LA DEMOCRAZIA STRESSATA
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LA DEMOCRAZIA STRESSATA
Questo è un articolo di ALDO SCHIAVONE uscito ieri su Repubblica. Per quanto mi riguarda inquadra con molta lucidità quello che secondo molti osservatori è un periodo di sofferenza democratica che il nostro paese sta attraversando.
Repubblica — 21 maggio 2009
Una democrazia stressata. Ancora forte e ben in piedi, per fortuna, ma stressata. Credo che questa sia la rappresentazione più corretta del difficile momento istituzionale e politico che stiamo attraversando non da ora, e di cui le cronache degli ultimi giorni stanno rivelando con sin troppa evidenza l' avvio di una nuova fase. L' Italia incupita e sofferta del tardo berlusconismo ci restituisce l' immagine di una democrazia sottoposta da tempo a una pressione ostinata e potente, che tende deliberatamente a comprimere alcuni suoi caratteri storici fondamentali, fissati peraltro nella Costituzione, e a ridurla a un solo elemento: la persistente vibrazione di consenso (l' espressione è di Ezio Mauro) che continua a legare il popolo al suo leader. Se essa c' è, e se dura, il resto non conta. Anche se si tratta di un resto enorme, che comprende di tutto: dalle sentenze dei giudici ai comportamenti personali, dai giudizi sulla crisi economica («È finita, è finita; tutto è tornato come prima, meglio di prima» sembra abbia detto - e si stenta a crederlo - il nostro premier a Mosca) alle ingiurie a quella stampa, colpevole di fare solo il proprio dovere. Il pericolo sta nel fatto che questa idea impoverita fino all' estremo della democrazia - un' idea, per così dire, "usa e getta": aderisci e dimentica - se ha modo di diffondersi e di radicarsi, può alla fine diventare senso comune (il senso comune non è sempre buon senso) di un Paese provato e distratto. Di un' Italia disposta a soddisfare il bisogno di un riferimento sicuro - l' esigenza fisiologica di leadership - con l' abbaglio tranquillizzante di aver trovato una guida che non impone la fatica di una valutazione quotidiana, ma che si può accettare, grazie alla forza carismatica del suo successo, una volta per tutte, senza più discuterne. Se questo accadesse - se un tale atteggiamento si consolidasse davvero - ci troveremmo di fronte a qualcosa di simile a un autentico sfondamento culturale del nostro sentire democratico, all' apertura di una falla rischiosa nel tessuto politico della Nazione, dalle conseguenze difficilmente calcolabili. La battaglia cui siamo chiamati deve essere dunque in questa circostanza anzitutto una battaglia di idee, in difesa di un paradigma di democrazia faticosamente costruito, dal quale non possiamo e non dobbiamo scostarci. Nessuno scandalismo moralistico, e nessun facile giustizialismo: è possibile che i comportamenti del premier risultino alla fine irreprensibili, ed è altrettanto possibile che egli si sia solo imbattuto in giudici che hanno sbagliato, per errore grave o per prevenzione ideologica: può accadere - ai comuni cittadini come al presidente del Consiglio. Il problema però non è questo, ma riguarda i princìpi, e dunque tocca indistintamente tutti noi. Il punto cruciale - depurato da ogni personalismo - attiene al rapporto fra legge e consenso: e dunque, se si vuole, al nesso fra legalità e democrazia. È una questione che tormenta da millenni il pensiero politico, e gli equilibri costituzionali contemporanei rispecchiano, nella loro delicatezza, questo lungo lavorio di esperienze e di elaborazioni. Essi ci dicono che la democrazia non è fatta solo di consenso, anche se non può assolutamente prescinderne, ma altresì di un insieme di regole, senza le quali il consenso non solo non basta, ma può trasformarsi in dispotismo e in sovversione. È accaduto molte volte nella storia. Ed è per questo che persino la sovranità popolare - che pure è il fondamento supremo e ultimo di ogni modello democratico - si può esercitare solo «nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione» (come dispone l' articolo 1 della nostra Carta). Il consenso perciò - per quanto vasto - non può essere usato come una purificazione, né come scudo rispetto alle leggi, e nemmeno per sfuggire alla critica che anche una minoranza minima ha il pieno