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Minsky- --------------
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Re: Macron
Pover Stan Laurel, prima osservato che somiglia a F1, ora a quello lì.
Su Lercio un paio di settimane fa:
http://www.lercio.it/mondiali-spagna-italia-e-germania-costruiremo-un-muro-per-contenere-la-boria-francese/
Su Lercio un paio di settimane fa:
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Re: Macron
The Pilot ha scritto:Pover Stan Laurel, prima osservato che somiglia a F1, ora a quello lì.
Su Lercio un paio di settimane fa:
http://www.lercio.it/mondiali-spagna-italia-e-germania-costruiremo-un-muro-per-contenere-la-boria-francese/
Mi hai fatto capitare su questa
http://www.lercio.it/la-moglie-di-travaglio-confessa-si-eccita-solo-se-indosso-le-manette/
(lei probabilmente si eccita solo se lui indossa la stella a sei punte )
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You think normal people just wake up one morning and decide they're going to work in a prison? They're perverts, every last one of them. (Vanessa)
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Re: Macron
LERCIO si è molto ammosciato, non fa quasi più ridere.
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Semino dove non mieterò e spargo dove non raccoglierò
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Re: Macron
Minsky ha scritto:LERCIO si è molto ammosciato, non fa quasi più ridere.
Secondo me bisogna dire che è un filone difficile da mantenere a buon livello, prima o poi le idee si esauriscono, ed anche le energie. In fondo non è molto diverso da Risposte Cristiane
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Re: Macron
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Re: Macron
"In tutta la mia vita non ho mai conosciuto nessuno più cinico di una Nazione"
(Charles De Gaulle)
La guerra tra Francia e Italia per il controllo del petrolio libico
"Immigrazione e Libia: gli obiettivi di Francia e Italia continuano a scontrarsi, ma il vero pomo della discordia tra Roma e Parigi, oggi come ieri, è ancora una volta il Paese nordafricano.
Il tradizionale equilibrio di questi anni che vede l’Italia sostenere il governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj e la Francia appoggiare il generale di Bengasi Khalifa Haftar si sta infatti affievolendo. Lo stratega in questo grande gioco di potere è il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha scagliato la prima pietra mettendo attorno a un tavolo i due uomini forti della Libia. I partecipanti al vertice si sono così impegnati a portare il Paese a nuove elezioni il 10 dicembre 2018. Una decisione che l’Italia, e buona parte della Comunità internazionale, ritiene prematura. Con questa vittoria diplomatica, comunque, la Francia è riuscita a rafforzare la sua influenza sul territorio libico, scavalcando il partner naturale del Paese nordafricano.
I bisticci tra i due Paesi sulla questione libica, però, non sono solo attualità: sono anche storia.
Primo in ordine di tempo è infatti il cosiddetto “schiaffo di Tunisi“: il 12 maggio del 1881 la Francia stabilì, con un’azione di forza, il protettorato sulla Tunisia (al tempo nel Paese vivevano quasi 70mila italiani e Roma era convinta di avere un diritto di prelazione).
Come riporta il Corriere della Sera, negli anni seguenti un nuovo sgambetto da Parigi arriva in occasione della guerra italo-turca, combattuta dal Regno d’Italia contro l’Impero ottomano nel 1911. Roma puntava a impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934 avrebbero costituito la Libia insieme alla regione del Fezzan. I nostri Servizi segnalarono in quei mesi che la Francia permetteva aiuti ai turchi attraverso il confine tunisino. Ma la crisi arrivò al suo apice quando, nel gennaio del 1912, due navi francesi furono bloccate e dirottate verso Cagliari. La prima trasportava un aereo e la seconda – ricorda sempre il quotidiano – una missione turca composta da 29 militari. Dopo vari episodi di tensioni, poi, i due Paesi si riconciliarono e combatterono insieme durante la Grande Guerra.
La Libia, che divenne un Regno nel 1951, è il nono Paese al mondo per riserve di petrolio e il 22esimo per quelle di gas. Un bocconcino, insomma, che la Francia ha sempre corteggiato, cercando di tanto in tanto di scavalcare l’Eni (presente nel territorio libico dagli anni Trenta quando Agip inizia a svolgere attività esplorative nel settore petrolifero acquistando diverse concessioni nel Paese). Cosa poteva fare la Francia a questo punto per cercare di ribaltare la situazione a suo favore? Un altro atto tutt’altro che amichevole arriva nel 1969 con l’avvento al potere del colonnello Gheddafi. L’industria aeronautica stipulò accordi per armare un regime che aveva conquistato il potere con un colpo di Stato. Un regime che nel 1970 avrebbe cacciato dal Paese circa 20mila italiani." (CONTINUA NEL LINK)
Questo per dirvi che, c'è qualcuno che ha sempre soffiato sul fuoco dei conflitti africani, vuoi per favorire uno, vuoi per rimuovere un'altro.
Le famose guerre per procura. E' vero che l'Europa ha conosciuto la pace per 60 anni. In compenso ne ha fomentate centinaia in tutto il resto del Globo...
(Charles De Gaulle)
La guerra tra Francia e Italia per il controllo del petrolio libico
"Immigrazione e Libia: gli obiettivi di Francia e Italia continuano a scontrarsi, ma il vero pomo della discordia tra Roma e Parigi, oggi come ieri, è ancora una volta il Paese nordafricano.
Il tradizionale equilibrio di questi anni che vede l’Italia sostenere il governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj e la Francia appoggiare il generale di Bengasi Khalifa Haftar si sta infatti affievolendo. Lo stratega in questo grande gioco di potere è il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha scagliato la prima pietra mettendo attorno a un tavolo i due uomini forti della Libia. I partecipanti al vertice si sono così impegnati a portare il Paese a nuove elezioni il 10 dicembre 2018. Una decisione che l’Italia, e buona parte della Comunità internazionale, ritiene prematura. Con questa vittoria diplomatica, comunque, la Francia è riuscita a rafforzare la sua influenza sul territorio libico, scavalcando il partner naturale del Paese nordafricano.
I bisticci tra i due Paesi sulla questione libica, però, non sono solo attualità: sono anche storia.
Primo in ordine di tempo è infatti il cosiddetto “schiaffo di Tunisi“: il 12 maggio del 1881 la Francia stabilì, con un’azione di forza, il protettorato sulla Tunisia (al tempo nel Paese vivevano quasi 70mila italiani e Roma era convinta di avere un diritto di prelazione).
Come riporta il Corriere della Sera, negli anni seguenti un nuovo sgambetto da Parigi arriva in occasione della guerra italo-turca, combattuta dal Regno d’Italia contro l’Impero ottomano nel 1911. Roma puntava a impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934 avrebbero costituito la Libia insieme alla regione del Fezzan. I nostri Servizi segnalarono in quei mesi che la Francia permetteva aiuti ai turchi attraverso il confine tunisino. Ma la crisi arrivò al suo apice quando, nel gennaio del 1912, due navi francesi furono bloccate e dirottate verso Cagliari. La prima trasportava un aereo e la seconda – ricorda sempre il quotidiano – una missione turca composta da 29 militari. Dopo vari episodi di tensioni, poi, i due Paesi si riconciliarono e combatterono insieme durante la Grande Guerra.
La Libia, che divenne un Regno nel 1951, è il nono Paese al mondo per riserve di petrolio e il 22esimo per quelle di gas. Un bocconcino, insomma, che la Francia ha sempre corteggiato, cercando di tanto in tanto di scavalcare l’Eni (presente nel territorio libico dagli anni Trenta quando Agip inizia a svolgere attività esplorative nel settore petrolifero acquistando diverse concessioni nel Paese). Cosa poteva fare la Francia a questo punto per cercare di ribaltare la situazione a suo favore? Un altro atto tutt’altro che amichevole arriva nel 1969 con l’avvento al potere del colonnello Gheddafi. L’industria aeronautica stipulò accordi per armare un regime che aveva conquistato il potere con un colpo di Stato. Un regime che nel 1970 avrebbe cacciato dal Paese circa 20mila italiani." (CONTINUA NEL LINK)
Questo per dirvi che, c'è qualcuno che ha sempre soffiato sul fuoco dei conflitti africani, vuoi per favorire uno, vuoi per rimuovere un'altro.
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Re: Macron
Se andiamo avanti così, ci può stare che ricominciamo a farci presto guerra come un secolo fa...
Appello al Reggio Esercito Italiano, alla Regia Marina Italiana, Italiani di Cielo, di Terra, di Mare ...
