Il plurale di casa madre, lingua madre...
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Il plurale di casa madre, lingua madre...
Fa sempre bene, di tanto in tanto, leggere qualcosa sulla nostra lingua madre. In questa maniera possiamo migliorare la nostra conoscenza della stessa e dialogare utilizzando forme corrette.
“In molti ci hanno scritto per chiedere chiarimenti su alcuni nomi e aggettivi composti o derivati di cui si riscontrano usi oscillanti nelle forme del plurale. Tra questi abbiamo scelto quelli più ricorrenti, come lingua madre e casa madre, che in particolare ha incuriosito Massimo Bazzo, e gli aggettivi bilingue, multilingue e plurilingue.
Nella morfologia dell’italiano coesistono spesso più soluzioni per la formazione del plurale così come, ad esempio, per la derivazione dei generi (sull’oscillazione di genere in alcune parole d’uso corrente è da poco uscito un articolo ampio e ben documentato di Salvatore Claudio Sgroi sugli «Studi di Grammatica Italiana», vol. XXV, 2006), a causa dell’economia della lingua che induce i parlanti (e scriventi naturalmente) a riprodurre forme analogiche su altre simili e già conosciute.
Lingua madre e casa madre sono due composti formati dall’accostamento di due sostantivi, di cui il primo ha la funzione di testa del composto, il secondo ha valore di aggettivo, come in lingua viva, lingua morta, lingua seconda; o casa mobile, casa cantoniera, casa chiusa (lingua madre è infatti un particolare tipo di lingua e casa madre un particolare tipo di casa). I due elementi mantengono ancora la loro autonomia lessicale dando luogo a un composto che tecnicamente viene definito “largo”. Le due parole restano inoltre graficamente staccate: salvo sporadiche occorrenze, non si è ancora verificata l’univerbazione del sintagma in una sola parola, come invece, ad esempio, in cassaforte da cassa + forte. In questi casi il plurale si forma attraverso la flessione di tutti e due gli elementi quindi lingue madri e case madri e questo tipo di flessione resta anche nei composti in cui è avvenuta l’univerbazione del nome e dell’aggettivo: casematte e casetorri, plurali di casamatta e di casatorre.
Lingua e madre risultano invece graficamente uniti in madrelingua: in questo caso, come anche con ferrovia, madrepatria, scuolabus siamo di fronte – come nota Antonietta Bisetto – «a dei calchi lessicali … formati cioè per “traduzione” dalle parti di un composto straniero [Muttersprache] del quale mantengono l’ordine», che vengono però interpretate come formazioni originarie dell’italiano (cfr. Composizione con elementi italiani, in La formazione delle parole in italiano, a cura di Maria Grossmann e Franz Reiner, Tübingen, Niemeyer, 2004, p. 43). Madrelingua è sostantivo femminile [non-animato] con testa a destra e con significato di ‘lingua appresa dalla madre’ che può svolgere anche funzione di aggettivo [animato], senza testa morfologica, per indicare ‘chi/che parla la propria lingua materna, specialmente in quanto si trova all’estero’: il plurale del sostantivo femminile [non-anim.] prevede la flessione di tutti e due gli elementi, quindi madrilingue (‘le lingue che si apprendono dalle madri’), mentre, quando il sostantivo assume valore di aggettivo, è registrato dai vocabolari come invariabile (i parlanti madrelingua). L’uso pare confermare questa tendenza: una sommaria ricerca con Google, al 23 novembre 2008, dà 3200 occorrenze per la stringa “i madrelingua” (naturalmente animato, con significato ‘i parlanti madrelingua’), 41200 occorrenze per “insegnanti madrelingua” e soltanto 2 per “insegnanti madrelingue”.
Tra gli aggettivi bilingue, multilingue e plurilingue, quest’ultimo è senz’altro quello in cui si riscontrano maggiori oscillazioni nella forma del plurale e il dubbio sembra non essere del tutto sciolto neanche attraverso la consultazione dei principali vocabolari dell’uso. Le possibilità presenti negli usi e riaffioranti nei vocabolari sono due: l’aggettivo è considerato invariabile (quindi plurilingue anche per il plurale) oppure viene trattato come un qualunque aggettivo uscente in –e, quindi con plurale in –i, plurilingui (come forte/forti; multiforme/multiformi; pluriennale/pluriennali; ecc.).
Alcune distinzioni sono forse opportune per dare un’idea della varietà delle scelte dei lessicografi: Il Sabatini Coletti 2008 definisce plurilingue come aggettivo invariabile; il Vocabolario Treccani (edizione 1997) e il Devoto-Oli (a partire dall’edizione 2004-2005) registrano plurilingue come composto da pluri- + lingua senza considerarlo invariabile, ma non fornendo esempi al plurale; lo Zingarelli (dall’edizione del 2002) prevede sia il plurale in –i sia la forma invariabile.
