Quell'estate impazzì mia figlia
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Quell'estate impazzì mia figlia
So che è molto lungo, ma spero che abbiate la pazienza di leggerlo. L'articolo mi ha colpito molto e mi ha riportato alla mente due cose (che mi colpirono altrettanto): il film Beautiful Mind e la canzone "Ti regalerò una rosa"... quanto è fragile la mente umana...
«Il 5 luglio del 1996 mia figlia è diventata matta». Inizia così, senza preamboli, il libro di Michael Greenberg, Hurry Down Sunshine ( Il giorno in cui mia figlia impazzì), per poi passare a narrare gli eventi con foga quasi torrenziale. La malattia esplode all'improvviso: Sally, la figlia 15enne di Greenberg, da qualche settimana è molto eccitata: ascolta in continuazione le Variazioni Goldberg di Glenn Gould con il walkman, legge un volume di sonetti di Shakespeare quasi tutta la notte.
Greenberg scrive: «Apro il libro a caso e trovo un groviglio di frecce, annotazioni, parole cerchiate. Il tredicesimo sonetto sembra una pagina del Talmud, i margini sono talmente pieni di commenti che il testo al centro quasi scompare». Sally scrive anche delle poesie, che ricordano quelle di Sylvia Plath. Il padre le legge di nascosto e le trova strane, ma non pensa che l'umore o le attività della figlia abbiano tratti patologici. Da bambina Sally ha avuto difficoltà di apprendimento, ma ora le sta trionfalmente superando e sta scoprendo per la prima volta le sue capacità intellettuali. Questa esaltazione è normale in una quindicenne molto dotata — almeno così sembra.
In quel caldo giorno di luglio, però, Sally crolla. Ferma le persone in strada investendole con un fiume di parole, pretendendo di essere ascoltata, scuotendole; poi si butta in mezzo al traffico, convinta di poter fermare le macchine semplicemente con la forza della volontà (un amico pronto di riflessi riesce a trascinarla via appena in tempo). Qualche giorno prima, osservando alcune bambine giocare, Sally ha avuto una visione: si è convinta che abbiamo perso la «genialità» originaria e illimitata che Dio ha dato a ciascuno di noi e crede che la sua missione sia quella di aiutare gli altri a recuperare questo dono. È questa idea che la induce a rivolgersi a sconosciuti per strada; il suo bizzarro comportamento deriva dalla sensazione di avere dei poteri speciali. I suoi genitori lo capiscono quando, il giorno dopo, la interrogano.
Più che dalle sue appassionate convinzioni, però, il padre e sua moglie sono sorpresi dal suo modo di parlare: «Pat e io siamo scioccati, non tanto da quel che dice ma da come lo dice. I suoi pensieri prorompono e si accavallano in una sfilza di parole scombinate; ogni frase si sovrappone alla precedente, lasciandola incompleta. Siamo confusi, abbiamo difficoltà ad assorbire la quantità di energia che sgorga dal suo corpo minuto. Sally gesticola, protende il mento... il suo desiderio di comunicare è così impetuoso da essere un tormento. Ogni parola è per lei come una tossina che deve espellere dal corpo. Più parla più diventa incoerente, e più diventa incoerente più sente l'urgenza di farsi capire! Guardandola mi sento impotente, ma anche galvanizzato dalla sua vitalità».
Si potrebbe chiamare mania, follia o psicosi — uno squilibrio chimico nel cervello — ma si presenta come un'energia primordiale. Greenberg la paragona a «una rara forza della natura, come una bufera o un'alluvione: distruttiva, ma a modo suo anche stupefacente». Questa energia senza freni somiglia a quella che accompagna la creatività, l'ispirazione o il genio, e in effetti è così che Sally la sente in sé — non una malattia, ma l'apoteosi della salute, la liberazione di una parte di sé profonda e fino ad ora repressa.
