indipendente,(non per niente esistono diversi linguaggi, fra di loro diversi ed indipendenti che concettualizzano gli stessi concetti)
Allora vede, percepisce, constata, e poi possiede il concetto ? O il concetto ( di uno ) è già presente nella mente ( tipo kant ) e poi sistematizza le cose in base al suo arredo categorico-mentale ? Il pezzo di legno è concepito come UNO ancor prima della constatazione o dopo di essa ? Se è PRIMA allora il bambino nella testa ha qualche idea umbratile di una cosa, una singola cosa, ancor prima che veda le cose ( il pezzo di legno ) e daccapo: come puoi eliminare l'ipotesi contraria e cioè che nella testa del bimbo non ci sia nessun concetto equivalente s el'unico criterio di verifica seria è dato dall'enunciato verbale e comportamentale del dire in presenza del ciocco di legno " uno " ? Se dici che è dopo allora ok, ma allora l'ipotesi delle idee nella mente prima del mondo non sono necessarie ( occam )
Il bambino prima di vedere il pezzo di legno non ha il concetto di '1'(sono per la tabula rasa di Locke, per intenderci), che però elabora quando vede il singolo blocco, e lo collega al concetto di due quando vede due blocchi uguali. Questo non toglie che tale concettualizzazione prescinda dal linguaggio e che in defintiva avvenga indipendentemente da qualsiasi utilità. Senza concetto, non c'è linguaggio e lo dimostrerò con un breve esempio tratto dalla linguistica comparata. La maggior parte delle lingue europee non ha parole di propria origine per indicare una serie di animali non europei, per esempio il quetzal(per fare un esempio estremo) o il ghepardo, o il panda. Non è un mistero che le parole per indicare tali animali derivino dalle lingue dei popoli che tali animali invece li conoscevano(cosa facilmente desumibile per esempio con lingue, come l'inglese, che tendono a conservare grafia e pronuncia delle parole straniere, mentre l'italiano tende ad 'italianizzare' tutto). Semplicemente, niente concetto(quetzal) niente linguaggio, scritto o parlato, per definirlo. L'inglese non ha mai avuto bisogno di parlare di quetzal perché nessun parlante inglese ne aveva mai visto uno, e soltanto dopo che un anglofono l'ha visto e concettualizzato allora la lingua inglese(o italiana, tanto è di origine amerindia il termine) ha sviluppato un termine specifico per veicolare tale concetto. Tutte le idee mentali vengono a posteriori di un dato più o meno empirico, a mio avviso: non c'è ombra di idea 'già pronta' nel bambino, solo la possibilità di capire il mondo attraverso i concetti. E' questa capacità, nonché il suo utilizzo che, a mio avviso, è indipendente da qualsiasi utilità o meno: è semplicemente un processo naturale della mente.

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Messaggio Da Paolo Mar 14 Giu 2011 - 15:04

Concordo con la tua idea di concetto. Se però noi applichiamo questo arginamento al concetto di dio, o meglio di metafisico, con tutte i concetti connessi, come eterno ed infinito, ne discende che tali concetti sono pura fantasia, perchè non hanno alcun collegamento con la realtà che ci circonda.
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Messaggio Da Werewolf Mar 14 Giu 2011 - 15:52

Paolo ha scritto:Concordo con la tua idea di concetto. Se però noi applichiamo questo arginamento al concetto di dio, o meglio di metafisico, con tutte i concetti connessi, come eterno ed infinito, ne discende che tali concetti sono pura fantasia, perchè non hanno alcun collegamento con la realtà che ci circonda.
Come ti ricorderai, tu dicesti che il concetto 'Dio' fondamentalmente nasce da constatazioni, in quanto nessuna idea nasce dal nulla(cosa su cui concordo).

Aggiungo che il concetto di origine empirica non deve essere necessariamente corretto: una constatazione di un fatto particolare che fa nascere il concetto di quel fatto nella mente di chi l'esperisce, spesso e volentieri non viene fatta sotto controllo, tramite strumentazioni scientifiche o quant'altro, ma in modo per così dire ingenuo. Vengo ora al concetto di Dio(ponendo che con Dio intendiamo l'essere eterno, onnisciente e onnipotente tipico delle religioni monoteiste).