Una spiegazione chiara e convincente è data però nel DOP (Dizionario di Ortografia e Pronuncia curato da B. Migliorini, C. Tagliavini e P. Fiorelli, ERI-RAI, versione on-line 2008): alla voce plurilingue è specificato che il plurale deve essere plurilingui e non plurilingue, con un esplicito rimando alla voce bilingue, per la quale si nota che è stata erroneamente spiegata come composto di bi- e il plurale di lingua,e per questo data spesso come invariabile, mentre in realtà continua l’aggettivo latino bilinguis, is. Plurilingue quindi ha una composizione analoga a quella di bilingue, anche se è un aggettivo di recente formazione (la prima attestazione è del 1958) che non ha ovviamente nessun precedente latino.
Come non tutti i vocabolari stabiliscono una relazione chiara tra i due aggettivi, anche l’uso non sembra aver accoppiato i due termini nella stessa sorte. Facendo una ricerca su Google (sempre al 23 novembre 2008), per le stringhe “parlanti bilingui”/ “parlanti bilingue” si hanno 244 occorrenze per la prima forma (corretta) e 30 per la seconda; mentre facendo la stessa ricerca per le stringhe “classi plurilingui” / “classi plurilingue” si hanno 324 occorrenze per la prima e 562 per la seconda. La maggior frequenza nell’italiano dei mezzi di comunicazione ha traghettato il termine nella lingua comune e ha forse indotto i parlanti a sentire l’aggettivo plurilingue come un sintagma giustapposto, e quindi invariabile, equivalente a più lingue: gli individui, le classi ecc. che “parlano due, tre, … molte lingue” (il che comporterebbe che, quando è in gioco una sola lingua, si dovrebbe dire: individuo/individui, classe/classi monolingua!).
Plurilingue invece, rifatto su bilingue, appartiene, come abbiamo visto, alla stessa classe di aggettivi come uniforme, multiforme, monocorde e molti altri che prevedono il plurale in –i: quindi plurilingui”.
Raffaella Setti
Accademia della Crusca
“In molti ci hanno scritto per chiedere chiarimenti su alcuni nomi e aggettivi composti o derivati di cui si riscontrano usi oscillanti nelle forme del plurale. Tra questi abbiamo scelto quelli più ricorrenti, come lingua madre e casa madre, che in particolare ha incuriosito Massimo Bazzo, e gli aggettivi bilingue, multilingue e plurilingue.
Nella morfologia dell’italiano coesistono spesso più soluzioni per la formazione del plurale così come, ad esempio, per la derivazione dei generi (sull’oscillazione di genere in alcune parole d’uso corrente è da poco uscito un articolo ampio e ben documentato di Salvatore Claudio Sgroi sugli «Studi di Grammatica Italiana», vol. XXV, 2006), a causa dell’economia della lingua che induce i parlanti (e scriventi naturalmente) a riprodurre forme analogiche su altre simili e già conosciute.
Lingua madre e casa madre sono due composti formati dall’accostamento di due sostantivi, di cui il primo ha la funzione di testa del composto, il secondo ha valore di aggettivo, come in lingua viva, lingua morta, lingua seconda; o casa mobile, casa cantoniera, casa chiusa (lingua madre è infatti un particolare tipo di lingua e casa madre un particolare tipo di casa). I due elementi mantengono ancora la loro autonomia lessicale dando luogo a un composto che tecnicamente viene definito “largo”. Le due parole restano inoltre graficamente staccate: salvo sporadiche occorrenze, non si è ancora verificata l’univerbazione del sintagma in una sola parola, come invece, ad esempio, in cassaforte da cassa + forte. In questi casi il plurale si forma attraverso la flessione di tutti e due gli elementi quindi lingue madri e case madri e questo tipo di flessione resta anche nei composti in cui è avvenuta l’univerbazione del nome e dell’aggettivo: casematte e casetorri, plurali di casamatta e di casatorre.
Lingua e madre risultano invece graficamente uniti in madrelingua: in questo caso, come anche con ferrovia, madrepatria, scuolabus siamo di fronte – come nota Antonietta Bisetto – «a dei calchi lessicali … formati cioè per “traduzione” dalle parti di un composto straniero [Muttersprache] del quale mantengono l’ordine», che vengono però interpretate come formazioni originarie dell’italiano (cfr. Composizione con elementi italiani, in La formazione delle parole in italiano, a cura di Maria Grossmann e Franz Reiner, Tübingen, Niemeyer, 2004, p. 43). Madrelingua è sostantivo femminile [non-animato] con testa a destra e con significato di ‘lingua appresa dalla madre’ che può svolgere anche funzione di aggettivo [animato], senza testa morfologica, per indicare ‘chi/che parla la propria lingua materna, specialmente in quanto si trova all’estero’: il plurale del sostantivo femminile [non-anim.] prevede la flessione di tutti e due gli elementi, quindi madrilingue (‘le lingue che si apprendono dalle madri’), mentre, quando il sostantivo assume valore di aggettivo, è registrato dai vocabolari come invariabile (i parlanti madrelingua). L’uso pare confermare questa tendenza: una sommaria ricerca con Google, al 23 novembre 2008, dà 3200 occorrenze per la stringa “i madrelingua” (naturalmente animato, con significato ‘i parlanti madrelingua’), 41200 occorrenze per “insegnanti madrelingua” e soltanto 2 per “insegnanti madrelingue”.