diritto di sollevare. L' appello al popolo - cui si è fatto adirato ricorso anche in questi giorni - è dunque quanto meno improprio, e rivela una deriva che può solo gettarci in un mare in tempesta. Democrazia, significa anche primato della legge - "nomos Basileus", la legge come (unico) sovrano. E significa divisione dei poteri, e soprattutto, nel messaggio delle origini, trasparenza del potere: il popolo riunito nelle piazze delle città inondate dal sole della Ionia o dell' Attica, con i governanti al centro, visibili da tutti e non più chiusi negli antichi palazzi persiani o micenei. È su queste idee fondative di divisione e di trasparenza che bisogna oggi insistere, in una grande campagna di responsabilità e di fermezza. Non c' è domanda a cui il potere non debba rispondere, se non nei casi in cui è la legge stessa che lo obbliga a tacere. E quando il passato imprenditoriale - non meno della felicità privata - diventa il contenuto principale della costruzione del proprio carisma politico, è di ogni cosa che si è chiamati a render conto. E bisogna saperlo fare con umiltà e senza vergogna. Fino a dimostrazione contraria, siamo tutti innocenti. Ma bisogna esibirlo nel contraddittorioe non nella fuga; difendendosi - se occorre - "nel" processo, e non "dal" processo. Nelle società fluide - attraversate da continue e incontrollabili onde mediatiche - il consenso carismatico, fondato sul prevalere di elementi prepolitici piuttosto che sulle articolazioni di una democrazia partecipata, è sempre assai labile. Il tardo berlusconismo ha oscura ma netta consapevolezza di questa friabilità, ed è perciò che comunica un senso di solitudine e di nervosismo, quanto più sembra arrivato al culmine della parabola. Non capisce la crisi, che tenta di esorcizzare con ottimismi gridati al vento, per la stessa ragione per cui non tollera di essere contraddetto: perché ormai è disposto ad accettare solo una realtà addomesticata, che corrisponda ai suoi desideri. Ma fuori c' è il mondo - o almeno, tutto il mondo che non ha comprato, dove è facile che l' ascendente del principe si rovesci di colpo nel suo contrario. Machiavelli vi ha scritto sopra pagine memorabili. - ALDO SCHIAVONE
Repubblica — 21 maggio 2009
Una democrazia stressata. Ancora forte e ben in piedi, per fortuna, ma stressata. Credo che questa sia la rappresentazione più corretta del difficile momento istituzionale e politico che stiamo attraversando non da ora, e di cui le cronache degli ultimi giorni stanno rivelando con sin troppa evidenza l' avvio di una nuova fase. L' Italia incupita e sofferta del tardo berlusconismo ci restituisce l' immagine di una democrazia sottoposta da tempo a una pressione ostinata e potente, che tende deliberatamente a comprimere alcuni suoi caratteri storici fondamentali, fissati peraltro nella Costituzione, e a ridurla a un solo elemento: la persistente vibrazione di consenso (l' espressione è di Ezio Mauro) che continua a legare il popolo al suo leader. Se essa c' è, e se dura, il resto non conta. Anche se si tratta di un resto enorme, che comprende di tutto: dalle sentenze dei giudici ai comportamenti personali, dai giudizi sulla crisi economica («È finita, è finita; tutto è tornato come prima, meglio di prima» sembra abbia detto - e si stenta a crederlo - il nostro premier a Mosca) alle ingiurie a quella stampa, colpevole di fare solo il proprio dovere. Il pericolo sta nel fatto che questa idea impoverita fino all' estremo della democrazia - un' idea, per così dire, "usa e getta": aderisci e dimentica - se ha modo di diffondersi e di radicarsi, può alla fine diventare senso comune (il senso comune non è sempre buon senso) di un Paese provato e distratto. Di un' Italia disposta a soddisfare il bisogno di un riferimento sicuro - l' esigenza fisiologica di leadership - con l' abbaglio tranquillizzante di aver trovato una guida che non impone la fatica di una valutazione quotidiana, ma che si può accettare, grazie alla forza carismatica del suo successo, una volta per tutte, senza più discuterne. Se questo accadesse - se un tale atteggiamento si consolidasse davvero - ci troveremmo di fronte a qualcosa di simile a un autentico sfondamento culturale del nostro sentire democratico, all' apertura