Abbia già parlato allo sfinimento delle possibili origini della religione, ma qui credo che sia opportuno fare una distinzione fra religione e Dio. Il concetto di Dio presuppone necessariamente una religione, ma una religione non presuppone necessariamente il concetto di Dio(così come l'abbiamo definito prima). Le religioni antiche, nonché praticamente tutte quelle precedenti l'ebraismo(il monstrum horribilis che ha dato vita al concetto di Dio così come lo intendiamo noi oggi, e a tutti i problemi che ne sono derivati) con qualche effimera eccezione, sono tutte religioni politeiste, con pantheon molto(a volte estremamente) variegati, in cui gli dèi non sono né eterni, né onnipotenti né tanto meno onniscienti. E' quindi ovvio pensare che il concetto 'Dio', così come lo intendiamo oggi, sia nato ben dopo il pensiero religioso. A mio avviso, proprio per il suo carattere utopico, il concetto 'Dio' non deriva constatazioni naturali, seppure scorrette, ma da una costruzione concettuale che, pur partendo da constatazioni naturali(peraltro scorrette), e quindi dai concetti a cui tali constatazioni danno vita, non guarda più a tali constatazioni.

Sarò meno criptico: l'uomo primitivo ed ignorante arriva alla constatazione assai banale che tutto ciò che 'funziona' sembra progettato. Da questa constatazione arriva alla costruzione concettuale, senza alcun appiglio empirico, che tutto sia progettato. Dato che tutto ciò che è progettato deve essere per forza diverso dal progettatore, il quale ne controlla le caratteristiche, il passo successivo è semplice: dato che la realtà così come la constatiamo deve essere progettata(in quanto 'funziona'), il suo progettatore deve avere caratteristiche non presenti nella realtà, e quindi si 'costruisce' tale progettatore tramite un processo di negazione: Dio non è limitato temporalmente, Dio non è finito, Dio non è limitato nella conoscenza(peraltro, per l'ovvio motivo che, se è lui progettare la realtà, è ovvio che la conoscerà alla perfezione, in ogni sua parte). Ecco che quindi da una serie di banali constatazioni scorrette, si arriva alla creazione del concetto 'Dio', che di fatto è costruito con caratteristiche di pura fantasia proprio perché deve essere così, in quanto deve essere diverso dalla realtà che lui stesso ha progettato.

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Messaggio Da Comune mortale Mar 14 Giu 2011 - 16:08

il bambino prima di vedere il pezzo di legno non ha il concetto di '1'(sono per la tabula rasa di Locke, per intenderci), che però elabora quando vede il singolo blocco, e lo collega al concetto di due quando vede due blocchi uguali. Questo non toglie che tale concettualizzazione prescinda dal linguaggio e che in defintiva avvenga indipendentemente da qualsiasi utilità.

Scrivi che i concetti sono formulati solo dopo la percezione delle cose. Se si tiene fermo questo concetto fino in fondo, allora il bambino non puo formulsre il concetto di uno perchè questo è eteronomo rispetto al concetto della cosa che vede.
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Messaggio Da Werewolf Mar 14 Giu 2011 - 16:28

Scrivi che i concetti sono formulati solo dopo la percezione delle cose. Se si tiene fermo questo concetto fino in fondo, allora il bambino non puo formulsre il concetto di uno perchè questo è eteronomo rispetto al concetto della cosa che vede.
E' perché sarebbe eteronomo? Non confondiamo la concettualizzazione universale che facciamo dalle singole constatazioni particolari. Prendendo l'esempio del bambino e dei blocchi di legno, quando lui prenderà in mano il blocco, penserà(traduco in linguaggio italiano i concetti disordinati del bambino curioso) di avere a che fare con una cosa ruvida, di forma, poniamo di parallelepipedo, di una certa dimensione e di sapore abbastanza rivoltante(se lo mette in bocca) e di un certo colore, poniamo verde.
Tutte queste caratteristiche fanno parte della cosa(il blocco di legno) che il bambino 'analizza', e da cui trae queste idee. Quando si troverà davanti qualcos'altro con caratteristiche simili(verde, parallelepipedo, disgustoso, ruvido), allora quelle caratteristiche, che prima il bambino riteneva essere solo di quel blocco di legno, diventeranno concetti separati da esso, utili a descrivere altre cose che possiedono tali caratteristiche/concetti. Il librone sopra il tavolo avrà la copertina verde e sarà assomigliante ad un parallelepipedo, ma sarà, magari, liscio, e avrà magari un sapore diverso. Nel caso trovasse un altro blocco di legno uguale, con le stesse caratteristiche dell'altro, allora avrà due cose uguali, quindi avrà una prima esperienza di due cose, ma sarà solo quando troverà anche un altro oggetto uguale ad un altro(un altro librone identico) che il concetto due diventerà un concetto universale(e quindi non parte integrante solo dei due blocchi di legno) utile a comprendere altre realtà constatate come simili.