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Re: Macron
Truppe italiane in Libia: tutti i rischi dell’opzione militare
Forze speciali italiane in Libia: ecco il documento top secret
"L'Italia è in guerra.
...Se si decide di mettere piede in Libia, naturalmente con la patente dell'Onu, dell'Europa o della Nato (meglio dell'Onu visto che conduce i negoziati tra le fazioni), bisogna anche sapere cosa ci aspetta. E a maggior ragione visti i precedenti coloniali in Libia e quanto accaduto nel 2011. Dopo i raid promossi dalla Francia e della Gran Bretagna, appoggiati dai Cruise americani, anche l'Italia entrò nella missione: una decisione non di poco conto visto che sei mesi prima ricevevamo Gheddafi in pompa magna a Roma firmando (con la ratifica a grande maggioranza del Parlamento) un trattato di cooperazione e sicurezza che ci impegnava a salvaguardare il regime.
Accettammo allora le decisioni altrui per non restare ai margini e difendere gli interessi economici ed energetici ma si trattò comunque di una clamorosa virata della politica estera italiana in Nordafrica che non è passata inosservata. Ora è sulle intenzioni del governo italiano che ruotano le polemiche e il dibattito, come al solito confuso. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha fatto sapere che «l'Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell'area, europei e dell'Africa del Nord, per fermare l'avanzata del Califfato arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste».
Queste dichiarazioni dopo quelle del ministro degli Esteri Gentiloni vanno soppesate perché si tratta di informazioni importanti: ci sarebbe quindi la possibilità di formare una coalizione a guida italiana. Sarebbe, se risultasse vera, una buona notizia perché vorrebbe dire che questa volta non siamo al traino di qualcuno e possiamo decidere insieme agli altri alleati obiettivi e metodi di intervento.
Ma dobbiamo sapere anche un'altra cosa: una volta messi gli anfibi sul terreno bisogna restarci, e forse anche a lungo, per stabilizzare la Libia. I rischi di perdite tra i soldati in scontri e attentati sono alti. E sicuramente questi rischi erano inferiori mesi fa, quando da più parti si invocava un intervento internazionale in Libia. La missione militare comporta un costo umano, politico ed economico che i Paesi schierati contro Gheddafi nel 2011 non vollero accettare lasciando che il Paese sprofondasse nell'anarchia e nel caos dove adesso si è infilato il Califfato. Ma proprio di questo oggi si parla: saldare un conto aperto lasciato in sospeso da altri. Armiamoci e partite, quindi, sapendo bene però dove si va e a quale prezzo. ..." (CONTINUA NEL LINK, COSI', TRA LE ALTRE COSE, AIUTI IL GIORNALISTA CHE QUESTO ARTICOLO LO HA SCRITTO...)
"Quando i leader parlano di pace, la gente comune sa che la guerra sta per arrivare. Quando i leader maledicono la guerra, l'ordine di mobilitazione è già firmato."
(Bertolt Brecht)
Forze speciali italiane in Libia: ecco il documento top secret
"L'Italia è in guerra.
...Se si decide di mettere piede in Libia, naturalmente con la patente dell'Onu, dell'Europa o della Nato (meglio dell'Onu visto che conduce i negoziati tra le fazioni), bisogna anche sapere cosa ci aspetta. E a maggior ragione visti i precedenti coloniali in Libia e quanto accaduto nel 2011. Dopo i raid promossi dalla Francia e della Gran Bretagna, appoggiati dai Cruise americani, anche l'Italia entrò nella missione: una decisione non di poco conto visto che sei mesi prima ricevevamo Gheddafi in pompa magna a Roma firmando (con la ratifica a grande maggioranza del Parlamento) un trattato di cooperazione e sicurezza che ci impegnava a salvaguardare il regime.
Accettammo allora le decisioni altrui per non restare ai margini e difendere gli interessi economici ed energetici ma si trattò comunque di una clamorosa virata della politica estera italiana in Nordafrica che non è passata inosservata. Ora è sulle intenzioni del governo italiano che ruotano le polemiche e il dibattito, come al solito confuso. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha fatto sapere che «l'Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell'area, europei e dell'Africa del Nord, per fermare l'avanzata del Califfato arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste».
Queste dichiarazioni dopo quelle del ministro degli Esteri Gentiloni vanno soppesate perché si tratta di informazioni importanti: ci sarebbe quindi la possibilità di formare una coalizione a guida italiana. Sarebbe, se risultasse vera, una buona notizia perché vorrebbe dire che questa volta non siamo al traino di qualcuno e possiamo decidere insieme agli altri alleati obiettivi e metodi di intervento.
Ma dobbiamo sapere anche un'altra cosa: una volta messi gli anfibi sul terreno bisogna restarci, e forse anche a lungo, per stabilizzare la Libia. I rischi di perdite tra i soldati in scontri e attentati sono alti. E sicuramente questi rischi erano inferiori mesi fa, quando da più parti si invocava un intervento internazionale in Libia. La missione militare comporta un costo umano, politico ed economico che i Paesi schierati contro Gheddafi nel 2011 non vollero accettare lasciando che il Paese sprofondasse nell'anarchia e nel caos dove adesso si è infilato il Califfato. Ma proprio di questo oggi si parla: saldare un conto aperto lasciato in sospeso da altri. Armiamoci e partite, quindi, sapendo bene però dove si va e a quale prezzo. ..." (CONTINUA NEL LINK, COSI', TRA LE ALTRE COSE, AIUTI IL GIORNALISTA CHE QUESTO ARTICOLO LO HA SCRITTO...)
"Quando i leader parlano di pace, la gente comune sa che la guerra sta per arrivare. Quando i leader maledicono la guerra, l'ordine di mobilitazione è già firmato."
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Re: Macron
Riflettiamo..
Da un lato della barricata abbiamo un Paese (si fa fatica a definirlo tale...) l'Italia, che ha come duce un leader formatosi ai quiz di "Gira la Ruota"...
... coadiuvato da un tal Gigino Di Maio, un'altra aquila che svetta 1.000 metri sopra a Churchill: spara una ca$$ata al giorno per il suo progetto campato in aria di dare 800 euro a ufa, ed ogni giorno lo spread sale di 100 punti.
-----
Sull'altro fronte abbiamo lui, un Salvini dal volto ripulito, con la barba fatta, ma altrettanto ambizioso e pericoloso. E sommerso dai pettegolezzi ...
Emmanuel Macron, dalla prof-moglie Brigitte Trogneux ai rumors sulla doppia vita gay: la vita privata tra favola e gossip.
"Si è sposato nel 2007 con la sua prof del liceo, che per lui ha lasciato il marito (dal quale ha avuto tre figli). Tra Bibi e Manu ci sono 24 anni di differenza. E i media - russi, soprattutto, che a ruota seguono quelli francesi - speculano sul loro rapporto e sulla presunta omosessualità del candidato all'Eliseo. Sempre smentita: "Sento dire che avrei una vita nascosta. È spiacevole per Brigitte - ha detto -, e siccome passo i miei giorni e le mie notti con lei, si domanda come io faccia"" (CONTINUA)
Non so voi, ma uno che a 16 anni si mette con una di 41, tutte le rotelle a posto non ce l'ha. Ok se ti $€opi la prof per prendere tutti 10 per due o tre anni, ma poi stop. Dopo ti butti sulla carne tosta, quei €u/i e quelle |e||e antigravitazionali, quelle robe che ti aspettano di diritto quando hai i tuoi 220 anni. Per Diana!
Insomma, basta solo che il nostro statista Pranzo è Servito dica al fichetto d'Oltralpe:
- Fro€io!
... e quello CI scaglia contro tutta la force de frappe che, tanto pazientemente, aveva coStruito il buon De Gaulle ...
Come diceva il buon Pozzetto: "Se tutto va bene, siamo rovinati ..."
Da un lato della barricata abbiamo un Paese (si fa fatica a definirlo tale...) l'Italia, che ha come duce un leader formatosi ai quiz di "Gira la Ruota"...
... coadiuvato da un tal Gigino Di Maio, un'altra aquila che svetta 1.000 metri sopra a Churchill: spara una ca$$ata al giorno per il suo progetto campato in aria di dare 800 euro a ufa, ed ogni giorno lo spread sale di 100 punti.
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Sull'altro fronte abbiamo lui, un Salvini dal volto ripulito, con la barba fatta, ma altrettanto ambizioso e pericoloso. E sommerso dai pettegolezzi ...
