Recuperato il bagitto, antica lingua ebraica livornese
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Recuperato il bagitto, antica lingua ebraica livornese
Livorno, rivive l'antica lingua segreta degli Ebrei
LIVORNO - E’ così misterioso il bagitto, l’antico linguaggio ebraico-livornese, che anche il suo significato sembra essere avvolto da un alone di segretezza esoterica. Che cosa significa? Alcuni studiosi credono che l’etimologia del termine derivi dallo spagnolo bajito, cioè "basso" e dunque sono convinti che il bagitto fosse il linguaggio della popolazione ebraica di basso rango, il “popolino”. Eppure c’è chi, come Fabrizio Franceschini, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Pisa, è convinto che il bagitto sia in realtà un idioma ebraico segreto e che provenga dallo spagnolo hablar bajito, cioè "parlare sottovoce", in modo celato. Un linguaggio, completo e complesso insomma (almeno sino a metà dell’Ottocento) elaborato dalla comunità ebraica livornese una delle più importanti in Italia e in Europa e utilizzato per messaggi “criptati” in caso di pericolo o in situazioni intime.
ESPRESSIONI IN CODICE ANCORA VIVE - «Nel periodo fascista si usavano espressioni in codice del tipo arriva tarzanì, per indicare l’arrivo di un nemico», spiega il professor Franceschini che sul bagitto ha svolto una ricerca insieme ad Alessandro Orfano. Oggi il bagitto è una lingua morta. Eppure se si ha la pazienza di girare per il centro storico livornese, soprattutto vicino al mercato centrale e piazza Cavallotti nella zona della sinagoga, si possono ancora ascoltare termini derivati dall’idioma segreto e poi diventate parole assolutamente essoteriche, cioè di pubblico dominio popolare. Tra queste chetilà (angoscia), nganaveà (rubare). E ancora il dispregiativi cazzirù (porcheria), bobo (sciocco), canuccà (persona vecchia e brutta). Anche la roschetta, termine livornese con il quale si indica i taralli salati, deriva dal bagitto.
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ARCHIVIO SU CD-ROM - Franceschini e Orfano hanno realizzato un archivio sonoro memorizzandolo su un Cd-rom. Che, probabilmente, sarà anche pubblicato su Internet. Che il bagitto sia nato a Livorno, probabilmente intorno al diciassettesimo secolo, non è una sorpresa. A quel tempo il porto voluto dai Medici anche per contrastare Pisa, ex repubblica marinara, era un crocevia di etnie, religioni e un esempio altissimo di tolleranza. A Livorno, per la prima volta, furono pensate le così dette leggi Livornine che garantivano la libertà di culto. In città c’erano chiese cattoliche e protestanti, sinagoghe e persino moschee. La comunità ebraica era tra le più importanti in Europa. «Sino a metà a Ottocento il bagitto era un linguaggio completo», spiega Franceschini, «la comunità ebraica, di origine sefardite, aveva ufficialmente due lingue: quella portoghese, per gli atti amministrativi, e quella spagnola come idioma letterario. Il bagitto era la terza lingua con la quale si poteva parlare liberamente in pubblico senza rischiare di essere perseguitati, ma anche solo per raccontare cose intime che gli altri non dovevano sapere. Ed il bagitto è stato usato durante la persecuzione nazifascista». Alcuni testi letterari in bagitto sono già su Internet. E’ il caso della la Betulia liberata di Luigi Duclou, (1832) . Altri si stanno cercando. Perché il segreto idioma può raccontarci ancora qualche incredibile storia che il tempo ha solo coperto ma non cancellato.
Dal Corriere.it
LIVORNO - E’ così misterioso il bagitto, l’antico linguaggio ebraico-livornese, che anche il suo significato sembra essere avvolto da un alone di segretezza esoterica. Che cosa significa? Alcuni studiosi credono che l’etimologia del termine derivi dallo spagnolo bajito, cioè "basso" e dunque sono convinti che il bagitto fosse il linguaggio della popolazione ebraica di basso rango, il “popolino”. Eppure c’è chi, come Fabrizio Franceschini, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Pisa, è convinto che il bagitto sia in realtà un idioma ebraico segreto e che provenga dallo spagnolo hablar bajito, cioè "parlare sottovoce", in modo celato. Un linguaggio, completo e complesso insomma (almeno sino a metà dell’Ottocento) elaborato dalla comunità ebraica livornese una delle più importanti in Italia e in Europa e utilizzato per messaggi “criptati” in caso di pericolo o in situazioni intime.
ESPRESSIONI IN CODICE ANCORA VIVE - «Nel periodo fascista si usavano espressioni in codice del tipo arriva tarzanì, per indicare l’arrivo di un nemico», spiega il professor Franceschini che sul bagitto ha svolto una ricerca insieme ad Alessandro Orfano. Oggi il bagitto è una lingua morta. Eppure se si ha la pazienza di girare per il centro storico livornese, soprattutto vicino al mercato centrale e piazza Cavallotti nella zona della sinagoga, si possono ancora ascoltare termini derivati dall’idioma segreto e poi diventate parole assolutamente essoteriche, cioè di pubblico dominio popolare. Tra queste chetilà (angoscia), nganaveà (rubare). E ancora il dispregiativi cazzirù (porcheria), bobo (sciocco), canuccà (persona vecchia e brutta). Anche la roschetta, termine livornese con il quale si indica i taralli salati, deriva dal bagitto.
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