Se il giudice decide se il bambino va al catechismo
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Se il giudice decide se il bambino va al catechismo
Una sentenza su un caso giuridico riguardante l’educazione religiosa di un figlio fa discutere.
Ne parla Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:
Il caso risolto dalla sezione famiglia della Corte d’Appello milanese vedeva ai ferri corti da anni una coppia che aveva scelto, come progetto educativo per il figlio, di non farlo battezzare e di lasciare che poi si determinasse da solo da adulto. Ma il marito, con l’avvocato Carlo Piazza, lamentava che la moglie, dopo la loro separazione e in violazione di quel concordato progetto educativo, avesse mandato il bambino a catechismo in vista del battesimo. In primo grado il Tribunale aveva respinto il ricorso del padre, con l’argomento non proprio granitico che frequentare catechismo «è cosa buona e utile» perché lì il bambino incontra altri coetanei con i quali gioca a pallone, va in piscina e fa gite. Motivazione però bocciata ora dalla Corte d’Appello con la sottolineatura del «carattere confessionale» di una catechesi «non riducibile a mera attività educativa e ricreativa ». La madre ha dunque violato «l’obbligo di condividere con l’altro genitore le decisioni sulle scelte religiose» del figlio, e perciò i giudici La Monica-Lo Casco-Laera le infliggono la sanzione dell’«ammonimento » a «non assumere unilateralmente scelte educative importanti per il bambino ». Che però, per la Corte, deve poter continuare il catechismo, fermo restando che «non mancherà, terminato il percorso formale di catechesi, la possibilità di elaborare, in sostanziale libertà e approfondito confronto, la legittimità di ogni diversa posizione in materia». Perché sì? Perché «la decisione va adottata tenendo conto unicamente del preminente interesse del minore, che si misura anche con la rilevanza sproporzionatamente invasiva che nella sua vita potrebbe assumere una interruzione del percorso iniziato »: sarebbe una «pesante ingerenza», al ragazzino inspiegabile «se non con la sottolineatura del conflitto genitoriale che già lo coinvolge».
Fonte: Giornalettismo
Ne parla Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:
Il caso risolto dalla sezione famiglia della Corte d’Appello milanese vedeva ai ferri corti da anni una coppia che aveva scelto, come progetto educativo per il figlio, di non farlo battezzare e di lasciare che poi si determinasse da solo da adulto. Ma il marito, con l’avvocato Carlo Piazza, lamentava che la moglie, dopo la loro separazione e in violazione di quel concordato progetto educativo, avesse mandato il bambino a catechismo in vista del battesimo. In primo grado il Tribunale aveva respinto il ricorso del padre, con l’argomento non proprio granitico che frequentare catechismo «è cosa buona e utile» perché lì il bambino incontra altri coetanei con i quali gioca a pallone, va in piscina e fa gite. Motivazione però bocciata ora dalla Corte d’Appello con la sottolineatura del «carattere confessionale» di una catechesi «non riducibile a mera attività educativa e ricreativa ». La madre ha dunque violato «l’obbligo di condividere con l’altro genitore le decisioni sulle scelte religiose» del figlio, e perciò i giudici La Monica-Lo Casco-Laera le infliggono la sanzione dell’«ammonimento » a «non assumere unilateralmente scelte educative importanti per il bambino ». Che però, per la Corte, deve poter continuare il catechismo, fermo restando che «non mancherà, terminato il percorso formale di catechesi, la possibilità di elaborare, in sostanziale libertà e approfondito confronto, la legittimità di ogni diversa posizione in materia». Perché sì? Perché «la decisione va adottata tenendo conto unicamente del preminente interesse del minore, che si misura anche con la rilevanza sproporzionatamente invasiva che nella sua vita potrebbe assumere una interruzione del percorso iniziato »: sarebbe una «pesante ingerenza», al ragazzino inspiegabile «se non con la sottolineatura del conflitto genitoriale che già lo coinvolge».
Fonte: Giornalettismo
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