Emmanuel Macron, dalla prof-moglie Brigitte Trogneux ai rumors sulla doppia vita gay: la vita privata tra favola e gossip.
"Si è sposato nel 2007 con la sua prof del liceo, che per lui ha lasciato il marito (dal quale ha avuto tre figli). Tra Bibi e Manu ci sono 24 anni di differenza. E i media - russi, soprattutto, che a ruota seguono quelli francesi - speculano sul loro rapporto e sulla presunta omosessualità del candidato all'Eliseo. Sempre smentita: "Sento dire che avrei una vita nascosta. È spiacevole per Brigitte - ha detto -, e siccome passo i miei giorni e le mie notti con lei, si domanda come io faccia"" (CONTINUA)
Non so voi, ma uno che a 16 anni si mette con una di 41, tutte le rotelle a posto non ce l'ha. Ok se ti $€opi la prof per prendere tutti 10 per due o tre anni, ma poi stop. Dopo ti butti sulla carne tosta, quei €u/i e quelle |e||e antigravitazionali, quelle robe che ti aspettano di diritto quando hai i tuoi 220 anni. Per Diana!
Insomma, basta solo che il nostro statista Pranzo è Servito dica al fichetto d'Oltralpe:
- Fro€io!
... e quello CI scaglia contro tutta la force de frappe che, tanto pazientemente, aveva coStruito il buon De Gaulle ...
Come diceva il buon Pozzetto: "Se tutto va bene, siamo rovinati ..."
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Re: Macron
Macron sfida anche Xi Jinping Ecco il piano contro la Cina in Africa
"La campagna d’Africa di Emmanuel Macron non si ferma più. Dopo aver confermato l’impegno militare in Sahel, operato per rovesciare la leadership italiana in Libia e consolidato i rapporti con il Nordafrica, il presidente francese ha un nuovo obiettivo: sfidare la Cina per il controllo del continente africano.
Il ministro degli Esteri Jean Yves Le Drian ha annunciato oggi il nuovo piano di Parigi per l’Africa “Stiamo reinventando la logica della politica francese di cooperazione allo sviluppo, concentrandoci su paesi poveri e fragili. Nel 2019 un budget di un miliardo di euro sarà destinato alle donazioni, contro 300 milioni oggi”.
Numeri importanti: che testimoniano l’assoluta centralità del continente africano per la strategia francese. Non esiste politica estera di Parigi che non abbia l’Africa come primo punto all’ordine del giorno. E in questi anni, l’avanzata cinese e la contemporanea presenza degli Stati Uniti ha messo in serio pericolo l’influenza francese: anche sulle sue ex colonie.
E questa volontà di leadership sull’Africa l’ha ribadita, in maniera molto chiara, lo stesso Le Drian. “Non è solo una questione di fondi ma di approccio stesso. Si tratta di investimenti solidali piuttosto che di aiuti. Riconosciamo come legittimo il legame tra sforzo di solidarietà internazionale e benefici per la Francia in termini di attrattiva, influenza e sicurezza”. Niente giri di parole insomma: c’è un legame cristallino fra aiuti e interessi. E finalmente, l’ipocrisia del sostengo umanitario è finita.
Ma perché questo annuncio dovrebbe essere considerato una sfida alla Cina? Il motivo è legato al tempismo dell’annuncio. Ieri, il presidente cinese, Xi Jinping, ha fatto una promessa: 60 miliardi di dollari tra aiuti finanziari e investimenti per i Paesi africani riuniti ieri a Pechino. Ma non solo, il leader cinese ha anche annunciato la cancellazione del debito dei Paesi più poveri con la Cina.
La proposta cinese è globale. Xi non vuole soltanto cooperare ma penetrare in Africa, costruendo solide alleanze politiche e strategiche. I 60 miliardi di dollari serviranno infatti a sostenere otto iniziative che vanno dalla sanità alla sicurezza alle infrastrutture, ma anche allo sviluppo di tecnologie innovative e non inquinanti. Iniziative in cui, naturalmente, il controllo sarà della Cina e delle sue aziende.
Come ha rivelato lo stesso Xi, questi 60 miliardi saranno così suddivisi: 15 in aiuti e prestiti a interessi zero o super agevolati; 20 miliardi per una linea di credito; 10 miliardi per il fondo per lo sviluppo Cina-Africa. Cinque miliardi sono invece il budget destinato a un fondo speciale per le importazioni dall’Africa. Un settore particolarmente importante, visto che il governo cinese ha annunciato la nascita della China-Africa Economic and Trade Expo.
Un annuncio del genere significa che Pechino vuole prendersi l’Africa. E questo, per Parigi, è un problema strategico di assoluta priorità. L’Agenzia francese per lo sviluppo ha ricevuto un ampliamento del budget fino a 14 miliardi per il 2019. Una cifra lontana dai 60 investiti da Pechino. Ma vista la differenza economia e industriale tra i due Paesi, la cifra è considerevole.
Il problema è che adesso Macron si trova a sfidare non un Paese di pari livello, ma un gigante." (CONTINUA NEL LINK SOPRA)
"La campagna d’Africa di Emmanuel Macron non si ferma più. Dopo aver confermato l’impegno militare in Sahel, operato per rovesciare la leadership italiana in Libia e consolidato i rapporti con il Nordafrica, il presidente francese ha un nuovo obiettivo: sfidare la Cina per il controllo del continente africano.
Il ministro degli Esteri Jean Yves Le Drian ha annunciato oggi il nuovo piano di Parigi per l’Africa “Stiamo reinventando la logica della politica francese di cooperazione allo sviluppo, concentrandoci su paesi poveri e fragili. Nel 2019 un budget di un miliardo di euro sarà destinato alle donazioni, contro 300 milioni oggi”.
Numeri importanti: che testimoniano l’assoluta centralità del continente africano per la strategia francese. Non esiste politica estera di Parigi che non abbia l’Africa come primo punto all’ordine del giorno. E in questi anni, l’avanzata cinese e la contemporanea presenza degli Stati Uniti ha messo in serio pericolo l’influenza francese: anche sulle sue ex colonie.
E questa volontà di leadership sull’Africa l’ha ribadita, in maniera molto chiara, lo stesso Le Drian. “Non è solo una questione di fondi ma di approccio stesso. Si tratta di investimenti solidali piuttosto che di aiuti. Riconosciamo come legittimo il legame tra sforzo di solidarietà internazionale e benefici per la Francia in termini di attrattiva, influenza e sicurezza”. Niente giri di parole insomma: c’è un legame cristallino fra aiuti e interessi. E finalmente, l’ipocrisia del sostengo umanitario è finita.
Ma perché questo annuncio dovrebbe essere considerato una sfida alla Cina? Il motivo è legato al tempismo dell’annuncio. Ieri, il presidente cinese, Xi Jinping, ha fatto una promessa: 60 miliardi di dollari tra aiuti finanziari e investimenti per i Paesi africani riuniti ieri a Pechino. Ma non solo, il leader cinese ha anche annunciato la cancellazione del debito dei Paesi più poveri con la Cina.
La proposta cinese è globale. Xi non vuole soltanto cooperare ma penetrare in Africa, costruendo solide alleanze politiche e strategiche. I 60 miliardi di dollari serviranno infatti a sostenere otto iniziative che vanno dalla sanità alla sicurezza alle infrastrutture, ma anche allo sviluppo di tecnologie innovative e non inquinanti. Iniziative in cui, naturalmente, il controllo sarà della Cina e delle sue aziende.
Come ha rivelato lo stesso Xi, questi 60 miliardi saranno così suddivisi: 15 in aiuti e prestiti a interessi zero o super agevolati; 20 miliardi per una linea di credito; 10 miliardi per il fondo per lo sviluppo Cina-Africa. Cinque miliardi sono invece il budget destinato a un fondo speciale per le importazioni dall’Africa. Un settore particolarmente importante, visto che il governo cinese ha annunciato la nascita della China-Africa Economic and Trade Expo.
Un annuncio del genere significa che Pechino vuole prendersi l’Africa. E questo, per Parigi, è un problema strategico di assoluta priorità. L’Agenzia francese per lo sviluppo ha ricevuto un ampliamento del budget fino a 14 miliardi per il 2019. Una cifra lontana dai 60 investiti da Pechino. Ma vista la differenza economia e industriale tra i due Paesi, la cifra è considerevole.
