Non è "dio", ma il vuoto siderale
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Non è "dio", ma il vuoto siderale
[una riflessione che volevo formalizzare da tempo].
Siamo abituati a sentir parlare fin da piccoli di dei e spettri, benedizioni e maledizioni, fortuna e disgrazia; polarità contrapposte che a parer di molti hanno il potere di governare l'esito delle nostre vite dando forma ad una storia.
In realtà, tempo passando, mi sono accorta che 'camminando', metaforicamente o meno, in uno spazio in cui il vuoto pneumatico regna, e lo spazio tra parete e parete è così vasto da non aver idea in ciò in cui ci si può imbattere al di là della routine prefissata e spesso nata per confortarsi (tra cui le preghiere), si incorre nello stesso fenomeno: la creazione di uno spazio di assenza totale, ma tutt'altro che sterile, in cui ci si può imbattere volontariamente o meno negli eventi.
Eventi che, per ovvia ragione, a seconda del punto di vista del singolo e della situazione vengono caratterizzati come positivi o negativi. Etichettarli in tale modo rappresenta una soluzione di comodo che a conti fatti può riflettersi nella definizione di status: accumuli tot eventi positivi; hai successo, sei benvisto/a e ti costruisci una reputazione. Sei sfigato/a: vieni visto come irrecuperabile e un poco di buono. Dibattersi tra questi due estremi significa in qualche modo 'sfuggire alla morsa del vuoto': ovvero evitare quella che molti definiscono 'vita senza senso'. Da ciò ritengo che la maggior spinta evolutiva e direzionatrice dell'umanità non sia un dio, che potrebbe conformarsi come una sorta di pit stop a cui depositare tutti i nostri premi e punizioni a mo' di gioco di ruolo, bensì il desiderio di fuggire o entrare in contatto con il vuoto.
E' una massa informe, né buona né cattiva, "è" e basta; una realtà apparente e isodensa. Tra questi frammenti di irrealtà personificata, qualcuno ha trovato un coccio e ci ha scritto sopra il nome di 'dio' ritenendo possibile farselo bastare. Come se, pur nella 'pienezza' che le religioni propongono, non ci fosse spazio, esattamente come una ventosa ha bisogno di una camera vacua per appendersi al muro, per l'assenza di 'qualcosa', che da millenni getta all'aria in diverse direzioni più o meno chiunque nella speranza di non incontrarlo mai perché apparentemente più terrificante di ogni punizione. Essere esauditi diventa prima o poi, per chi crede, una banalità. Così come essere fustigati in eterno diventa tedioso quanto inutile: non rimane che il vuoto a tirare avanti questo carretto sghembo chiamato universo.
Siamo abituati a sentir parlare fin da piccoli di dei e spettri, benedizioni e maledizioni, fortuna e disgrazia; polarità contrapposte che a parer di molti hanno il potere di governare l'esito delle nostre vite dando forma ad una storia.
In realtà, tempo passando, mi sono accorta che 'camminando', metaforicamente o meno, in uno spazio in cui il vuoto pneumatico regna, e lo spazio tra parete e parete è così vasto da non aver idea in ciò in cui ci si può imbattere al di là della routine prefissata e spesso nata per confortarsi (tra cui le preghiere), si incorre nello stesso fenomeno: la creazione di uno spazio di assenza totale, ma tutt'altro che sterile, in cui ci si può imbattere volontariamente o meno negli eventi.
Eventi che, per ovvia ragione, a seconda del punto di vista del singolo e della situazione vengono caratterizzati come positivi o negativi. Etichettarli in tale modo rappresenta una soluzione di comodo che a conti fatti può riflettersi nella definizione di status: accumuli tot eventi positivi; hai successo, sei benvisto/a e ti costruisci una reputazione. Sei sfigato/a: vieni visto come irrecuperabile e un poco di buono. Dibattersi tra questi due estremi significa in qualche modo 'sfuggire alla morsa del vuoto': ovvero evitare quella che molti definiscono 'vita senza senso'. Da ciò ritengo che la maggior spinta evolutiva e direzionatrice dell'umanità non sia un dio, che potrebbe conformarsi come una sorta di pit stop a cui depositare tutti i nostri premi e punizioni a mo' di gioco di ruolo, bensì il desiderio di fuggire o entrare in contatto con il vuoto.
E' una massa informe, né buona né cattiva, "è" e basta; una realtà apparente e isodensa. Tra questi frammenti di irrealtà personificata, qualcuno ha trovato un coccio e ci ha scritto sopra il nome di 'dio' ritenendo possibile farselo bastare. Come se, pur nella 'pienezza' che le religioni propongono, non ci fosse spazio, esattamente come una ventosa ha bisogno di una camera vacua per appendersi al muro, per l'assenza di 'qualcosa', che da millenni getta all'aria in diverse direzioni più o meno chiunque nella speranza di non incontrarlo mai perché apparentemente più terrificante di ogni punizione. Essere esauditi diventa prima o poi, per chi crede, una banalità. Così come essere fustigati in eterno diventa tedioso quanto inutile: non rimane che il vuoto a tirare avanti questo carretto sghembo chiamato universo.
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Smettetela di bistrattare e misinterpretare la Scienza per fingere di dare plausibilità alle vostre troiate
Grazie
Justine- ----------
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Data d'iscrizione : 24.05.14
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