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Messaggio Da Ludwig von Drake Mar 14 Giu 2011 - 19:04

Muriel ha scritto:
Comune mortale ha scritto:
Werewolf ha scritto:(...) Ma attenzione, perché non è il linguaggio a dover essere vero, ma è il contenuto del linguaggio che deve esserlo concettualmente. Il linguaggio è solo la forma con cui il concetto può essere espresso, ma non c'entra nulla con il concetto, che difatti ne è indipendente. Che io dica 'ascia' o 'axe', sempre di quella cosa sto parlando, ma non è che 'axe' sia più o meno vero di 'ascia'. Difatti, la maggior parte dei problemi di comunicazione(ah, Beckett) deriva dallo scollamento fra parola e concetto.
Parli di scollamento tra parola e concetto. Tra linguaggio e concetto. Il concetto di ascia è pur sempre qualcosa di linguisticamente inteso, che dovrebbe ( all'interno di una visione ingenuamente ostensivista ) descrivere una verità di fatto che permane così e così al di la del linguaggio. Tuttavia la cosa ascia è descritta oggettivamente dal nostro concetto ? A me sembra una descrizione molto vaga e diafana: a quale ascia ci si riferisce dicendo " ascia " o " axe " ? Nel mondo c'è una marea di asce ! Esempio di come le persone credono di parlare << sempre di quella cosa >> alla quele il concetto si riferisce ( intenzionalità ) ma in realtà è molto arduo stabilire a che cose si stanno riferendo, se non a qualcosa che hanno voluto, creduto, riferirsi all'interno di un assiomatizzazione linguistico-concettuale.
i concetti a cui vi state riferendo nell'ambito degli studi che li concernono vengono chiamati più semplicemente significante e significato.
Brava cara, però ora devi spiegargli anche come si sono evolute le teorie nel tempo, mica possiamo fermare l'apprendimento di questi giovani virgulti a Saussure???

ok

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Messaggio Da Ludwig von Drake Mar 14 Giu 2011 - 19:08

Comune mortale ha scritto:
il bambino prima di vedere il pezzo di legno non ha il concetto di '1'(sono per la tabula rasa di Locke, per intenderci), che però elabora quando vede il singolo blocco, e lo collega al concetto di due quando vede due blocchi uguali. Questo non toglie che tale concettualizzazione prescinda dal linguaggio e che in defintiva avvenga indipendentemente da qualsiasi utilità.
Scrivi che i concetti sono formulati solo dopo la percezione delle cose. Se si tiene fermo questo concetto fino in fondo, allora il bambino non puo formulsre il concetto di uno perchè questo è eteronomo rispetto al concetto della cosa che vede.
Perché sottovalutare tanto gli esseri viventi?

L'essere umano come alcuni animali ha capacità di astrazione. Ovvero, è in grado di astrarre delle caratteristiche da ciò che lo circonda, quali, a titolo indicativo ma non limitativo, quantità, colore e forma.

Dunque, il bambino può formulare il concetto di 1 e, guarda un pò, gli uomini normodotati formulano e apprendono senza difficoltà questo "concetto".

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Messaggio Da Paolo Mar 14 Giu 2011 - 19:15

Come ti ricorderai io ho sempre sostenuto che qualsiasi concetto può nascere solo tramite la percezione di un qualcosa che cade sotto i nostri sensi. L'esempio da te fatto Were del quetzal è corretto e illustra bene la questione. Venendo al concetto di dio, io allargherei molto più il concetto stesso del dio, anche monoteista, a quello di metafisico. Qualsiasi cosa, qualsiasi caratteristica, qualità o altro deve avere un dio, per prima cosa deve essere metafisico, ovvero non deve appartenere al mondo fisico. Non deve essere una entità che in qualche modo sia percepibile con i nostri sensi. Proprio perché metafisico (al di la della fisicità) sono della idea che la religione altro non sia che l'insieme delle norme o le regole che rendano utilizzabile il concetto di dio nella nostra realtà. Un dio astratto di fatto non serve a nulla se non può essere utilizzato a legittimare una morale o per dare una spiegazione a quanto risulta essere incomprensibile.