Il problema è che adesso Macron si trova a sfidare non un Paese di pari livello, ma un gigante." (CONTINUA NEL LINK SOPRA)
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Re: Macron
L'Africa sarà la Cina dei cinesi. Gli aiuti non vanno certo a fondo perduto, per rimanere competitivi i cinesi devono continuare ad avere manifattura a bassissimo costo. Ma in Cina i lavoratori cominciano a pretendere salari più consistenti, orari più umani, ferie e diritti. In Africa ci sono un miliardo di morti di fame, disposti a tutto per campare, lavoreranno per un tozzo di pane. E il ciclo continua... fino allo schianto finale. Perché la gabbia dei conigli è strapiena già da tempo.holubice ha scritto:Macron sfida anche Xi Jinping Ecco il piano contro la Cina in Africa
"La campagna d’Africa di Emmanuel Macron non si ferma più. Dopo aver confermato l’impegno militare in Sahel, operato per rovesciare la leadership italiana in Libia e consolidato i rapporti con il Nordafrica, il presidente francese ha un nuovo obiettivo: sfidare la Cina per il controllo del continente africano.
Il ministro degli Esteri Jean Yves Le Drian ha annunciato oggi il nuovo piano di Parigi per l’Africa “Stiamo reinventando la logica della politica francese di cooperazione allo sviluppo, concentrandoci su paesi poveri e fragili. Nel 2019 un budget di un miliardo di euro sarà destinato alle donazioni, contro 300 milioni oggi”.
Numeri importanti: che testimoniano l’assoluta centralità del continente africano per la strategia francese. Non esiste politica estera di Parigi che non abbia l’Africa come primo punto all’ordine del giorno. E in questi anni, l’avanzata cinese e la contemporanea presenza degli Stati Uniti ha messo in serio pericolo l’influenza francese: anche sulle sue ex colonie.
E questa volontà di leadership sull’Africa l’ha ribadita, in maniera molto chiara, lo stesso Le Drian. “Non è solo una questione di fondi ma di approccio stesso. Si tratta di investimenti solidali piuttosto che di aiuti. Riconosciamo come legittimo il legame tra sforzo di solidarietà internazionale e benefici per la Francia in termini di attrattiva, influenza e sicurezza”. Niente giri di parole insomma: c’è un legame cristallino fra aiuti e interessi. E finalmente, l’ipocrisia del sostengo umanitario è finita.
Ma perché questo annuncio dovrebbe essere considerato una sfida alla Cina? Il motivo è legato al tempismo dell’annuncio. Ieri, il presidente cinese, Xi Jinping, ha fatto una promessa: 60 miliardi di dollari tra aiuti finanziari e investimenti per i Paesi africani riuniti ieri a Pechino. Ma non solo, il leader cinese ha anche annunciato la cancellazione del debito dei Paesi più poveri con la Cina.
La proposta cinese è globale. Xi non vuole soltanto cooperare ma penetrare in Africa, costruendo solide alleanze politiche e strategiche. I 60 miliardi di dollari serviranno infatti a sostenere otto iniziative che vanno dalla sanità alla sicurezza alle infrastrutture, ma anche allo sviluppo di tecnologie innovative e non inquinanti. Iniziative in cui, naturalmente, il controllo sarà della Cina e delle sue aziende.
Come ha rivelato lo stesso Xi, questi 60 miliardi saranno così suddivisi: 15 in aiuti e prestiti a interessi zero o super agevolati; 20 miliardi per una linea di credito; 10 miliardi per il fondo per lo sviluppo Cina-Africa. Cinque miliardi sono invece il budget destinato a un fondo speciale per le importazioni dall’Africa. Un settore particolarmente importante, visto che il governo cinese ha annunciato la nascita della China-Africa Economic and Trade Expo.
Un annuncio del genere significa che Pechino vuole prendersi l’Africa. E questo, per Parigi, è un problema strategico di assoluta priorità. L’Agenzia francese per lo sviluppo ha ricevuto un ampliamento del budget fino a 14 miliardi per il 2019. Una cifra lontana dai 60 investiti da Pechino. Ma vista la differenza economia e industriale tra i due Paesi, la cifra è considerevole.
Il problema è che adesso Macron si trova a sfidare non un Paese di pari livello, ma un gigante." (CONTINUA NEL LINK SOPRA)
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Re: Macron
Minsky ha scritto:
L'Africa sarà la Cina dei cinesi. Gli aiuti non vanno certo a fondo perduto, per rimanere competitivi i cinesi devono continuare ad avere manifattura a bassissimo costo. Ma in Cina i lavoratori cominciano a pretendere salari più consistenti, orari più umani, ferie e diritti. In Africa ci sono un miliardo di morti di fame, disposti a tutto per campare, lavoreranno per un tozzo di pane. E il ciclo continua... fino allo schianto finale. Perché la gabbia dei conigli è strapiena già da tempo.
Condivido tutto quello che hai scritto. Punti e virgole comprese.
Ma non sei stato il primo ad arrivarci.
Mi pare che fosse il buon ...
... Karl Marx a dire, mi pare nel suo Manifesto del Partito Comunista, che il Capitalista, per sua stessa natura, sarebbe stato sempre portato a spostare il suo capitale, di Paese in Paese, sempre là dove avesse trovato condizioni di (sfruttamento) più favorevoli.
Mi viene da dire, a sua discolpa, che se non lo fa, in un sistema in cui tutti lo fanno, dopo tot mesi è economicamente morto.
Perché, secondo voi, tutto sto puttanaio della Globalizzazione, dal 1945 al 1995, per ben 50 anni, non è scoppiato fuori?
Pensate forse che, tra India, Indocina, Africa, Centro e Sud America non ci fossero già allora un 2 miliardi di persone da ridurre in schiavitù?
Se per tutto quel tempo non è stato fatto è perché lo spauracchio di un Patto di Varsavia che, nel bene o nel male, ti assicurava un (piccolo) appartamento prefabbricato, una (piccola) pensione, un (sgangherato) ospedale accessibile a tutti, beh questa alternativa non consentiva al nostro Capitalista di andare sotto una certa asticella.
Passata la quale, il fantasma dell'Esproprio Proletario era sempre dietro l'angolo, con decine di migliaia di carri armati, e (mi pare) 8.000 missili atomici pronti a dargli manforte ...
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(Eraclito, detto l'Oscuro...)
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Re: Macron
Tutto questo casino mi ricorda questo periodo ...
Diplomazia delle cannoniere
"L'espressione sarebbe nata nel colonialismo imperialista, in cui le potenze europee intimidirono altri stati nello stringere accordi commerciali o altri trattati mediante la dimostrazione della propria superiorità militare, generalmente inviando una nave militare o flotta di navi militari al largo del paese che si voleva obbligare a stringere un trattato. Un esempio famoso e controverso di diplomazia delle cannoniere fu il caso Don Pacifico nel 1850, in cui il segretario di Stato per gli affari esteri Lord Palmerston inviò uno squadrone della Royal Navy a imporre un blocco navale al Pireo, il porto di Atene, come rappresaglia ai danni subiti dal suddito britannico David Pacifico ad Atene e il fallimento del governo di re Otto di Grecia nel compensarli.
Portaerei classe Nimitz, le più potenti navi capitali correntemente in servizio
Quando gli Stati Uniti divennero una potenza militare nella prima decade del XX secolo, la versione Roosveltiana della diplomazia delle cannoniere, la politica del grosso bastone, venne parzialmente superata dalla diplomazia del dollaro: rimpiazzando il grosso bastone con la "carota succosa" degli investimenti privati statunitensi. Comunque, durante la sua presidenza, Woodrow Wilson ricorse alla convenzionale diplomazia delle cannoniere, per esempio durante l'occupazione statunitense di Veracruz durante la rivoluzione messicana nel 1914.
Dopo la guerra fredda la diplomazia delle cannoniere ha continuato a basarsi principalmente sull'uso di forze navali, grazie alla sopraffacente potenza militare della United States Navy. I governi statunitensi hanno frequentemente cambiato la posizione delle principali flotte per influenzare l'opinione in capitali straniere.
L'efficacia di questa semplice dimostrazione della capacità di proiezione della forza di una nazione significava che le potenze navali, soprattutto il Regno Unito potevano stabilire basi militari (per esempio Diego Garcia) e stringere relazioni economiche favorevoli in tutto il mondo. Escludendo la conquista militare la diplomazia delle cannoniere fu il modo dominante per ottenere nuovi partner commerciali, avamposti coloniali ed espandere l'impero.