I genitori di Sally sono sconcertati quanto lei, anzi di più, perché non hanno la sua folle sicurezza. Si chiedono se faccia uso di qualche droga, Lsd o magari peggio; se si tratti di un problema che le hanno trasmesso per via genetica, o se le hanno fatto qualcosa di terribile in una fase critica dello sviluppo. Lo ha sempre avuto dentro di sé, anche se si è scatenato così improvvisamente? Sono le domande che si fecero anche i miei genitori nel 1943, quando mio fratello Michael ebbe a quindici anni un episodio di psicosi acuta. Vedeva «messaggi» dappertutto, pensava che i suoi pensieri venissero letti o trasmessi, aveva eccessi di uno strano riso convulso e credeva di essere stato trasportato in un altro «regno ». Allora gli allucinogeni erano una rarità, quindi i miei genitori, che erano entrambi medici, si chiesero se il suo comportamento fosse causato da una malattia, come una disfunzione tiroidea o un tumore al cervello. Alla fine capirono che mio fratello soffriva di psicosi schizofrenica. Nel caso di Sally i test clinici escludono problemi legati alla tiroide, all'uso di droghe o a tumori. La sua è «solo» una psicosi maniacale, acuta e pericolosa (tutte le psicosi sono potenzialmente pericolose, almeno per l'incolumità del paziente).
Si possono avere episodi di esaltazione maniacale — o di depressione — (avere fissazioni o allucinazioni, perdere di vista la realtà) senza essere psicotici. Sally però ha varcato la soglia, e in quel caldo giorno di luglio è accaduto qualcosa, qualcosa si è spezzato. Improvvisamente è diventata un'altra persona — ha un aspetto diverso, parla in modo diverso. «Tra noi ogni punto di contatto era svanito», scrive il padre. Ora lo chiama «padre», invece di «papà», e parla con «una voce forzata, falsa, come se recitasse battute imparate a memoria»; «i suoi occhi castani di solito caldi sono vitrei e scuri, come ricoperti da una mano di lacca ».
Da principio i genitori si sforzano di credere (come fa anche Sally) che lo stato di eccitazione sia un fatto positivo, non una condizione patologica. La madre prova a vederlo sotto una luce New Age: «Sally sta passando un periodo così, Michael, ne sono sicura; non è una malattia. È una ragazza molto spirituale... Attraversa una fase essenziale della sua evoluzione, è il suo cammino verso un dominio più elevato».
Greenberg la pensa in modo simile, James Joyce con la figlia Lucia a Parigi nel 1924 anche se si esprime in termini più prosaici: «Anch'io volevo credere a una cosa del genere, credere che fosse un progresso, una vittoria, l'atteso sbocciare della sua mente. Come si fa però a distinguere tra la "divina follia" di Platone e un discorso senza senso? Tra l'entusiasmo e l'incoerenza? Tra chi è profeta e chi invece è "clinicamente pazzo"?» (Greenberg fa notare che James Joyce si era trovato in una situazione simile con la figlia Lucia, schizofrenica. «Le sue intuizioni sono incredibili», diceva Joyce. «Se c'è in me una scintilla gliel'ho trasmessa, e il suo cervello ne è stato incendiato». Dirà poi a Beckett: «Non è una folle che vaneggia, ma solo una povera bambina che ha cercato di fare troppo, di capire troppo»).
Ma presto diventa chiaro che Sally è davvero psicotica e ha perso il controllo di sé, e i genitori la portano in una clinica psichiatrica. Dapprima lei è contenta, pensando che infermiere, assistenti, psichiatri siano le persone più adatte a capire le sue intuizioni, il suo messaggio. La realtà, però, è brutalmente diversa: Sally viene rinchiusa e sedata con tranquillanti. La descrizione che Greenberg dà del reparto ha i toni densi e ricchi di un romanzo e presenta una serie di personaggi degni di Cechov. All'ospedale non cercano di capire Sally — la sua mania è trattata anzitutto come un problema medico, uno squilibrio chimico del cervello, da affrontare in termini di neurochimica. Purtroppo Sally non risponde al litio, che si è dimostrato fondamentale per molti pazienti con problemi maniaco-depressivi, e i medici devono quindi ricorrere a forti dosi di tranquillanti, che sedano la sua eccitazione ma la lasciano stordita e apatica. Per il padre, vedere la figlia adolescente in quello stato da zombie è quasi altrettanto scioccante che vederla sovraeccitata.