di una falla rischiosa nel tessuto politico della Nazione, dalle conseguenze difficilmente calcolabili. La battaglia cui siamo chiamati deve essere dunque in questa circostanza anzitutto una battaglia di idee, in difesa di un paradigma di democrazia faticosamente costruito, dal quale non possiamo e non dobbiamo scostarci. Nessuno scandalismo moralistico, e nessun facile giustizialismo: è possibile che i comportamenti del premier risultino alla fine irreprensibili, ed è altrettanto possibile che egli si sia solo imbattuto in giudici che hanno sbagliato, per errore grave o per prevenzione ideologica: può accadere - ai comuni cittadini come al presidente del Consiglio. Il problema però non è questo, ma riguarda i princìpi, e dunque tocca indistintamente tutti noi. Il punto cruciale - depurato da ogni personalismo - attiene al rapporto fra legge e consenso: e dunque, se si vuole, al nesso fra legalità e democrazia. È una questione che tormenta da millenni il pensiero politico, e gli equilibri costituzionali contemporanei rispecchiano, nella loro delicatezza, questo lungo lavorio di esperienze e di elaborazioni. Essi ci dicono che la democrazia non è fatta solo di consenso, anche se non può assolutamente prescinderne, ma altresì di un insieme di regole, senza le quali il consenso non solo non basta, ma può trasformarsi in dispotismo e in sovversione. È accaduto molte volte nella storia. Ed è per questo che persino la sovranità popolare - che pure è il fondamento supremo e ultimo di ogni modello democratico - si può esercitare solo «nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione» (come dispone l' articolo 1 della nostra Carta). Il consenso perciò - per quanto vasto - non può essere usato come una purificazione, né come scudo rispetto alle leggi, e nemmeno per sfuggire alla critica che anche una minoranza minima ha il pieno diritto di sollevare. L' appello al popolo - cui si è fatto adirato ricorso anche in questi giorni - è dunque quanto meno improprio, e rivela una deriva che può solo gettarci in un mare in tempesta. Democrazia, significa anche primato della legge - "nomos Basileus", la legge come (unico) sovrano. E significa divisione dei poteri, e soprattutto, nel messaggio delle origini, trasparenza del potere: il popolo riunito nelle piazze delle città inondate dal sole della Ionia o dell' Attica, con i governanti al centro, visibili da tutti e non più chiusi negli antichi palazzi persiani o micenei. È su queste idee fondative di divisione e di trasparenza che bisogna oggi insistere, in una grande campagna di responsabilità e di fermezza. Non c' è domanda a cui il potere non debba rispondere, se non nei casi in cui è la legge stessa che lo obbliga a tacere. E quando il passato imprenditoriale - non meno della felicità privata - diventa il contenuto principale della costruzione del proprio carisma politico, è di ogni cosa che si è chiamati a render conto. E bisogna saperlo fare con umiltà e senza vergogna. Fino a dimostrazione contraria, siamo tutti innocenti. Ma bisogna esibirlo nel contraddittorioe non nella fuga; difendendosi - se occorre - "nel" processo, e non "dal" processo. Nelle società fluide - attraversate da continue e incontrollabili onde mediatiche - il consenso carismatico, fondato sul prevalere di elementi prepolitici piuttosto che sulle articolazioni di una democrazia partecipata, è sempre assai labile. Il tardo berlusconismo ha oscura ma netta consapevolezza di questa friabilità, ed è perciò che comunica un senso di solitudine e di nervosismo, quanto più sembra arrivato al culmine della parabola. Non capisce la crisi, che tenta di esorcizzare con ottimismi gridati al vento, per la stessa ragione per cui non tollera di essere contraddetto: perché ormai è disposto ad accettare solo una realtà addomesticata, che corrisponda ai suoi desideri. Ma fuori c' è il mondo - o almeno, tutto il mondo che non ha comprato, dove è facile che l' ascendente del principe si rovesci di colpo nel suo contrario. Machiavelli vi ha scritto sopra pagine memorabili. - ALDO SCHIAVONE
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Re: LA DEMOCRAZIA STRESSATA
Sono d'accordissimo con Schiavone. Berlusconi è affamato di potere, è nel suo sangue di imprenditore.