Diplomazia delle cannoniere
"L'espressione sarebbe nata nel colonialismo imperialista, in cui le potenze europee intimidirono altri stati nello stringere accordi commerciali o altri trattati mediante la dimostrazione della propria superiorità militare, generalmente inviando una nave militare o flotta di navi militari al largo del paese che si voleva obbligare a stringere un trattato. Un esempio famoso e controverso di diplomazia delle cannoniere fu il caso Don Pacifico nel 1850, in cui il segretario di Stato per gli affari esteri Lord Palmerston inviò uno squadrone della Royal Navy a imporre un blocco navale al Pireo, il porto di Atene, come rappresaglia ai danni subiti dal suddito britannico David Pacifico ad Atene e il fallimento del governo di re Otto di Grecia nel compensarli.
Portaerei classe Nimitz, le più potenti navi capitali correntemente in servizio
Quando gli Stati Uniti divennero una potenza militare nella prima decade del XX secolo, la versione Roosveltiana della diplomazia delle cannoniere, la politica del grosso bastone, venne parzialmente superata dalla diplomazia del dollaro: rimpiazzando il grosso bastone con la "carota succosa" degli investimenti privati statunitensi. Comunque, durante la sua presidenza, Woodrow Wilson ricorse alla convenzionale diplomazia delle cannoniere, per esempio durante l'occupazione statunitense di Veracruz durante la rivoluzione messicana nel 1914.
Dopo la guerra fredda la diplomazia delle cannoniere ha continuato a basarsi principalmente sull'uso di forze navali, grazie alla sopraffacente potenza militare della United States Navy. I governi statunitensi hanno frequentemente cambiato la posizione delle principali flotte per influenzare l'opinione in capitali straniere.
L'efficacia di questa semplice dimostrazione della capacità di proiezione della forza di una nazione significava che le potenze navali, soprattutto il Regno Unito potevano stabilire basi militari (per esempio Diego Garcia) e stringere relazioni economiche favorevoli in tutto il mondo. Escludendo la conquista militare la diplomazia delle cannoniere fu il modo dominante per ottenere nuovi partner commerciali, avamposti coloniali ed espandere l'impero.
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Re: Macron
Il Sole 24 ORE ha scritto:Chi sono i gilet gialli che stanno assaltando Parigi (e Macron)
–di Alb.Ma. 01 dicembre 2018
In francese si chiamano gilets jaune, gilet gialli: il movimento di protesta che sta assediando Parigi, dalle violenze agli Champs-Elysées (con un bilancio finale di 133 feriti e 378 fermi il primo dicembre) ai blocchi sulle strade di tutto il paese. Il nome deriva dal giubbotto che gli automobilisti devono indossare nelle situazioni di emergenza, obbligatorio anche in Italia per aumentare la propria visibilità sulla strada. La protesta è esplosa contro un rialzo dei prezzi del carburante previsto dal governo di Emmanuel Macron all’interno di piano per la transizione energetica del paese.
La mobilitazione è nata da una raccolta di firme online, trasformandosi in un movimento di piazza che sta mettendo sotto pressione la leadership di Macron. La battaglia originaria contro il caro benzina (e diesel) si è allargata a rivendicazioni più generali su potere d’acquisto e tagli alle tasse, dando sfogo al malcontento che ha fatto piombare ai minimi la popolarità del titolare dell’Eliseo. Il gruppo ha dato vita a tre proteste diverse a Parigi, scatenando situazioni di guerriglia urbana, oltre a bloccare le principali arterie del paese con 2mila «appostamenti» sulle strade solo lo scorso 17 novembre.
Da cosa nasce la protesta
La miccia della mobilitazione è stata il rincaro sul carburante previsto dall’esecutivo di Macron, nel vivo di un programma di transizione energetica in favore di vetture elettriche e mezzi pubblici. La misura viene avvertita come una sorta di «tassa sui poveri», perché tocca nella tasca i milioni di pendolari francesi costretti a fare ricorso all’automobile. I costi sul diesel sono già aumentati del 23% nell’arco di un anno, secondo dati dell’Associated French press, arrivando a una media di 1,51 euro al litro. Il governo francese ha incrementato la tassa sugli idrocarburi, aumentandola di 7,6 centesimi al litro sul diesel e di 3,9 centesimi sulla benzina. Dal 2019 arriveranno altri 6,5 centesimi a litro sul diesel e 2,9 centesimi sulle benzina, considerati il colpo di grazia definitivo. I portavoce del movimento spiegano che l’obiettivo è ottenere misure per aumentare il potere d’acquisto, eroso da anni della crisi e una pressione fiscale giudicata insostenibile. Il gruppo dichiara di non avversare la riconversione ecologica in sé, ma l’imposizione di un rincaro scaricato sulle spalle del ceto medio.
Una «rivoluzione» coordinata sui social network
Non è chiaro quali siano le dimensioni effettive del movimento. La mobilitazione del 24 novembre è riuscita a portare in strada oltre 100mila persone in tutta la Francia, distribuite fra blocchi stradali e città. Le dimostrazioni sono coordinate online, attraverso una strategia che salda social network (come Facebook) a portali web ufficiali o semiufficiali. È il caso di Blocage 17 Novembre («Blocchi del 17 novembre», la prima data di sollevazione, ndr), oggi arrivata oltre le 32mila adesioni in meno di tre settimane di vita. La bacheca rimanda a un sito che sembra fare da raccordo per i manifestanti, con tanto di una mappa interattiva per segnalare i blocchi distribuiti per la Francia. Gli utenti possono comunicare a seconda della zona geografica, organizzandosi in micro-forum per stabilire dove e come pianificare il blocco. I media internazionali fanno notare che la decentralizzazione del movimento sta comportando un cambio di paradigma brusco per la storia sindacale del paese. Le parti sociali erano e sono capaci di mobilitare scioperi anche più radicali di quelli messi in piedi dai gilet gialli, ma con la possibiità di ritirarli dopo i negoziati. In questo caso, l’assenza di una cabina di regia univoca rende più imprevedibile l’evoluzione delle proteste e di una eventuale trattativa.
Le simpatie politiche e le infiltrazioni dall’esterno
Il movimento continua a dichiararsi, per ora, del tutto apolitico e apartitico. Nel frattempo però le sollevazioni hanno incassato consensi fra le frange estreme di destra e sinistra, ottenendo l’appoggio di Marine Le Pen (leader della forza di ultradestra Rassemblement National, erede del neofascista Front National) e Jean-Luc Mélenchon (fondatore di France insoumise, «Francia indomita», sigla di sinistra radicale simile all’esperimento spagnolo di Podemos). I collanti fra i due sono l’avversione a Macron e l’appoggio a una battaglia che riproduce la spaccatura «basso contro alto», dove il basso sono le province martoriate dal fisco e l’alto le èlite politiche e finanziarie. Fra i vari motivi di acredine nei confronti del piano ecologico di Macron c’è la spinta sull’acquisto di vetture elettriche, ritenuto irrealistico e fuori dalla portata delle fasce di popolazione che animano la manifestazione. In occasione delle sommosse parigine si è parlato di «infiltrazione» di gruppi di estremisti, sia di destra che di sinistra, anche a giustificazione delle scene di guerriglia che si sono vissute nella capitale.
E Macron come ha reagito?
I gilet gialli sono il culmine di una crisi di popolarità che ha svelato tutte le fragilità di Emmanuel Macron, come uomo politico e nella sua carica istituzionale. Per ora il presidente ha risposto dichiarando di «capire» le motivazioni dei gilet gialli, salvo mantenere la propria linea sulla transizione energetica e il rincaro dei carburanti che ha fatto esplodere il risentimento di piazza. Sono stati anche tentati dei colloqui fra esponenti del governo e ministri del suo esecutivo, senza ottenere risultati significativi. Oggi il titolare dellEliseo è scivolato ai minimi storici di popolarità, con un consenso stimato dalla società di ricerca YouGov al 32%. Sanare la frattura con la piazza potrebbe essere un primo elemento di riscatto, anche se non è chiaro quali siano i margini di dialogo con i suoi avversari. Alcuni esponenti dei gilets jaune hanno messo in chiaro che l’obiettivo non è trattare con Macron, ma destituirlo.
https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-12-01/chi-sono-gilet-gialli-che-stanno-assaltando-parigi-e-macron-125718.shtml
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Re: Macron
Che Macron sia un diversamente furbo non ci piove, ma sembra che i gilet gialli siano un po' stati o pompati o strumentalizzati da qualcuno. In diversi li stanno paragonando ai "forconi", che erano nati come una protesta di autotrasportatori.