Dopo ventiquattro giorni di questo trattamento, Sally viene dimessa, anche se ha ancora idee fisse e deve continuare a far uso di tranquillanti. Fuori dell'ospedale incontra una terapista eccezionale, che la tratta da essere umano e cerca di capire i suoi pensieri e sentimenti. La dottoressa Lensing si rivolge a lei in modo assolutamente diretto. «Scommetto che senti di avere un leone dentro di te», sono le prime parole che le dice. «Come fa a saperlo?». Sally è stupita e abbandona ogni sospetto. La dottoressa Lensing continua a parlare della sua mania come se fosse una specie di creatura, un altro essere dentro di lei. Cerca di indurre Sally a distinguere la sua psicosi dalla sua vera identità, a distaccarsi dalla psicosi in modo da vedere la complessa e ambigua relazione che ha intessuto con essa. (La psicosi «non è un'identità», le dice seccamente). Ne parla con il padre, perché è necessario che anche lui capisca, se si vuole che Sally migliori.
«Sally non vuole essere isolata, è proiettata verso l'esterno e questo è un fattore estremamente positivo. Desidera essere capita, e non solo da noi: anche lei vuole capirsi». La dottoressa Lensing considera il desiderio di Sally di tornare ad avere dei sinceri contatti con gli altri, di capire e di essere capita, di buon auspicio per il suo ritorno alla salute, il ritorno alla terra. L'abbandono definitivo delle folli altezze della mania è per Sally quasi altrettanto improvviso dello scatenarsi della malattia avvenuto sette settimane prima. Dice Greenberg: «Sally e io siamo in cucina. Ho passato la giornata a casa con lei, lavorando a una sceneggiatura.
"Vuoi una tazza di tè?", le chiedo.
"Sì, mi andrebbe, grazie".
"Con latte?".
"Sì, e miele".
"Due cucchiaini?".
"Sì. Li metto io. Mi piace guardare il miele colare giù dal cucchiaio".
Qualcosa nel suo tono attira la mia attenzione: l'inflessione della voce, il modo diretto e caldo di parlare. Non la sentivo così da mesi. I suoi occhi si sono addolciti. Cerco di essere cauto, per timore di ingannarmi, ma il cambiamento è evidente. È come se fosse avvenuto un miracolo. Il miracolo della normalità, dell'esistenza ordinaria... Mi sembra di aver vissuto per tutta l'estate dentro una favola. Una bella ragazza viene trasformata in una pietra indifferente o in un demone. È separata dalle persone care, dalla lingua, da tutto quel che era suo. Poi l'incantesimo si rompe e lei si risveglia... ».
Dopo l'estate di pazzia, Sally ritorna a scuola — con ansia, ma decisa a riprendersi la sua vita. Dapprima non parla della malattia, e apprezza la compagnia delle tre amiche che nella classe le sono più affezionate. «Spesso — scrive il padre — la sento parlare con loro al telefono, in modo intimo, tagliente, pettegolo: l'atteggiamento allegro di una ragazza sana ». Dopo qualche settimana di scuola, e dopo averne discusso con i genitori, Sally racconta alle amiche della sua psicosi: «Loro la accettano senza problemi. Essere stata in un reparto psichiatrico rende Sally importante. È una sorta di credenziale. È un luogo che le amiche non conoscono. Diventa il loro segreto». Sally riacquista la salute, e qui la storia potrebbe avere fine. La sindrome maniaco-depressiva, però, ha la particolarità di essere ciclica, e in un post-scritto al libro Greenberg dice che Sally ha avuto due ricadute: la prima dopo quattro anni, quando era all'università, la seconda dopo altri sei anni. Non esiste una cura per la sindrome maniaco-depressiva, ma è possibile conviverci valendosi di vari aiuti: le medicine, la comprensione dei suoi meccanismi (in particolare riducendo al minimo le situazioni di stress come la perdita del sonno e facendo attenzione a captare i primi sintomi dell'eccitazione maniacale o della depressione), senza tralasciare la psicoterapia. Per profondità, ricchezza e intelligenza,
Hurry Down Sunshine va considerato un classico del suo genere. Quel che lo rende un libro unico, però, è essere narrato dal punto di vista di un genitore straordinariamente aperto e sensibile, un padre che, senza mai cedere al sentimentalismo, mostra una notevole capacità di capire i pensieri e i sentimenti della figlia e una abilità rara nel trovare le immagini e le metafore giuste per descrivere stati d'animo quasi inimmaginabili.