Il problema perciò che ci si deve porre è da dove abbia origine il concetto di metafisico. Perché ad un certo punto della evoluzione l'uomo crea un concetto che non può derivare da alcun elemento presente nel mondo che ci circonda. Io già più volte ho espresso il fatto che quello che abbiamo definito come sentimento religioso non tragga origine dalla paura della morte o dalla necessità di spiegare fenomeni altrimenti non comprensibili (il famoso fulmine!!) Ma questo è un secondo punto. Io, come ho sostenuto più volte il concetto di dio è stato utilizzato per spiegare fenomeni o per lenire le paure. Ma è solo un utilizzo del concetto stesso. La genesi non nasce dall'utilizzo, ma ne è sicuramente antecedente al fenomeno stesso.

Una considerazione circa il concetto di "uno" o in genere dei numeri. Concordo con quanto osservato da C.M. Il bambino non si formerà mai il concetto di uno. Infatti i numeri non esistono. Il nostro cervello non può pensare a uno se non lo associa ad un oggetto o al simbolo. Di per se i numeri sono una misura e come tali fanno parte della fantasia. Nella realtà non troverai mai il numero come elemento a se stante se non in un simbolo.
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Messaggio Da Ludwig von Drake Mar 14 Giu 2011 - 19:26

i corvi contano, chissà se nel farlo di chiedono se i numeri esistono...

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Messaggio Da Paolo Mar 14 Giu 2011 - 19:38

si ma contano degli oggetti. senza oggetti non fanno nulla. il numero è una misura, di per se non esiste. esistono solo gli oggetti da misurare.
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Messaggio Da *Valerio* Mar 14 Giu 2011 - 19:59

Paolo ha scritto:Come ti ricorderai io ho sempre sostenuto che qualsiasi concetto può nascere solo tramite la percezione di un qualcosa che cade sotto i nostri sensi. L'esempio da te fatto Were del quetzal è corretto e illustra bene la questione. Venendo al concetto di dio, io allargherei molto più il concetto stesso del dio, anche monoteista, a quello di metafisico. Qualsiasi cosa, qualsiasi caratteristica, qualità o altro deve avere un dio, per prima cosa deve essere metafisico, ovvero non deve appartenere al mondo fisico. Non deve essere una entità che in qualche modo sia percepibile con i nostri sensi. Proprio perché metafisico (al di la della fisicità) sono della idea che la religione altro non sia che l'insieme delle norme o le regole che rendano utilizzabile il concetto di dio nella nostra realtà. Un dio astratto di fatto non serve a nulla se non può essere utilizzato a legittimare una morale o per dare una spiegazione a quanto risulta essere incomprensibile.

Il problema perciò che ci si deve porre è da dove abbia origine il concetto di metafisico. Perché ad un certo punto della evoluzione l'uomo crea un concetto che non può derivare da alcun elemento presente nel mondo che ci circonda. Io già più volte ho espresso il fatto che quello che abbiamo definito come sentimento religioso non tragga origine dalla paura della morte o dalla necessità di spiegare fenomeni altrimenti non comprensibili (il famoso fulmine!!) Ma questo è un secondo punto. Io, come ho sostenuto più volte il concetto di dio è stato utilizzato per spiegare fenomeni o per lenire le paure. Ma è solo un utilizzo del concetto stesso. La genesi non nasce dall'utilizzo, ma ne è sicuramente antecedente al fenomeno stesso.

Una considerazione circa il concetto di "uno" o in genere dei numeri. Concordo con quanto osservato da C.M. Il bambino non si formerà mai il concetto di uno. Infatti i numeri non esistono. Il nostro cervello non può pensare a uno se non lo associa ad un oggetto o al simbolo. Di per se i numeri sono una misura e come tali fanno parte della fantasia. Nella realtà non troverai mai il numero come elemento a se stante se non in un simbolo.

L'idea balzana del metafisico nasce dal fisico, per quel che mi riguarda e' fin troppo semplice.
Mi spiego:
L'uomo é finito dio é infinito, l'uomo e' limitato dio e' onnipotente, l'uomo si interroga dio e' onnisciente, l'uomo e' terreno dio e' trascendente, l'uomo e' mortale dio e' immortale.
A tutti questi limiti propri dell'uomo dei quali e' perfettamente consapevole, egli non ha fatto altro che trovare l'aggettivo che indicasse il suo perfetto contrario, attribuendoli ad una presunta divinita'.

