andando per monti

Minsky ha scritto:

Minsky ha scritto:Frana distrugge bivacco su Monte Bianco

Beh, il bivacco Cosi sull'Antelao non s'è neanche più trovato.

Rasputin ha scritto:

Minsky ha scritto:Frana distrugge bivacco su Monte Bianco

Beh, il bivacco Cosi sull'Antelao non s'è neanche più trovato.

E dove andranno adesso le due mucche? (scusa la freddura )

Minsky ha scritto:

Rasputin ha scritto:

Minsky ha scritto:Frana distrugge bivacco su Monte Bianco

Beh, il bivacco Cosi sull'Antelao non s'è neanche più trovato.

E dove andranno adesso le due mucche? (scusa la freddura )

Eh? Quali mucche?

Rasputin ha scritto:

Quelle del bi-vacco

Minsky ha scritto:

Rasputin ha scritto:

Quelle del bi-vacco

Rasputin ha scritto:

Minsky ha scritto:

Rasputin ha scritto:

Quelle del bi-vacco

È una vecchissima freddura anche scema, cosa fanno due mucche intorno al fuoco? Bivaccano

Minsky ha scritto:

Rasputin ha scritto:

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Rasputin ha scritto:

Quelle del bi-vacco

È una vecchissima freddura anche scema, cosa fanno due mucche intorno al fuoco? Bivaccano

È della stessa qualità di quella che dice: "qual è la località dove non ci sono competizioni?"

Camponogara.

Minsky ha scritto:

Rasputin ha scritto:Aria fritta, proposte esclusivamente politiche che stanno ad indicare in quale stato  si trova l'opinione pubblica

Minsky ha scritto:

Rasputin ha scritto:Aria fritta, proposte esclusivamente politiche che stanno ad indicare in quale stato  si trova l'opinione pubblica

A parte l'assoluto nonsenso di proibire l'accesso ad una montagna a caso, apoteosi demagogica, quello che mi fa imbestialire è l'uso di termini come "montagna sacra". Ora, se vogliamo adeguarci ai baluba perché una certa montagna si trova sul loro territorio, e per estremo rispetto decidiamo che bisogna evitare di salirci (vedi Kailash in Tibet, Ayers Rock in Australia, etc.), pazienza; ma che si debbano mutuare concetti simili qui in occidente, tornando indietro qualche migliaio (o forse solo centinaio) di anni nella civilizzazione, è un'idiozia di portata colossale.

Repubblica ha scritto:Messner: «È ignorante chi mi toglie il record. La vetta non conta il traguardo è il cammino»

di Maurizio Crosetti

«L’alpinismo non è uno sport: è un’avventura umana che riguarda la forza, la paura, la solitudine e il senso del limite. Lassù scopri chi sei e non fai a gara con nessuno, neppure con te stesso, quella è retorica. Non ho mai rincorso titoli o primati.»