Decidere di «raccontare» e di pubblicare il resoconto dettagliato della vita di un paziente, di mostrarne la vulnerabilità e la malattia, è una questione moralmente delicata, piena di pericoli di varia natura. La lotta di Sally con la psicosi non dovrebbe rimanere una faccenda privata e personale? Perché suo padre dovrebbe mostrare al mondo le sofferenze della figlia e della sua famiglia? E quale potrebbe essere la reazione di Sally al vedere esposti pubblicamente i suoi tormenti e le sue esaltazioni di adolescente?
Scrivere questo libro non è stata una decisione rapida o scontata né per Sally né per il padre. Greenberg non ha iniziato a scrivere nel 1996, durante la malattia della figlia; ha aspettato, meditato, assorbito l'esperienza. Ha discusso a lungo con Sally e solo dopo più di dieci anni ha sentito di poter trovare l'equilibrio, la distanza e il tono giusti per scrivere Hurry Down Sunshine.
Anche Sally è giunta alla stessa conclusione, esortandolo non solo a scrivere la sua storia, ma anche a usare il suo vero nome, senza pseudonimi. È stata una decisione coraggiosa, considerando il marchio col quale sono ancora bollati i malati mentali.
È un marchio che colpisce molti, perché le malattie maniaco-depressive esistono in tutte le culture e affliggono almeno una persona su cento. In questo momento ci sono al mondo milioni di persone, alcune anche più giovani di Sally, che devono affrontare quel che ha passato lei. Hurry Down Sunshine è un libro lucido, umano, illuminante; è una specie di guida per chi deve avere a che fare con le regioni oscure dell'anima, ed è utile anche ai familiari, agli amici e a tutti coloro che vogliono essere vicini ai loro cari in difficoltà. Forse ci ricorderà anche quanto è stretto il lembo di normalità nel quale ci muoviamo, tra gli abissi della mania e della depressione che si aprono ai suoi lati.
2008 by Oliver Sacks (Traduzione di Maria Sepa) JEANLOUP SIEFF, «INA A EAST HAMPTON, NEW YORK» (1963)
Oliver Sacks
15 marzo 2009
Corriere.it
«Il 5 luglio del 1996 mia figlia è diventata matta». Inizia così, senza preamboli, il libro di Michael Greenberg, Hurry Down Sunshine ( Il giorno in cui mia figlia impazzì), per poi passare a narrare gli eventi con foga quasi torrenziale. La malattia esplode all'improvviso: Sally, la figlia 15enne di Greenberg, da qualche settimana è molto eccitata: ascolta in continuazione le Variazioni Goldberg di Glenn Gould con il walkman, legge un volume di sonetti di Shakespeare quasi tutta la notte.
Greenberg scrive: «Apro il libro a caso e trovo un groviglio di frecce, annotazioni, parole cerchiate. Il tredicesimo sonetto sembra una pagina del Talmud, i margini sono talmente pieni di commenti che il testo al centro quasi scompare». Sally scrive anche delle poesie, che ricordano quelle di Sylvia Plath. Il padre le legge di nascosto e le trova strane, ma non pensa che l'umore o le attività della figlia abbiano tratti patologici. Da bambina Sally ha avuto difficoltà di apprendimento, ma ora le sta trionfalmente superando e sta scoprendo per la prima volta le sue capacità intellettuali. Questa esaltazione è normale in una quindicenne molto dotata — almeno così sembra.