Credo proprio che il motivo centrale di tutte queste polemiche tra media e Berlusconi sia proprio il consenso: quando lui è sicuro di avere un largo consenso allora si sente ancor più legittimato a fare quello che vuole (ovvero tutte le porcate che conosciamo). I media, pubblicando o diffondendo notizie che possono o non possono essere veritiere (putroppo sono pochi quelli che lo fanno) tendono a minare questo consenso. Lui proprio non lo sopporta.
Inutile stare a dire che se lui si ritiene innocente dovrebbe dimettersi e affrontare i processi. Nel caso in cui ne uscisse vincitore (dubito) il suo consenso salirebbe alle stelle.
Per quanto riguarda la nostra democrazia "stressata" penso che il problema alla base di tutto sia un problema culturale. L'Italia, in generale, sta sprofondando nell'ignoranza.
Basta guardarsi in giro. Gente che non ha soldi per mangiare e pagare l'affitto, ma ha il telefonino da 300 euro e roba da vestire firmata. Gente che riempie i grandi centri commerciali e che non ha mai messo piede dentro una libreria. Gente che non legge, non si informa, che nella maggior parte dei casi è completamente estranea ai dibattiti politici (la classica risposta è:"Sono tutti uguali, sono tutti ladri").
La classe politica che ci rappresenta non è che un surrogato di tutto questo. E' una classe politica che non riesce ad andare al di lá delle previsioni del PIL dell'anno successivo, che non fa altro che tappare i buchi della barca che affonda con piccoli decreti e finanziarie da 2 lire. Una classe politica limitata culturalmente. Non si riesce a mettere in piedi un piano di ripresa sui 10-20-30 anni (questi sono i veri piani, non quelle cazzate che ci propongono a destra e a sinistra). Insomma, senza cultura non vi è democrazia, perchè un popolo ignorante è facilmente manipolabile. Credo che su questo forum lo sappiate bene tutti...e anche Berlusconi, purtroppo.
Credo proprio che il motivo centrale di tutte queste polemiche tra media e Berlusconi sia proprio il consenso: quando lui è sicuro di avere un largo consenso allora si sente ancor più legittimato a fare quello che vuole (ovvero tutte le porcate che conosciamo). I media, pubblicando o diffondendo notizie che possono o non possono essere veritiere (putroppo sono pochi quelli che lo fanno) tendono a minare questo consenso. Lui proprio non lo sopporta.
Inutile stare a dire che se lui si ritiene innocente dovrebbe dimettersi e affrontare i processi. Nel caso in cui ne uscisse vincitore (dubito) il suo consenso salirebbe alle stelle.
Per quanto riguarda la nostra democrazia "stressata" penso che il problema alla base di tutto sia un problema culturale. L'Italia, in generale, sta sprofondando nell'ignoranza.
Basta guardarsi in giro. Gente che non ha soldi per mangiare e pagare l'affitto, ma ha il telefonino da 300 euro e roba da vestire firmata. Gente che riempie i grandi centri commerciali e che non ha mai messo piede dentro una libreria. Gente che non legge, non si informa, che nella maggior parte dei casi è completamente estranea ai dibattiti politici (la classica risposta è:"Sono tutti uguali, sono tutti ladri").
