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Comunismo o capitalismo?

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Messaggio Da Minsky Dom 5 Ott 2014 - 13:04

1° OTTOBRE 1949: RIVOLUZIONE CINESE

È probabile che Washington si sia distratta o abbia sottovalutato quello che stava succedendo alcuni fusi orari più ad oriente di Mosca (più tardi Mac Arthur cercherà di rimediare alla distrazione proponendo il bombardamento atomico della Cina...). E´ in quel contesto internazionale che la Lunga Marcia dei comunisti cinesi guidata da Mao, iniziata quindici anni prima, si avvia verso il suo trionfale epilogo. Nel gennaio l'Esercito Rosso libera Pechino e in aprile, in singolare coincidenza con il Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace, anche Nanchino, capitale del regime nazionalista, viene liberata dall'Esercito rosso. Infine, con la caduta dell'ultima roccaforte, Chunking, il regime nazionalista di Chiang Kai-shek collassa e il poco che rimane si rifugia sull'isola di Formosa scortato dalla IV flotta americana. Il primo ottobre dello stesso anno, con la proclamazione della Repubblica Popolare, viene sanzionata la vittoria della terza grande rivoluzione che ha segnato e cambiato il corso della storia mondiale moderna dopo quella francese del 1789 e dopo quella russa del 1917.

AMERICANI E GIAPPONESI SOSTENGONO IL KUOMINTANG CONTRO L'ESERCITO ROSSO

Per dissipare ogni dubbio sul sostegno offerto dall'imperialismo americano al loro alleato Chiang Kai-shek ricordiamo che fin dal giorno stesso della capitolazione del Giappone gli Stati Uniti agirono freneticamente per sottrarre al popolo cinese i frutti della vittoria. Lo racconta nel suo libro, "Breve storia della Cina moderna" edito da Feltrinelli nel 1956, il giornalista inglese della Reuter, Israel Epstein, un testimone oculare che ha trascorso quasi tutta la sua vita in Cina, sia nelle zone controllate dal Kuomintang che in quelle liberate: "Il primo passo fu l'ordine del generale Mac Arthur all'esercito giapponese in Cina di non arrendersi alle forze popolari, seguito dalle precise istruzioni di Chiang Kai-shek al generale Okamura, comandante in capo del nemico, di resistere alle forze comuniste". Significava che gli aggressori giapponesi avrebbero continuato a conservare le proprie armi e mantenuto il controllo delle grandi città della Cina settentrionale e centrale fino all'arrivo delle truppe americane che, nel frattempo, dai 60 mila soldati impiegati nel periodo cruciale della guerra contro il Giappone, quelli sbarcati in Cina a sostegno del Kuomintang furono aumentati fino a 143 mila. Ma non era più il 1919 o il 1939. I rapporti di forza tra imperialismo e movimenti rivoluzionari erano cambiati, sopratutto in Cina.

E Mao lo ricorda senza ambiguità: "...Se l'Unione Sovietica non fosse esistita, se non ci fosse stata la vittoria sul fascismo nella seconda guerra mondiale, se l'imperialismo giapponese non fosse stato sconfitto, se non fossero sorte le democrazie popolari, se le nazioni oppresse dell'Oriente non fossero insorte, e se non ci fosse stata la lotta tra le masse di popolo e i dirigenti reazionari degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Francia, dell'Italia, del Giappone e di altri paesi capitalisti, se tutti questi fattori non si fossero combinati, le forze reazionarie internazionali che si gettavano su di noi sarebbero state incomparabilmente più forti di quello che non siano ora. Avremmo potuto vincere in tali circostanze? Evidentemente no."

IL POTENZIALE INNOVATIVO DEI COMUNISTI CINESI

Un dettaglio che molti trascurano, osservando la Cina di oggi, è lo stretto, inscindibile rapporto esistente tra la natura comunista del potere politico e i ritmi sempre più incalzanti del suo sviluppo economico. Pur segnata - come ogni sfida rivoluzionaria - da passi avanti e passi indietro e da una dialettica interna, talvolta molto acuta, che ha imposto in certe fasi dello sviluppo economico correzioni di linea e cambiamenti di rotta (talvolta sorprendenti), le scelte innovative e le riforme compiute dai comunisti cinesi mostrano una sostanziale continuità con quelle tracciate sessant'anni prima dai padri fondatori della Repubblica popolare. Già ai tempi di Mao il PIL cinese presentava un rispettabile livello di crescita medio del 6,2%. Da quando la riforma economica di Deng ha optato per una riedizione della NEP leninista in salsa cinese, lo sviluppo ha raggiunto ritmi quantitativi e qualitativi che nessun altro paese al mondo è in grado di eguagliare. E´ così che, dopo 60 anni di leggende anticomuniste, di previsioni apocalittiche e di tentativi di strangolamento, Pechino è ora diventata il centro del mondo. Il turista occidentale rimane sbalordito dalla selva di grattacieli che stanno connotando l'urbanistica delle grandi città cinesi. Le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti offrono un'immagine di modernità ed efficienza che è quanto di meglio si possa vedere oggi.
Fino a pochi anni fa il confronto di città come Pechino e Shangai veniva fatto con Nuova Delhi e Mumbai, ora viene fatto con New York e Los Angeles ed è l'America a mostrare i segnali della propria decadenza. Ma questa è solo l'immagine esotica della Repubblica Popolare.