In quel caldo giorno di luglio, però, Sally crolla. Ferma le persone in strada investendole con un fiume di parole, pretendendo di essere ascoltata, scuotendole; poi si butta in mezzo al traffico, convinta di poter fermare le macchine semplicemente con la forza della volontà (un amico pronto di riflessi riesce a trascinarla via appena in tempo). Qualche giorno prima, osservando alcune bambine giocare, Sally ha avuto una visione: si è convinta che abbiamo perso la «genialità» originaria e illimitata che Dio ha dato a ciascuno di noi e crede che la sua missione sia quella di aiutare gli altri a recuperare questo dono. È questa idea che la induce a rivolgersi a sconosciuti per strada; il suo bizzarro comportamento deriva dalla sensazione di avere dei poteri speciali. I suoi genitori lo capiscono quando, il giorno dopo, la interrogano.
Più che dalle sue appassionate convinzioni, però, il padre e sua moglie sono sorpresi dal suo modo di parlare: «Pat e io siamo scioccati, non tanto da quel che dice ma da come lo dice. I suoi pensieri prorompono e si accavallano in una sfilza di parole scombinate; ogni frase si sovrappone alla precedente, lasciandola incompleta. Siamo confusi, abbiamo difficoltà ad assorbire la quantità di energia che sgorga dal suo corpo minuto. Sally gesticola, protende il mento... il suo desiderio di comunicare è così impetuoso da essere un tormento. Ogni parola è per lei come una tossina che deve espellere dal corpo. Più parla più diventa incoerente, e più diventa incoerente più sente l'urgenza di farsi capire! Guardandola mi sento impotente, ma anche galvanizzato dalla sua vitalità».
Si potrebbe chiamare mania, follia o psicosi — uno squilibrio chimico nel cervello — ma si presenta come un'energia primordiale. Greenberg la paragona a «una rara forza della natura, come una bufera o un'alluvione: distruttiva, ma a modo suo anche stupefacente». Questa energia senza freni somiglia a quella che accompagna la creatività, l'ispirazione o il genio, e in effetti è così che Sally la sente in sé — non una malattia, ma l'apoteosi della salute, la liberazione di una parte di sé profonda e fino ad ora repressa.
I genitori di Sally sono sconcertati quanto lei, anzi di più, perché non hanno la sua folle sicurezza. Si chiedono se faccia uso di qualche droga, Lsd o magari peggio; se si tratti di un problema che le hanno trasmesso per via genetica, o se le hanno fatto qualcosa di terribile in una fase critica dello sviluppo. Lo ha sempre avuto dentro di sé, anche se si è scatenato così improvvisamente? Sono le domande che si fecero anche i miei genitori nel 1943, quando mio fratello Michael ebbe a quindici anni un episodio di psicosi acuta. Vedeva «messaggi» dappertutto, pensava che i suoi pensieri venissero letti o trasmessi, aveva eccessi di uno strano riso convulso e credeva di essere stato trasportato in un altro «regno ». Allora gli allucinogeni erano una rarità, quindi i miei genitori, che erano entrambi medici, si chiesero se il suo comportamento fosse causato da una malattia, come una disfunzione tiroidea o un tumore al cervello. Alla fine capirono che mio fratello soffriva di psicosi schizofrenica. Nel caso di Sally i test clinici escludono problemi legati alla tiroide, all'uso di droghe o a tumori. La sua è «solo» una psicosi maniacale, acuta e pericolosa (tutte le psicosi sono potenzialmente pericolose, almeno per l'incolumità del paziente).
Si possono avere episodi di esaltazione maniacale — o di depressione — (avere fissazioni o allucinazioni, perdere di vista la realtà) senza essere psicotici. Sally però ha varcato la soglia, e in quel caldo giorno di luglio è accaduto qualcosa, qualcosa si è spezzato. Improvvisamente è diventata un'altra persona — ha un aspetto diverso, parla in modo diverso. «Tra noi ogni punto di contatto era svanito», scrive il padre. Ora lo chiama «padre», invece di «papà», e parla con «una voce forzata, falsa, come se recitasse battute imparate a memoria»; «i suoi occhi castani di solito caldi sono vitrei e scuri, come ricoperti da una mano di lacca ».