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Re: Macron
Reuters ha scritto:Parigi, dopo i gilet gialli, in piazza studenti e ambulanze
3/12/2018
Dopo i gilet gialli, protestano le ambulanze. Tutti contro il presidente Macron, chiamato il «presidente dei ricchi», e il suo governo. Parigi è stata invasa lunedì mattina da un centinaio di mezzi di soccorso che hanno bloccato alcuni accessi a Place de la Concorde per chiedere la sospensione della riforma del finanziamento del trasporto sanitario che rischia di mettere in ginocchio le piccole e medie imprese del settore. Sirene spiegate, lancio di petardi, mezzi parcheggiati in file selvagge davanti all’Assemblea Nazionale. Bloccato anche l’accesso alla piazza da rue de Rivoli.
Focus della protesta, il progetto di bilancio previdenziale 2019, entrato in vigore l’1 ottobre 2018. Le regole di trasporto tra le strutture sanitarie sono state rivoluzionate: ora gli ospedali e le cliniche possono scegliere le loro ambulanze tramite gara, sostenendone direttamente i costi. Si è innescato un meccanismo di concorrenza in un settore in cui le licenze possono arrivare a costare 200mila euro e i mezzi non sono certo economici. Secondo i piccoli e medi imprenditori del settore, la novità favorisce le grandi aziende perché sono in grado di offrire i servizi a prezzi scontati.
Protestano anche gli studenti, contro le riforme dell’istruzione e, in qualche caso, a sostegno del movimento dei gilet gialli. I sindacati dei liceali (le sigle UNL, SGL, Fidl) contestano in particolare le riforme del diploma e del liceo e la piattaforma Parcoursup di accesso agli studi superiori. I liceali sono contro la selezione all’università, il servizio nazionale universale e il taglio al numero di docenti.
Fra le zone più toccate quella di Tolosa (dove sono coinvolti una quarantina di istituti) e Creteil (con una ventina di scuole coinvolte). A Nizza circa un migliaio di studenti hanno manifestato a sostegno dei gilet gialli al grido di “Macron dimettiti”. La protesta è andata in scena già domenica, quando alcune decine di studenti di licei della Costa Azzurra hanno bloccato l’autostrada, fermando il traffico locale tra Nizza e Sophia Antipolis, costringendo la polizia ad intervenire.
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Re: Macron
Ma hanno fatto i conti con www? No perché nascondere notizie mi pare duretta eh
E poi Macron lo hanno eletto loro no? È la democrazia
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Re: Macron
D'altronde per loro le rivoluzioni sono una tradizione... noi invece, come dice Ascanio Celestini, teniamo più all'igiene ed abbiamo inventato il bidet
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Re: Macron
Koan ha scritto:D'altronde per loro le rivoluzioni sono una tradizione... noi invece, come dice Ascanio Celestini, teniamo più all'igiene ed abbiamo inventato il bidet
E dice una boiata, perché anche quello lo hanno inventato i francesi
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Re: Macron
Lo so, e lo sa pure lui. D'altronde il nome non mente. Ma lo spirito dell'osservazione è giusto visto che dopo l'hanno subito ripudiatoRasputin ha scritto:Koan ha scritto:D'altronde per loro le rivoluzioni sono una tradizione... noi invece, come dice Ascanio Celestini, teniamo più all'igiene ed abbiamo inventato il bidet
E dice una boiata, perché anche quello lo hanno inventato i francesi
p.s. : che spaccaminchia che sei
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Re: Macron
Koan ha scritto:[...]
p.s. : che spaccaminchia che sei
È che ho avuto una dura scuola, e la sto continuando ad avere, tra Marisella e te...
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Re: Macron
Rasp sarà meglio che rimetti il culo in carreggiata e cominci a cacarmi anelli con brillanti su un piatto d'argentoRasputin ha scritto:Koan ha scritto:[...]
p.s. : che spaccaminchia che sei
È che ho avuto una dura scuola, e la sto continuando ad avere, tra Marisella e te...
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Re: Macron
Koan ha scritto:
Rasp sarà meglio che rimetti il culo in carreggiata e cominci a cacarmi anelli con brillanti su un piatto d'argento
a me invece sa che hai scelto l'immagine sbagliata
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Re: Macron
Ricordo questa clip... davvero incredibile la potenza dell'immagine, riesce ad esprimere la follia perfetttamente!Rasputin ha scritto:Koan ha scritto:
Rasp sarà meglio che rimetti il culo in carreggiata e cominci a cacarmi anelli con brillanti su un piatto d'argento
a me invece sa che hai scelto l'immagine sbagliata
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Re: Macron
Koan ha scritto:
Ricordo questa clip... davvero incredibile la potenza dell'immagine, riesce ad esprimere la follia perfetttamente!
Clip?? Quelle sono inquadrature da un filmone di Kubrick...e quello che "riesce ad esprimere la follia perfettamente" (beh direi che in questo il vero maestro è questo qui
non ti pare?) è Vincent d'Onofrio, secondo me uno degli attori sottovalutati
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Re: Macron
Ma vaaaa? ma secondo te, posto frase e foto di Hartman e poi non riconosco palla di lardo che da di matto nel cesso?Rasputin ha scritto:Koan ha scritto:
Ricordo questa clip... davvero incredibile la potenza dell'immagine, riesce ad esprimere la follia perfetttamente!
Clip?? Quelle sono inquadrature da un filmone di Kubrick...e quello che "riesce ad esprimere la follia perfettamente" (beh direi che in questo il vero maestro è questo qui
non ti pare?) è Vincent d'Onofrio, secondo me uno degli attori sottovalutati
Clip video nel senso di stralcio cinematografico... ma tu ad un tedesco gli fai una pippa, mister precisino
Quoto sul maestro Wendy... dammi quella mazza... ti fai male con quella mazza... dai, abbassa quella mazza... maestro anche Giannini, che ha fatto un doppiaggio di Jack memorabile!
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Re: Macron
Koan ha scritto:
Ma vaaaa? ma secondo te, posto frase e foto di Hartman e poi non riconosco palla di lardo che da di matto nel cesso?
Da te mi aspetto questo ed altro
Koan ha scritto:Clip video nel senso di stralcio cinematografico... ma tu ad un tedesco gli fai una pippa, mister precisino
Infatti vedo che non sai che differenza c'è tra un video di uno spezzone ed un clip (lo dice la parola: è un montaggio)
Koan ha scritto:Quoto sul maestro Wendy... dammi quella mazza... ti fai male con quella mazza... dai, abbassa quella mazza... maestro anche Giannini, che ha fatto un doppiaggio di Jack memorabile!
Odio i doppiaggi che non siano di Amendola. Inoltre stai citando un'altra scena, quella sulle scale.
Wendy? I'm home
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Re: Macron
lo so che per clip si può intendere il montaggio, ma anche un breve stralcio di filmato, caro il mio professorino e che sto citando un'altra scena, che parte dalla scoperta de "il mattino ha l'oro in bocca" fino al volo nelle scale. La ritengo decisamente superiore alla più famosa da te citata guarda che conosco Kubrick a memoria Amendola è un grande, ma se non ti piacciono i doppiaggi di Giannini non meriti comprensione alcuna gli scrisse anche Kubrick congratulandosi per l'eccezionale prova.Rasputin ha scritto:Koan ha scritto:
Ma vaaaa? ma secondo te, posto frase e foto di Hartman e poi non riconosco palla di lardo che da di matto nel cesso?
Da te mi aspetto questo ed altroKoan ha scritto:Clip video nel senso di stralcio cinematografico... ma tu ad un tedesco gli fai una pippa, mister precisino
Infatti vedo che non sai che differenza c'è tra un video di uno spezzone ed un clip (lo dice la parola: è un montaggio)Koan ha scritto:Quoto sul maestro Wendy... dammi quella mazza... ti fai male con quella mazza... dai, abbassa quella mazza... maestro anche Giannini, che ha fatto un doppiaggio di Jack memorabile!
Odio i doppiaggi che non siano di Amendola. Inoltre stai citando un'altra scena, quella sulle scale.
Wendy? I'm home
Ma ti piacciono così tanto queste gare a chi piscia più lontano? fisiologicamente non posso competere, ma per il resto si scade nel grottesco.