DIRITTI UMANI FINTI O REALI?

Il bilancio della Rivoluzione cinese è di ben altro spessore e non teme confronti proprio a partire dai tanto evocati "diritti umani". Il più importante di questi diritti, quello del cibo, è stato risolto da alcuni decenni in una nazione che prima della liberazione era devastata da micidiali carestie: "Le razioni alimentari procapite sono più alte in Cina che negli Stati Uniti" ricordava già 10 anni fa, il 29/12/1999 su La Stampa di Torino, Neal D. Barnard. Ma anche gli altri "diritti umani", istruzione, lavoro, sanità, casa, sono in espansione assai più rapida di quanto lo siano in altri Paesi di capitalismo globalizzato. Mentre nel resto del mondo la distanza tra ricchi e poveri è in continua, scandalosa crescita, in Cina la tendenza è di segno contrario: nel rapporto con i più ricchi i poveri diventano sempre meno poveri. A fare la differenza è ancora una volta il colore rosso del potere politico. Se è vero che il comunismo, inteso come "sistema", non è ancora nato in nessun paese al mondo, Cina inclusa, il partito politico al potere a Pechino sta dimostrando di saper fare egregiamente il suo lavoro in questa fase di transizione senza perdere di vista il punto d'approdo finale. Con buona pace di coloro che si autoconsolano all'idea che il comunismo in tutte le sue versioni sia morto e seppellito.

COME EVOLVE LA COMPETIZIONE USA-CINA

Senza tediare chi legge con cifre e statistiche rintracciabili ovunque (persino nei santuari del capitalismo globale, BM e FMI) ci limitiamo a ricordare ciò che scrivono oggi certi sostenitori della bizzarra tesi che il comunismo sia defunto, ora che la Cina, col mondo in piena crisi recessiva, è più che mai la locomotiva trainante dell´economia mondiale: "Obama studia il modello cinese (...) La Cina è l'unica grande economia mondiale che può vantarsi di avere evitato il contagio della recessione (...) A fine anno il suo PIL aumenterà del 7,9%. Un exploit che sembrava impossibile. (...) Questa divaricazione (con l´Occidente) si spiega con la diversa natura del sistema cinese. Economia mista con tanto mercato e tanto Stato. (...) Nella gara sulla modernità delle infrastrutture, è l'America che arranca con anni di ritardo dietro la Cina". Da un quadro del genere risulta chiaro su quale terreno Cina e Stati Uniti si affrontino nella sempre più serrata competizione economica-finanziaria, politica e militare. Per gli Stati Uniti d'America la coppia capitale finanziario-cannoniere rimane l'inseparabile opzione di sempre e poggia su un bilancio militare di oltre 600 miliardi di dollari, su centinaia di basi militari sparse su gran parte del pianeta e sui B52 sempre pronti al decollo per esportare ovunque la "democrazia" modello Bagdad e Kabul. Si chiamava e si chiama imperialismo. La Cina, viceversa, pur non rinunciando con mezzi adeguati alla sua difesa, si afferma invece, sui mercati e in politica estera, utilizzando un ben altro "arsenale", quello finanziario e industriale. Nessun soldato cinese ha mai varcato le frontiere del paese. Le sue armi offensive sono: i prezzi competitivi e gli standard tecnologici dei suoi prodotti con cui "bombarda" e conquista i ricchi mercati del Nord; il libretto degli assegni con cui la Bank of China elargisce prestiti ai paesi in via di sviluppo, con tassi di interesse vicini allo zero; l'esercito di tecnici e operai che edificano modernissime infrastrutture in Africa, Asia e America latina. A giudicare dai risultati devono essere proprio queste le armi che fanno più paura all'imperialismo.

[fonte:http://www.pugliantagonista.it/archivio/1949_1_cina.htm]

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Messaggio Da paolo1951 Mar 14 Ott 2014 - 19:27

Io avrei pensato di rifondare in Italia il Partito Nazionale Fascista ma con un programma liberal-democratico e antirazzista... nonché europeista.

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