Da principio i genitori si sforzano di credere (come fa anche Sally) che lo stato di eccitazione sia un fatto positivo, non una condizione patologica. La madre prova a vederlo sotto una luce New Age: «Sally sta passando un periodo così, Michael, ne sono sicura; non è una malattia. È una ragazza molto spirituale... Attraversa una fase essenziale della sua evoluzione, è il suo cammino verso un dominio più elevato».
Greenberg la pensa in modo simile, James Joyce con la figlia Lucia a Parigi nel 1924 anche se si esprime in termini più prosaici: «Anch'io volevo credere a una cosa del genere, credere che fosse un progresso, una vittoria, l'atteso sbocciare della sua mente. Come si fa però a distinguere tra la "divina follia" di Platone e un discorso senza senso? Tra l'entusiasmo e l'incoerenza? Tra chi è profeta e chi invece è "clinicamente pazzo"?» (Greenberg fa notare che James Joyce si era trovato in una situazione simile con la figlia Lucia, schizofrenica. «Le sue intuizioni sono incredibili», diceva Joyce. «Se c'è in me una scintilla gliel'ho trasmessa, e il suo cervello ne è stato incendiato». Dirà poi a Beckett: «Non è una folle che vaneggia, ma solo una povera bambina che ha cercato di fare troppo, di capire troppo»).
Ma presto diventa chiaro che Sally è davvero psicotica e ha perso il controllo di sé, e i genitori la portano in una clinica psichiatrica. Dapprima lei è contenta, pensando che infermiere, assistenti, psichiatri siano le persone più adatte a capire le sue intuizioni, il suo messaggio. La realtà, però, è brutalmente diversa: Sally viene rinchiusa e sedata con tranquillanti. La descrizione che Greenberg dà del reparto ha i toni densi e ricchi di un romanzo e presenta una serie di personaggi degni di Cechov. All'ospedale non cercano di capire Sally — la sua mania è trattata anzitutto come un problema medico, uno squilibrio chimico del cervello, da affrontare in termini di neurochimica. Purtroppo Sally non risponde al litio, che si è dimostrato fondamentale per molti pazienti con problemi maniaco-depressivi, e i medici devono quindi ricorrere a forti dosi di tranquillanti, che sedano la sua eccitazione ma la lasciano stordita e apatica. Per il padre, vedere la figlia adolescente in quello stato da zombie è quasi altrettanto scioccante che vederla sovraeccitata.
Dopo ventiquattro giorni di questo trattamento, Sally viene dimessa, anche se ha ancora idee fisse e deve continuare a far uso di tranquillanti. Fuori dell'ospedale incontra una terapista eccezionale, che la tratta da essere umano e cerca di capire i suoi pensieri e sentimenti. La dottoressa Lensing si rivolge a lei in modo assolutamente diretto. «Scommetto che senti di avere un leone dentro di te», sono le prime parole che le dice. «Come fa a saperlo?». Sally è stupita e abbandona ogni sospetto. La dottoressa Lensing continua a parlare della sua mania come se fosse una specie di creatura, un altro essere dentro di lei. Cerca di indurre Sally a distinguere la sua psicosi dalla sua vera identità, a distaccarsi dalla psicosi in modo da vedere la complessa e ambigua relazione che ha intessuto con essa. (La psicosi «non è un'identità», le dice seccamente). Ne parla con il padre, perché è necessario che anche lui capisca, se si vuole che Sally migliori.
«Sally non vuole essere isolata, è proiettata verso l'esterno e questo è un fattore estremamente positivo. Desidera essere capita, e non solo da noi: anche lei vuole capirsi». La dottoressa Lensing considera il desiderio di Sally di tornare ad avere dei sinceri contatti con gli altri, di capire e di essere capita, di buon auspicio per il suo ritorno alla salute, il ritorno alla terra. L'abbandono definitivo delle folli altezze della mania è per Sally quasi altrettanto improvviso dello scatenarsi della malattia avvenuto sette settimane prima. Dice Greenberg: «Sally e io siamo in cucina. Ho passato la giornata a casa con lei, lavorando a una sceneggiatura.
"Vuoi una tazza di tè?", le chiedo.
"Sì, mi andrebbe, grazie".