La classe politica che ci rappresenta non è che un surrogato di tutto questo. E' una classe politica che non riesce ad andare al di lá delle previsioni del PIL dell'anno successivo, che non fa altro che tappare i buchi della barca che affonda con piccoli decreti e finanziarie da 2 lire. Una classe politica limitata culturalmente. Non si riesce a mettere in piedi un piano di ripresa sui 10-20-30 anni (questi sono i veri piani, non quelle cazzate che ci propongono a destra e a sinistra). Insomma, senza cultura non vi è democrazia, perchè un popolo ignorante è facilmente manipolabile. Credo che su questo forum lo sappiate bene tutti...e anche Berlusconi, purtroppo.
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"Lo sforzo di capire l'universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po' della dignità di una tragedia".
Steven Weinberg
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Re: LA DEMOCRAZIA STRESSATA
dadoma ha scritto:Sono d'accordissimo con Schiavone. Berlusconi è affamato di potere, è nel suo sangue di imprenditore.
Credo proprio che il motivo centrale di tutte queste polemiche tra media e Berlusconi sia proprio il consenso: quando lui è sicuro di avere un largo consenso allora si sente ancor più legittimato a fare quello che vuole (ovvero tutte le porcate che conosciamo). I media, pubblicando o diffondendo notizie che possono o non possono essere veritiere (putroppo sono pochi quelli che lo fanno) tendono a minare questo consenso. Lui proprio non lo sopporta.
Inutile stare a dire che se lui si ritiene innocente dovrebbe dimettersi e affrontare i processi. Nel caso in cui ne uscisse vincitore (dubito) il suo consenso salirebbe alle stelle.
Per quanto riguarda la nostra democrazia "stressata" penso che il problema alla base di tutto sia un problema culturale. L'Italia, in generale, sta sprofondando nell'ignoranza.
Basta guardarsi in giro. Gente che non ha soldi per mangiare e pagare l'affitto, ma ha il telefonino da 300 euro e roba da vestire firmata. Gente che riempie i grandi centri commerciali e che non ha mai messo piede dentro una libreria. Gente che non legge, non si informa, che nella maggior parte dei casi è completamente estranea ai dibattiti politici (la classica risposta è:"Sono tutti uguali, sono tutti ladri").
La classe politica che ci rappresenta non è che un surrogato di tutto questo. E' una classe politica che non riesce ad andare al di lá delle previsioni del PIL dell'anno successivo, che non fa altro che tappare i buchi della barca che affonda con piccoli decreti e finanziarie da 2 lire. Una classe politica limitata culturalmente. Non si riesce a mettere in piedi un piano di ripresa sui 10-20-30 anni (questi sono i veri piani, non quelle cazzate che ci propongono a destra e a sinistra). Insomma, senza cultura non vi è democrazia, perchè un popolo ignorante è facilmente manipolabile. Credo che su questo forum lo sappiate bene tutti...e anche Berlusconi, purtroppo.
C'e' un'ironica contraddizione tra la parte sottolineata e quelle grassettate...
Comunque, mi sento di condividere l'analisi a grandi linee, ma vorrei aggiungere una cosa. Non mi da fastidio la gente che va ai centri commerciali invece che in libreria- mica tutti possono essere uguali, e ci puo' stare che a qualcuno le librerie facciano venire la nausea. Quello che e' vero indice di crisi e' vedere la gente ed i libri che ci sono nelle librerie di oggi.
lordtom24- -------------
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Re: LA DEMOCRAZIA STRESSATA
lordtom24 ha scritto:Comunque, mi sento di condividere l'analisi a grandi linee, ma vorrei aggiungere una cosa. Non mi da fastidio la gente che va ai centri commerciali invece che in libreria- mica tutti possono essere uguali, e ci puo' stare che a qualcuno le librerie facciano venire la nausea.