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Messaggio Da Werewolf Mar 14 Giu 2011 - 20:28

Una considerazione circa il concetto di "uno" o in genere dei numeri. Concordo con quanto osservato da C.M. Il bambino non si formerà mai il concetto di uno. Infatti i numeri non esistono. Il nostro cervello non può pensare a uno se non lo associa ad un oggetto o al simbolo. Di per se i numeri sono una misura e come tali fanno parte della fantasia. Nella realtà non troverai mai il numero come elemento a se stante se non in un simbolo.
Difatti il bambino 'ottiene' il concetto di 'uno' solo quando deve misurare, deve distinguere, nell'esempio un pezzo di legno dai due pezzi di legno. Senza tale necessità, nemmeno si crea il problema, penso anche alle tribù primitive che hanno sistemi numerici mutilati, proprio perché non hanno bisogno di lavorare su grandi quantità numeriche.

Il problema perciò che ci si deve porre è da dove abbia origine il concetto di metafisico. Perché ad un certo punto della evoluzione l'uomo crea un concetto che non può derivare da alcun elemento presente nel mondo che ci circonda. Io già più volte ho espresso il fatto che quello che abbiamo definito come sentimento religioso non tragga origine dalla paura della morte o dalla necessità di spiegare fenomeni altrimenti non comprensibili (il famoso fulmine!!) Ma questo è un secondo punto. Io, come ho sostenuto più volte il concetto di dio è stato utilizzato per spiegare fenomeni o per lenire le paure. Ma è solo un utilizzo del concetto stesso. La genesi non nasce dall'utilizzo, ma ne è sicuramente antecedente al fenomeno stesso.
Storicamente, le prime divinità non sono altro che umanizzazioni di fenomeni naturali. Le antiche civiltà nascono come politeiste, e credo che questo sia il punto da focalizzare: il metafisico nasce semplicemente come spiegazione razionalizzazione del fisico. Se io non conosco le proprietà elettriche, se continuo a vedere sempre il solito albero in mezzo alla pianura colpito da fulmini, e me ne chiedo il perché, sapendo che tutto ciò che non accade casualmente ha una spiegazione, solitamente dettata da una volontà, allora l'unica è spiegare in modo volontaristico(i fulmini vogliono cadere sull'albero) il fatto. Dal dire che i fulmini hanno una volontà a dire che i fulmini sono come gli esseri umani, con desideri, passioni ecc, il passo è breve.

E difatti tutti gli dèi più antichi presentano la caratteristica di essere personificazioni di fenomeni naturali incontrollabili dall'uomo o che l'uomo vorrebbe controllare. Tanto più che addirittura non avevano alcuna autorità morale, anzi(penso a Zeus che nel mito è passato nei letti di tutte le donne disponibili e non disponibili). E' solo nel monoteismo, che è però molto posteriore, che il dio diventa garante dell'etica, che poi in definitiva non è vera etica: l'ebreo deve purificarsi e non deve mangiare certi cibi non perché sia bene purificarsi o non mangiare certi cibi, quanto perché fare tali cose fa piacere al suo Dio, che gli garantirà quindi una benedizione. Abramo non si circoncide perché è bene circoncidersi, ma perché in premio Dio gli darà un figlio e una discendenza: l'ebreo, e poi il cristiano, non fa ciò che è bene, ma ciò che è gradito al suo Dio. Che ciò che è gradito al Dio si identifichi con il bene è un passaggio successivo: l'idea di peccato 'lavabile' deriva proprio dal fatto che Dio non punisce il male, punisce ciò che a lui non piace, e la confessione(o la purificazione rituale) non è altro che un modo per dire al Dio "Visto? Non volevo farti adirare, dammi la tua benedizione, ché ti faccio contento". Dio=bene, dicevo, è un passaggio successivo, che si crea quando la radice giudeo-cristiana si fonde con la filosofia greca, ed in particolare aristotelica: è l'amore il motore immobile, il motore immobile che poi diverrà Dio. Non per niente il primo testo che fa questa equiparazione, Dio=amore, è la prima lettera di Giovanni, opera di una comunità cristiana che nei suoi scritti dimostra di essere vicina alla filosofia greca.