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Re: Macron
Koan ha scritto:
lo so che per clip si può intendere il montaggio, ma anche un breve stralcio di filmato, caro il mio professorino
No. Non è che si può intendere, è che è il termine corretto per definirlo,
[...]It is compared to 'lean-back' experience of seeing traditional movies, refers to the Internet activity of sharing and viewing a very short video, mostly less than 15 minutes.[...]
https://en.wikipedia.org/wiki/Video_clip#Clip_culture
quindi prima di tutto. e non "anche", definisce una montaggio (un tipico esempio di clip sono i cosiddetti "trailer" cinematografici), e solo poi si generalizza nell'uso improprio ma comune in "breve video". Tra l'altro l'origine del termine "clip" che è onomatopeico e significa (tra le altre cose) "ritagliare" risale ai tempi in cui il montaggio (editing) delle pellicole veniva fatto a mano con un apposito utensile per ritagliare ed incollare il nastro di celluloide.
Il termine viene ora usato anche nelle grafiche computerizzate:
https://it.wikipedia.org/wiki/Clipping
Sul fatto che hai chiamato "clip" l'immagine di un singolo fotogramma, qui
https://atei.forumattivo.com/t7142p75-macron#391112
stendo un pietoso silenzio.
Koan ha scritto:e che sto citando un'altra scena, che parte dalla scoperta de "il mattino ha l'oro in bocca" fino al volo nelle scale. La ritengo decisamente superiore alla più famosa da te citata
Liberissima di esprimerti su quale scena preferisci, ma hai citato a muzzo perché appunto commenti la foto con la descrizione di un'altra scena: "quoto sul maestro"
https://atei.forumattivo.com/t7142p75-macron#391115
Koan ha scritto:guarda che conosco Kubrick a memoria Amendola è un grande, ma se non ti piacciono i doppiaggi di Giannini non meriti comprensione alcuna gli scrisse anche Kubrick congratulandosi per l'eccezionale prova.
Senza cominciare a discutere su chi conosce meglio Kubrick, la frase marcata a me sembra indice di una debole autostima (poi sono io quello che fa a gara a chi piscia più lontano eh )
Quanto ai doppiaggi, non mi piacciono in generale. Nei paesi civili i film si proiettano in lingua originale e con sottotitoli.
Koan ha scritto:Ma ti piacciono così tanto queste gare a chi piscia più lontano? fisiologicamente non posso competere, ma per il resto si scade nel grottesco.
Veramente tra l'altro non mi pare di essere io quello che fa le gare, a me pare di avere solo - ed anche abbastanza garbatamente - puntualizzato un paio di inesattezze, qui
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questo non per pedanteria, ma perché attraverso un monitor mi riesce difficile valutare il tuo livello di conoscenze dei registi, specie appunto se la fai - magari fisiologicamente non lontano - fuori dal vaso
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Re: Macron
Nella foto di repertorio, la gentile utente Koan impegnata nella gara a chi piscia più lontano finisce col farla fuori dal vaso.
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Re: Macron
Ragazzi, vi abbandono a voi stessi. Volete alternare ironia e pedanteria ma non vi piace essere ricambiati. Rasputin, cercati i significati di clip... e prova anche ad immaginare che si possa commentare una scena citando un'altra scena, senza per questo essere obbligati a giustificare la cosa. Qui sopra ogni post non diventa un'occasione di discussione, ma pare servire solo a mettere i puntini sulle i.
Adieu
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Re: Macron
Minsky ha scritto:Nella foto di repertorio, la gentile utente Koan impegnata nella gara a chi piscia più lontano finisce col farla fuori dal vaso.
ma dove vai a pescare certe cose?
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Re: Macron
Koan ha scritto:Ragazzi, vi abbandono a voi stessi. Volete alternare ironia e pedanteria ma non vi piace essere ricambiati. Rasputin, cercati i significati di clip... e prova anche ad immaginare che si possa commentare una scena citando un'altra scena, senza per questo essere obbligati a giustificare la cosa. Qui sopra ogni post non diventa un'occasione di discussione, ma pare servire solo a mettere i puntini sulle i.
Adieu
Veramente a me pare di aveve accettato il ricambio. Ed il significato di clip - a differenza tua, che avresti mandato me - te lo sono andato a cercare io, e te lo ho anche mostrato...
Nel dialogo scritto trovo poco pratico "immaginare" quello che il mio interlocutore intende, ritengo sia meglio leggere ed attenersi a quanto egli/ella scrive.
Questo senza obblighi da parte di nessuno, ma sempre nella massima libertà di replicarsi a vicenda nella misura in cui non si scade nel personale/impropero.
Essendo questo un forum di discussione, trovo altresí normale se non addirittura ovvio, che si mettano i puntini sulle i (fa parte della discussione no?)
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Re: Macron
Nel mio repertorio, no?Koan ha scritto:
ma dove vai a pescare certe cose?
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Re: Macron
Torniamo in tema...
FRANCIA: I POMPIERI VOLTANO LE SPALLE A MACRON IN SEGNO DI PROTESTA
ANSA ha scritto:Gilet gialli: oltre 700 studenti liceo fermati
Redazione ANSA PARIGI
06 dicembre 2018 21:17
PARIGI, 6 DIC - Oltre 700 studenti di liceo sono sono stati fermati nella giornata di oggi, la quarta di proteste nelle scuole secondarie francesi contro la riforma della maturità e del sistema di accesso all'università. Lo ha reso noto il ministero dell'Interno.
Secondo la stessa fonte, circa 280 istituti sono stati teatro di proteste e manifestazioni, 45 sono stati bloccati dagli studenti.
FRANCIA: I POMPIERI VOLTANO LE SPALLE A MACRON IN SEGNO DI PROTESTA
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Re: Macron
Io tremo al pensiero che la prossima potrebbe ssere la Germania
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Re: Macron
vocidallestero ha scritto:Gilet gialli: “Macron ha mani e piedi legati dall’Unione europea”
Di Margherita Russo - Dicembre 9, 2018
Le rivendicazioni dei Gilet Jaunes, legittime e condivisibili, rischiano di restare lettera morta se non accompagnate da un almeno altrettanto energico sforzo per liberarsi delle assurde restrizioni imposte da un sistema anti-democratico, elitista e imperialista come l’Unione Europea. Nessuna delle richieste ribadite in questi ultimi fine settimana a Parigi e nelle principali città francesi, e ora anche in altri paesi, è realizzabile all’interno del sistema di regole europee. Coralie Delaume, che in Francia gestisce il blog L’Arene nue, lo spiega senza mezzi termini in questo importante articolo pubblicato su Le Figaro.
Di Coralie Delaume, 6 dicembre 2018
Aumenti di SMIC (salario minimo orario, ndt) e pensioni, maggiore tassazione delle grandi società, protezione dell’industria francese, fine della politica di austerità e riorganizzazione dei servizi pubblici: queste sono le richieste dei gilet gialli comunicate la scorsa settimana attraverso la stampa. A ciò spesso si aggiunge anche la richiesta di ripristino di una vera democrazia.
Tra le parole d’ordine e gli slogan è invece assente l’Europa. Eppure nessuna delle richieste formulate è realizzabile nell’attuale Unione europea, con il Mercato unico e l’euro, che sono il confine entro il quale si attuano le politiche nazionali. I governi nazionali sono in ultima analisi solo dei volenterosi intermediari dell’Ue, mediatori di potere soddisfatti della loro impotenza.
Non ci può essere democrazia nell’Unione europea
L’Unione europea è qualcosa di più di un’organizzazione internazionale. Non è intergovernativa, ma sovranazionale. I giuristi affermano che la Corte di Giustizia della Comunità ha “elevato i trattati al rango costituzionale” con due sentenze, nel 1963 e nel 1964. In altre parole, la Corte ha creato un nuovo ordinamento giuridico e gettato le basi di un proto-federalismo senza che i popoli siano stati consultati – o persino avvertiti – sul concepimento di una quasi-Costituzione.
I francesi alla fine l’hanno saputo… ma solo quarant’anni dopo! Il referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo consisteva in definitiva nel chiedere agli elettori di legittimare ex post una situazione che esisteva già da tempo. È questo uno dei motivi per cui il “no” francese (o il “no” olandese) non è stato preso in considerazione: il testo è stato ripresentato sotto il nome di “Trattato di Lisbona”. Per poter rispettare il verdetto delle urne, si rese necessario ammettere che era stato già deciso un processo di “federalizzazione sottobanco” dell’Europa, e in tal senso indietreggiare temporaneamente lungo il percorso.