Tra gli aggettivi bilingue, multilingue e plurilingue, quest’ultimo è senz’altro quello in cui si riscontrano maggiori oscillazioni nella forma del plurale e il dubbio sembra non essere del tutto sciolto neanche attraverso la consultazione dei principali vocabolari dell’uso. Le possibilità presenti negli usi e riaffioranti nei vocabolari sono due: l’aggettivo è considerato invariabile (quindi plurilingue anche per il plurale) oppure viene trattato come un qualunque aggettivo uscente in –e, quindi con plurale in –i, plurilingui (come forte/forti; multiforme/multiformi; pluriennale/pluriennali; ecc.).
Alcune distinzioni sono forse opportune per dare un’idea della varietà delle scelte dei lessicografi: Il Sabatini Coletti 2008 definisce plurilingue come aggettivo invariabile; il Vocabolario Treccani (edizione 1997) e il Devoto-Oli (a partire dall’edizione 2004-2005) registrano plurilingue come composto da pluri- + lingua senza considerarlo invariabile, ma non fornendo esempi al plurale; lo Zingarelli (dall’edizione del 2002) prevede sia il plurale in –i sia la forma invariabile.
Una spiegazione chiara e convincente è data però nel DOP (Dizionario di Ortografia e Pronuncia curato da B. Migliorini, C. Tagliavini e P. Fiorelli, ERI-RAI, versione on-line 2008): alla voce plurilingue è specificato che il plurale deve essere plurilingui e non plurilingue, con un esplicito rimando alla voce bilingue, per la quale si nota che è stata erroneamente spiegata come composto di bi- e il plurale di lingua,e per questo data spesso come invariabile, mentre in realtà continua l’aggettivo latino bilinguis, is. Plurilingue quindi ha una composizione analoga a quella di bilingue, anche se è un aggettivo di recente formazione (la prima attestazione è del 1958) che non ha ovviamente nessun precedente latino.
Come non tutti i vocabolari stabiliscono una relazione chiara tra i due aggettivi, anche l’uso non sembra aver accoppiato i due termini nella stessa sorte. Facendo una ricerca su Google (sempre al 23 novembre 2008), per le stringhe “parlanti bilingui”/ “parlanti bilingue” si hanno 244 occorrenze per la prima forma (corretta) e 30 per la seconda; mentre facendo la stessa ricerca per le stringhe “classi plurilingui” / “classi plurilingue” si hanno 324 occorrenze per la prima e 562 per la seconda. La maggior frequenza nell’italiano dei mezzi di comunicazione ha traghettato il termine nella lingua comune e ha forse indotto i parlanti a sentire l’aggettivo plurilingue come un sintagma giustapposto, e quindi invariabile, equivalente a più lingue: gli individui, le classi ecc. che “parlano due, tre, … molte lingue” (il che comporterebbe che, quando è in gioco una sola lingua, si dovrebbe dire: individuo/individui, classe/classi monolingua!).
Plurilingue invece, rifatto su bilingue, appartiene, come abbiamo visto, alla stessa classe di aggettivi come uniforme, multiforme, monocorde e molti altri che prevedono il plurale in –i: quindi plurilingui”.
Raffaella Setti
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___________________
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
Don Chisciotte - Guccini
https://iltronodispade.wordpress.com/
Ludwig von Drake- -------------
- Numero di messaggi : 4721
SCALA DI DAWKINS :
Data d'iscrizione : 19.11.08
Re: Il plurale di casa madre, lingua madre...
Da notare che io non sono particolarmente d'accordo con chi scrive l'articolo.
In particolare l'autore a un certo punto afferma "il che comporterebbe che, quando è in gioco una sola lingua, si dovrebbe dire: individuo/individui, classe/classi monolingua!"
Io sarò in errore, ma preferisco riferirmi sempre a classi monolingua, poichè si tratta di "classi che studiano una sola lingua" (un pò come si fa con i termini giustapposti).
Di conseguenza classi "bilingue" e "plurilingue", considerato che, peraltro, "plurilingui" al mio orecchio suona alquanto cacofonico (anche a causa dell'inserimento in una parola composta di un plurale non esistente nella lingua).
In particolare l'autore a un certo punto afferma "il che comporterebbe che, quando è in gioco una sola lingua, si dovrebbe dire: individuo/individui, classe/classi monolingua!"
Io sarò in errore, ma preferisco riferirmi sempre a classi monolingua, poichè si tratta di "classi che studiano una sola lingua" (un pò come si fa con i termini giustapposti).
Di conseguenza classi "bilingue" e "plurilingue", considerato che, peraltro, "plurilingui" al mio orecchio suona alquanto cacofonico (anche a causa dell'inserimento in una parola composta di un plurale non esistente nella lingua).
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Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
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