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Messaggio Da Paolo Mar 14 Giu 2011 - 21:18

Tutte le unità di misura sono solo un rapporto tra due fenomeni. Di per se non sono concetti. Sono ragionamenti non concetti. Basti pensare che lo zero non esisteva nei numeri romani. I romani non avevano il concetto di zero. Se i numeri avessero la loro oggettività tali concetti sarebbero universali, cosa invece che non è.

Valerio tu hai definito quello che può essere il concetto di metafisico, non la sua origine. Negando un limite tu non crei un concetto. Il concetto, come già valutato nasce solo da esperienze derivanti dal mondo fisico. Esperienze dirette non certo negando una caratteristica. Quello è una successiva elaborazione di fenomeni conosciuti, non una concettualizzazione di un fenomeno. E lo stesso discorso è per quanto esposto da were. E' il primo punto il passo fondamentale: Storicamente, le prime divinità non sono altro che umanizzazioni di fenomeni naturali . Anche questo è un ragionamento. Così come tutti gli esempi che tu riporti. Ma il concetto non può nascere da un ragionamento. E' un'astrazione di un fenomeno fisico che ricade sotto i nostri sensi. Niente di più.
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Messaggio Da Werewolf Mar 14 Giu 2011 - 21:59

Basti pensare che lo zero non esisteva nei numeri romani. I romani non avevano il concetto di zero.
Io ci andrei piano con questa argomentazione. Il concetto di zero non è altro che il trasporto, ad un libvello numerico e simbolico del concetto di nulla o nessuno. Se io dico che non c'è nessun uomo nella stanza, è come se dicessi che ci sono 0 uomini nella stanza. il concetto è lo stesso. il problema è che il sistema numerico romano era additivo(ogni simbolo corrispondeva ad un numero da aggiungere a quelli precedenti) e non posizionale. Ora, è chiaro che in un tale sistema di rappresentazione dei numeri un simbolo per indicare lo 0(ovvero il niente) è semplicemente inutile.

E' un'astrazione di un fenomeno fisico che ricade sotto i nostri sensi. Niente di più.
Il concetto è proprio questo, un'astrazione. Ma il fatto è che l'uomo può ragionare di pura astrazione, partendo dai concetti che possiede(la matematica non è altro, in fondo). Ed è qui che sta l'inghippo: il ragionamento è spesso e volentieri astrato, non controllato empiricamente. Tutte le caratteristiche della divinità(quella cristiana) sono 'composte': dal concetto di negazione e dal concetto della caratteristica che la divinità non deve possedere. Non deve essere finita, allora è infinita; non deve essere temporalmente determinata, allora e eterna. Il fatto stesso che tali concetti(eternità, infinitezza, onniscienza) non siano desumibili dalla realtà, a meno di non voler ipotizzare un contatto dell'uomo primitivo con una divinità che possedesse tali caratteristiche(che è la logica conclusione, sebbene assurda, del ragionamento di Paolo che qualsiasi idea deve per forza derivare da un fenomeno fisico conosciuto), significa che esse devono per forza derivare da ragionamenti astratti. Ma questo non li rende concetti veri e propri, ma soltanto negazione di concetti(tanto più che, mentalmente, l'idea di infinitezza o di eternità non sono afferrabili). Dio è negazione della realtà, non una sua affermazione, almeno così come siamo abituati a pensarlo.

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Messaggio Da Paolo Mar 14 Giu 2011 - 22:24

Tralascio al momento il ragionamento circa lo zero, visto che concordiamo sostanzialmente su cosa sia un numero. Vorrei però concentrare il ragionamento sulla questione del concetto. Ritengo che sia errato ritenere che un concetto possa avere origine dalla negazione di un altro. E' logicamente impossibile. Il concetto è solo un processo positivo, nasce solo ed esclusivamente da un elemento o evento fisico e reale. E non può esistere il negativo di un fatto o di un evento. Hai il concetto di casa, ma non c'è il suo negativo. Lo stesso vale anche per concetti di fenomeni non tangibili, come la paura o l'amore. Non si può certo definire l'amore come il contrario dell'odio. Così come la paura del coraggio.