Se la mutazione in senso costituzionale dei trattati è iniziata molto presto, il processo di svuotamento democratico è continuato in seguito. Il problema è stato aggravato, ad esempio, dall’abolizione del principio dell’unanimità nel Consiglio europeo. Come spiega il giurista tedesco Dieter Grimm, ciò ha spezzato la “catena di legittimazione” dal popolo al Consiglio, il cui anello essenziale erano i governi nazionali eletti. Con l’abolizione dell’unanimità, uno Stato può essere soggetto a una norma di legge che è stata esplicitamente respinta da uno degli anelli della catena di formazione della propria volontà nazionale, anche se in linea di principio il peso relativo della Francia nel Consiglio la rende immune da ciò.
Per rimediare all’immenso “deficit democratico” della costruzione comunitaria, il trattato di Lisbona ha aumentato i poteri del Parlamento europeo. Problema: questo Parlamento non è un organo unico. Non rappresenta il “popolo europeo” (dato che non esiste), ma si limita semplicemente a far coabitare i rappresentanti nazionali di ventotto stati. Per di più, a parte questo, non è neanche il principale produttore di diritto comunitario. Questo ruolo è di competenza della Corte di Lussemburgo, che emette norme a getto continuo, con valore giuridico e senza consultare nessuno. Infine, il Parlamento europeo non ha la possibilità di modificare i trattati, anche laddove questi contengono elementi di politica economica. Che l’Assemblea di Strasburgo abbia una maggioranza di “sinistra” o di “sovranisti”, ciò non darebbe luogo ad alcun riorientamento. Qualunque cosa accada nelle urne elettorali durante le elezioni europee del 2019, il combinato legislativo composto dai trattati e dalle sentenze della Corte continuerà ad imporre più libero scambio, più austerità, più concorrenza.
Non può esserci alcun cambio di rotta della politica economica nel contesto del mercato unico e dell’euro
I trattati europei sono la “costituzione economica” dell’Europa. La loro posizione predominante spiega perché la politica economica condotta in Francia non è cambiata dalla metà degli anni ’80, benché si siano succeduti alla testa dello Stato uomini di diverse posizioni. È “l’alternanza unica” secondo la definizione di Jean-Claude Michéa, lo stesso che segue il medesimo, dando l’apparenza del cambiamento. Finché si rimane nell’Unione europea, votare non cambia nulla.
Ecco perché l’ex commissario Viviane Reding ha potuto ad esempio affermare: “Diventa inesorabilmente necessario rendersi conto che non esistono più politiche interne nazionali”.
I governi dei paesi membri hanno a disposizione solo un numero molto limitato di strumenti di politica economica. Nessuna politica industriale proattiva è possibile poiché i trattati vietano “distorsioni della concorrenza” attraverso l’intervento dello Stato. Nessuna politica commerciale protezionista è possibile poiché la politica commerciale è una “competenza esclusiva” dell’Unione. Nessuna politica dei cambi è possibile perché nel contesto dell’euro i governi non possono attuali. Nessuna politica monetaria è possibile, dato che è la Banca centrale europea a guidarla. Infine, nessuna politica di bilancio pubblico è possibile, poiché i paesi che hanno adottato la moneta unica sono soggetti a “criteri di convergenza”, tra cui la famosa regola, del tutto arbitraria, del tetto del 3% al deficit pubblico. Inoltre, a partire dal 2010 e nell’ambito di un programma denominato “Semestre europeo”, la Commissione ha iniziato a supervisionare meticolosamente la preparazione dei bilanci nazionali.
In queste condizioni, sono solo due gli strumenti a disposizione dei governi nazionali: la tassazione e l’abbassamento del “costo del lavoro”.
Per quanto riguarda la tassazione, generalmente si decide di diminuire quella che pesa sul capitale suscettibile di delocalizzazione e di aumentare quella che grava sulle classi sociali che non possono sfuggire al fisco. Nel 1986 si è stabilito il principio della “libera circolazione dei capitali” nel mercato unico. Da allora il capitale ha acquisito il potere di esercitare su ciascuno Stato un vero e proprio ricatto, minacciando di fuggire verso gli Stati vicini. I paesi membri sono impegnati in una concorrenza fiscale sfrenata, alcuni (Lussemburgo, Irlanda) si sono persino trasformati in paradisi fiscali e vivono delle opportunità di evasione fiscale che offrono alle multinazionali.
Per quanto riguarda il reddito (e il diritto) al lavoro, sono uno dei bersagli privilegiati dell’organismo sovranazionale. Per rendersene conto basta leggere i documenti di orientamento prodotti dalla Commissione europea, dagli “Orientamenti per l’occupazione” alla “Indagine annuale sulla crescita” e le “Raccomandazioni del Consiglio” elaborate ogni anno durante il semestre europeo. Tutte le riforme del diritto del lavoro attuate nei paesi membri, dal Jobs Act in Italia alla legge di El Khomri in Francia, erano state previste in uno di questi grossi tomi [provenienti dalla Commissione].
Per finire, i principi della “libera circolazione delle persone” e della “libera prestazione di servizi” all’interno del mercato unico favoriscono il livellamento verso il basso. Nonostante l’ampia disparità nei livelli retributivi da un paese all’altro, queste “libertà” mettono in competizione tutti i lavoratori europei l’uno con l’altro. Favoriscono una serie di pratiche di dumping sociale, il più noto dei quali è l’utilizzi di lavoratori distaccati. Per i paesi con l’euro, è ancora più grave: non essendo in grado di svalutare la loro moneta per aumentare la loro competitività, sono costretti a praticare la “svalutazione interna”, ossia abbassare i salari.
Perché tutti i governi francesi che si sono susseguiti hanno contribuito a costruire questa Europa?
Per capire gli eventi attuali tornano utili le categorie tradizionali del marxismo. Se, come afferma Jérôme Sainte-Marie, il movimento dei gilet gialli riporta alla ribalta l’esistenza del conflitto di classe, è anche vero che questo non ha mai cessato di esistere. L’Europa dei mercati e delle valute è sempre stata un’Europa classista. Ha l’obiettivo di erodere incessantemente i redditi da lavoro e distruggere tutti gli strumenti redistributivi, in particolare i servizi pubblici, con il pretesto dell’”apertura alla concorrenza” da un lato, del “controllo della spesa pubblica” e della “riduzione del debito” dall’altro.
Come è già accaduto in passato, questa politica di classe si adatta bene a un “regime di occupazione” che consente alle classi dominanti di disfarsi e/o di affidare a qualcuno più forte di loro l’incombenza di garantire un certo Ordine. Poiché l’occupazione stricto sensu, da parte di una potenza straniera che invada militarmente il territorio, è ovviamente impensabile, le élite francesi cosmopolite hanno elaborato una modalità di occupazione “soft”. L’ex presidente della Commissione José Manuel Barroso ha dichiarato che l’Unione europea è un “impero non imperiale”, una formula che giustamente suggerisce che l’aggregazione dei territori all’impero sia stata fatta tramite l’economia e il diritto, non con la forza. Una volta raggiunta l’unificazione continentale, le regole comunitarie svolgono il loro ruolo: quello del vincolo esterno scelto in un regime di schiavitù volontaria.
Uno dei principali slogan sentiti durante le manifestazioni dei gilet gialli o nelle rotonde è “Macron dimettiti”. Ma nelle condizioni attuali, le dimissioni di un uomo sarebbero qualcosa di ampiamente insufficiente. Per ridiventare padroni del proprio destino, i francesi (e tutti i popoli d’Europa) devono esigere che le mappe europee siano profondamente rielaborate e che venga ripristinata la sovranità nazionale, un altro nome per “diritto dei popoli all’autodeterminazione”.
Infine, rassicuriamoci: la fine dell’Unione europea, che altro non è che un insieme contingente di regole e istituzioni poste al servizio di interessi particolari, non significherà la fine dell’Europa, vecchio continente, né dei paesi che la compongono.
http://vocidallestero.it/2018/12/09/gilet-gialli-macron-ha-mani-e-piedi-legati-dallunione-europea/
Analisi precisa e incontrovertibile.
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Re: Macron
"Finché si rimane nell’Unione europea, votare non cambia nulla."
correggo:
"votare non cambia nulla."
correggo:
"votare non cambia nulla."
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