Signor Messner, pare che lei non sia più il re degli ottomila.
«Mai stato, mai rincorso titoli o primati. Perché io sono un alpinista, non un olimpionico. Non possono togliermi qualcosa che non ho mai avuto, né mai voluto avere».
L’alpinismo non è anche uno sport?
«Proprio per niente. È un’avventura umana che riguarda la forza, la paura, la solitudine e il senso del limite. Lassù scopri chi sei e non fai a gara con nessuno, neppure con te stesso, quella è retorica».
Dicono che lei e Kammerlander non arrivaste esattamente in cima all’Annapurna, nel 1985. Come andò?
«Questi signori non sanno nulla, sono degli ignoranti che confondono la vetta Est con quella principale. Le cime cambiano come ogni cosa in natura, le erode il vento, si sbriciolano il ghiaccio e la neve, mutano le altezze da un anno all’altro o da un momento all’altro, anche di cinque o sei metri: è sufficiente il crollo di una cornice di neve. L’Himalaya cresce di qualche millimetro ogni anno per la tensione geofisica tra India e Tibet. Noi arrivammo in vetta dopo quattromila metri di parete difficilissima, di cui sono fiero e che non cambierei con tutti i famosi ottomila dei record. C’era la bufera, e nebbia. Vedemmo il punto dov’era uscita la cordata del 1970. La cresta sommitale dell’Annapurna è lunga tre chilometri, un pianoro persino facile una volta arrivati lì. Il nostro scopo non è mai stato il punto più alto di una montagna».
E qual era, dunque?
«La via, il percorso per arrivarci. Il traguardo è il cammino: questa è la storia dell’alpinismo. Fino al 1970 si voleva arrivare per primi in cima, una specie di conquista della Luna, poi abbiamo cercato nuove strade sulla montagna selvaggia. Il resto non lo è: il climbing non lo è, le palestre artificiali di roccia non lo sono. L’alpinismo non si misura col metro, ma con il coraggio del cuore».
Intanto l’hanno tolta dal Guinness dei primati.
«Che stupidaggine. Pensano che l’alpinismo sia una gara tra bambini, “facciamo a chi arriva prima a quell’albero”. Non hanno la minima idea della tensione tra l’uomo e la grande montagna, e fanno lezione in questo tempo in cui le strade sono quasi tutte preparate a corda fissa, ci sono i gps e i telefoni al campo base, i medici e i cuochi sempre a disposizione. Si conoscono alla perfezione, e in anticipo, le finestre senza bufera per decidere quando salire. Noi non avevamo niente di tutto questo, ma vi posso garantire che arrivammo lassù, in tutti e 14 gli ottomila senza ossigeno».
Più turisti che alpinisti, oggi?
«Salgono con i sandali ai piedi e pagano per essere portati là, come gli astronauti di Elon Musk. Come quelli che vanno sul fondo dell’oceano con il piccolo sottomarino che poi esplode, perché certe imprese sono anche in mano agli inetti e agli incompetenti. Noi avevamo tutte le responsabilità addosso, non c’erano scuse».
Eppure, un giorno dissero che lei aveva abbandonato alla morte suo fratello Günther sul Nanga Parbat, pur di arrivare in cima.
«Un crimine atroce anche solo pensarlo: ero riemerso dall’inferno. La verità è stata dimostrata quando affiorarono i resti e uno scarpone del mio povero fratello, che aveva solo 23 anni e morì sotto una valanga quando scendemmo, e non fu certo lasciato morire da me durante la scalata. Mi hanno chiamato fratricida per fama e soldi, il mondo è brutale e spegne il cuore, però con il mio adesso ho fatto pace, finalmente. Ma confesso che mi sembrò di impazzire. Arrivai anche a dubitare dei miei esatti ricordi, che invece erano tutti veri».
Messner, cos’è la paura?
«Qualcosa che non finisce mai, e che nello stesso tempo si vince imparando. Prima di arrampicarti devi averla già sconfitta, sapendo bene chi sei, altrimenti sei perduto. La paura si deve prendere per mano».
Lei quando cominciò a farlo?
«A cinque anni salivo già a tremila metri con mio padre. Eravamo una famiglia contadina di nove fratelli».
Come definirebbe sé stesso?
«Un alpinista estremo dalle molte vite: rocciatore, alpinista d’alta quota, esploratore polare, cineasta e adesso divulgatore della montagna. Ho aperto sette musei, anche uno in Nepal come tributo agli sherpa. Nessuno al mondo ha i nostri numeri, eppure qui in Italia mi hanno fatto dieci anni di guerra spietata, trovando da ridire anche sul fatto che facciamo pagare il biglietto. Ma certo! Non ho preso un euro di contributi da nessuno, tutto in libero mercato, cosa dovrei fare?»
Perché lei è così divisivo?
«Perché l’invidia non è misurabile proprio come l’alpinismo, ed è più grande dell’Everest. Sfruttano il mio nome per avere un po’ di attenzione: la mia fama contro le loro bugie. Ho 79 anni e ancora non la smettono di mettermi all’angolo, vorrebbero farmi passare come uno che vuole tutto e non come uno che conquista tutto. Ma non è mica facile fermare Messner».
Le mancano gli ottomila?
«No, perché ogni stagione ha i suoi frutti, un contadino lo sa bene. Vado ancora sui monti, percorro vie facili ma non mi fermo. A quel signore tedesco che mette in dubbio l’impresa dell’Annapurna, dico di venire nel mio museo di Bolzano dove mi basteranno cinque minuti per fargli capire che è fuori strada. Gli mostrerò tutte le foto che ho già messo online sul sito, gli farò vedere le creste in tre dimensioni, alla fine credo che capirà».
Un giorno, come vorrebbe essere ricordato?
«La risposta è nei cinquanta libri che ho scritto: vi consiglio il prossimo, non vi deluderà. Ho sempre avuto il coraggio di sognare, ma con mani e piedi bene attaccati alla roccia».

Repubblica ha scritto:Messner: «È ignorante chi mi toglie il record. La vetta non conta il traguardo è il cammino»