Poichè è ovvio che il concetto metafisico non sia una emanazione divina, io ho ipotizzato che esso derivi dalla capacità che ad un certo punto l'uomo ha avuto di parlare con se stesso e di sognare. Probabilmente insieme alla capacità del nostro cervello di far vivere esperienze in modo virtuale, ha convito l'uomo della esistenza di un mondo che lui ritine esista, ma che nelle realtà non c'è. E da qui in concetto di metafisico. Poi il passaggio al concetto di dio è molto breve.
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Messaggio Da Comune mortale Mer 15 Giu 2011 - 11:15

Cerco di spiegarmi.

S'era detto dei concetti senza il linguaggio e come qualcosa di derivato dai dati di senso. Were ha fatto l'esempio del bambino che deriva il concetto di numero 1 dall'osservare il tronco, eccetera.

Dall'osservazione del tronco si evince necessariamente il concetto di numero 1 o il concetto che si tratta di una ( equivalente del concetto di uno ???? ) cosa ? O dall'osservare due pezzi di tronco simili si deve asserire che il concetto di numero 2 è necessariamente legato ai tronchi ? Rispondere di si significa ritenere che l'odeore che posso sentire del tronco se lo avvicino al naso ( percetto A ) è proprietà del tronco così come lo è il mio percepirlo come un tronco o il mio considerarlo come cio da cui necessariamente discende il concetto di numero 1 ?

S'era scritto che il concetto di nuemro 1 poi era qualcosa che trascendeva il linguaggio e che era inferibile come l'odore dalle cose: la qual cosa were genera un'aporia logica; come si può sostenere la derivazione di un concetto astratto ( numero 1 ) da un pezzo di legno senza far appello al linguaggio, se il concetto e di numero e di 1 sono tali perchè linguisticamente intesi ?

Non nego che ci sia l'astrazione ma dico che questa è una convenzione che aggiungiamo dall'esterno alle cose del mondo per razionalizzarle il che è pragmaticamente utile.
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Messaggio Da Paolo Mer 15 Giu 2011 - 11:34

Il numero "uno" non è un concetto. Così come non lo sono tutti i numeri. Il numero è la misura di un rapporto. E come tale è un ragionamento. Il concetto invece è una astrazione di un elemento fisico che ricade sotto i nostri sensi e che può esistere in quanto tale, e non deriva da successive elaborazioni.

Il bambino vede un oggetto, diciamo il tronco o un albero. E da qui la capacità del nostro cervello è quella di ricavare un concetto. Ovvero di creare delle categorie mentali di cose che noi riteniamo abbiano le stesse caratteristiche. Ma con i numeri non è così. Sono il risultato di un successivo ragionamento. Ovvero la misura del rapporto fisico che c'è tra di loro. Così cole è la lunghezza o il tempo.
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Messaggio Da Comune mortale Mer 15 Giu 2011 - 12:07

Il numero "uno" non è un concetto. Così come non lo sono tutti i numeri. Il numero è la misura di un rapporto. E come tale è un ragionamento. Il concetto invece è una astrazione di un elemento fisico che ricade sotto i nostri sensi e che può esistere in quanto tale, e non deriva da successive elaborazioni.

Paolo, il concetto di ruvidità deriva necessariamente dal percetto A ( toccare una determinata superficie ) ? Perchè di quella superficie possiamo tramite i sensi dire solo che c'è quando la tocchiamo ( ontologia di fondo ) ma la sua ruvidità è qualcosa che noi percepiamo se non avessimo un linguaggio che già da sempre ci rende consapevoli dei nostri sensi ?

Se ci sono due persone che toccano un pezzo di legno, e l'una dice di sentirlo ruvido e l'altra no, e se adottiamo il principio per cui la ruvidità discende necessariamente dai dati di senso, allora le due persone hanno ragione e dicono entrambe il vero!
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Messaggio Da Paolo Mer 15 Giu 2011 - 12:20

Faccio un po' fatica a seguire il tuo ragionamento, anche perchè non ho capito cosa tu voglia dimostrare. E' evidente che il concetto di ruvidità nasca dal contatto fisico con le mani su di una superficie. Poichè un concetto non nasce in un attimo, ma si forma e si modifica seguendo modifiche e lo sviluppo del cervello e di percepire le cose, anche uno stesso fenomeno può generare concetti diversi. Prendendo in esame il concetto di ruvidità esso può essere interpretato in modo diverso, ma qualitativamente. Però per tutti è ricollegato a come si presenta una superficie e come può scorrere la nostra mano, o un altro oggetto, su di essa. Questo è un concetto assoluto, che tutti gli uomini hanno.
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