Quello delle librerie e dei centri commerciali era un semplice esempio. E' chiaro che non tutti sono uguali come è chiaro che non a tutti piace la lettura. Il problema è che in questi casi è la televisione che sostituisce tutto (parlo sempre in generale, sicuramente esisteranno più eccezioni).
Ripongo un po' più di speranza nel futuro, in quanto le nuove generazioni saranno in grado di usare il computer ed internet (per me lo strumento più democratico che sia mai esistito).
lordtom24 ha scritto:Quello che e' vero indice di crisi e' vedere la gente ed i libri che ci sono nelle librerie di oggi.
Scusa, che gente e che libri? Credo ci sia di tutto.
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Re: LA DEMOCRAZIA STRESSATA
Vorrei aggiungere, con tono provocatorio, che ogni stato ha i politici che si merita!
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Re: LA DEMOCRAZIA STRESSATA
dadoma ha scritto:lordtom24 ha scritto:Comunque, mi sento di condividere l'analisi a grandi linee, ma vorrei aggiungere una cosa. Non mi da fastidio la gente che va ai centri commerciali invece che in libreria- mica tutti possono essere uguali, e ci puo' stare che a qualcuno le librerie facciano venire la nausea.
Quello delle librerie e dei centri commerciali era un semplice esempio. E' chiaro che non tutti sono uguali come è chiaro che non a tutti piace la lettura. Il problema è che in questi casi è la televisione che sostituisce tutto (parlo sempre in generale, sicuramente esisteranno più eccezioni).
Ripongo un po' più di speranza nel futuro, in quanto le nuove generazioni saranno in grado di usare il computer ed internet (per me lo strumento più democratico che sia mai esistito).lordtom24 ha scritto:Quello che e' vero indice di crisi e' vedere la gente ed i libri che ci sono nelle librerie di oggi.
Scusa, che gente e che libri? Credo ci sia di tutto.
Appunto c'e' di tutto....
Volevo solo dire pero' che il punto serio era il primo. Prima acusi gli italiani di essere qualunquisti (vero) e poi fai esattamente cio', parlando di classe politica in generale.
lordtom24- -------------
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Re: LA DEMOCRAZIA STRESSATA
lordtom24 ha scritto:dadoma ha scritto:lordtom24 ha scritto:Comunque, mi sento di condividere l'analisi a grandi linee, ma vorrei aggiungere una cosa. Non mi da fastidio la gente che va ai centri commerciali invece che in libreria- mica tutti possono essere uguali, e ci puo' stare che a qualcuno le librerie facciano venire la nausea.
Quello delle librerie e dei centri commerciali era un semplice esempio. E' chiaro che non tutti sono uguali come è chiaro che non a tutti piace la lettura. Il problema è che in questi casi è la televisione che sostituisce tutto (parlo sempre in generale, sicuramente esisteranno più eccezioni).
Ripongo un po' più di speranza nel futuro, in quanto le nuove generazioni saranno in grado di usare il computer ed internet (per me lo strumento più democratico che sia mai esistito).lordtom24 ha scritto:Quello che e' vero indice di crisi e' vedere la gente ed i libri che ci sono nelle librerie di oggi.
Scusa, che gente e che libri? Credo ci sia di tutto.
Appunto c'e' di tutto....
Volevo solo dire pero' che il punto serio era il primo. Prima acusi gli italiani di essere qualunquisti (vero) e poi fai esattamente cio', parlando di classe politica in generale.
In effetti prese e messe assieme le due frasi potrebbero sembrare la stessa cosa. La differenza è che io mi baso su un ragionamento, su fatti, notizie (cioè cerco di informarmi da solo, per quanto possibile cercando di evitare la televisione) e mi confronto spesso con quella parte che in generale tende a giudicare a priori senza neanche sapere chi c'è nel nostro parlmento o quali leggi siano state approvate o in fase di approvazione. Poi quando parlo di classe politica culturalmente limitata mi riferisco alla maggioranza (altrimenti non ci troveremmo nella situazione attuale), è ovvio che all'interno di tutta la classe politica ci sono anche dei casi virtuosi.
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