"Con latte?".
"Sì, e miele".
"Due cucchiaini?".
"Sì. Li metto io. Mi piace guardare il miele colare giù dal cucchiaio".
Qualcosa nel suo tono attira la mia attenzione: l'inflessione della voce, il modo diretto e caldo di parlare. Non la sentivo così da mesi. I suoi occhi si sono addolciti. Cerco di essere cauto, per timore di ingannarmi, ma il cambiamento è evidente. È come se fosse avvenuto un miracolo. Il miracolo della normalità, dell'esistenza ordinaria... Mi sembra di aver vissuto per tutta l'estate dentro una favola. Una bella ragazza viene trasformata in una pietra indifferente o in un demone. È separata dalle persone care, dalla lingua, da tutto quel che era suo. Poi l'incantesimo si rompe e lei si risveglia... ».
Dopo l'estate di pazzia, Sally ritorna a scuola — con ansia, ma decisa a riprendersi la sua vita. Dapprima non parla della malattia, e apprezza la compagnia delle tre amiche che nella classe le sono più affezionate. «Spesso — scrive il padre — la sento parlare con loro al telefono, in modo intimo, tagliente, pettegolo: l'atteggiamento allegro di una ragazza sana ». Dopo qualche settimana di scuola, e dopo averne discusso con i genitori, Sally racconta alle amiche della sua psicosi: «Loro la accettano senza problemi. Essere stata in un reparto psichiatrico rende Sally importante. È una sorta di credenziale. È un luogo che le amiche non conoscono. Diventa il loro segreto». Sally riacquista la salute, e qui la storia potrebbe avere fine. La sindrome maniaco-depressiva, però, ha la particolarità di essere ciclica, e in un post-scritto al libro Greenberg dice che Sally ha avuto due ricadute: la prima dopo quattro anni, quando era all'università, la seconda dopo altri sei anni. Non esiste una cura per la sindrome maniaco-depressiva, ma è possibile conviverci valendosi di vari aiuti: le medicine, la comprensione dei suoi meccanismi (in particolare riducendo al minimo le situazioni di stress come la perdita del sonno e facendo attenzione a captare i primi sintomi dell'eccitazione maniacale o della depressione), senza tralasciare la psicoterapia. Per profondità, ricchezza e intelligenza,
Hurry Down Sunshine va considerato un classico del suo genere. Quel che lo rende un libro unico, però, è essere narrato dal punto di vista di un genitore straordinariamente aperto e sensibile, un padre che, senza mai cedere al sentimentalismo, mostra una notevole capacità di capire i pensieri e i sentimenti della figlia e una abilità rara nel trovare le immagini e le metafore giuste per descrivere stati d'animo quasi inimmaginabili.
Decidere di «raccontare» e di pubblicare il resoconto dettagliato della vita di un paziente, di mostrarne la vulnerabilità e la malattia, è una questione moralmente delicata, piena di pericoli di varia natura. La lotta di Sally con la psicosi non dovrebbe rimanere una faccenda privata e personale? Perché suo padre dovrebbe mostrare al mondo le sofferenze della figlia e della sua famiglia? E quale potrebbe essere la reazione di Sally al vedere esposti pubblicamente i suoi tormenti e le sue esaltazioni di adolescente?
Scrivere questo libro non è stata una decisione rapida o scontata né per Sally né per il padre. Greenberg non ha iniziato a scrivere nel 1996, durante la malattia della figlia; ha aspettato, meditato, assorbito l'esperienza. Ha discusso a lungo con Sally e solo dopo più di dieci anni ha sentito di poter trovare l'equilibrio, la distanza e il tono giusti per scrivere Hurry Down Sunshine.
Anche Sally è giunta alla stessa conclusione, esortandolo non solo a scrivere la sua storia, ma anche a usare il suo vero nome, senza pseudonimi. È stata una decisione coraggiosa, considerando il marchio col quale sono ancora bollati i malati mentali.
È un marchio che colpisce molti, perché le malattie maniaco-depressive esistono in tutte le culture e affliggono almeno una persona su cento. In questo momento ci sono al mondo milioni di persone, alcune anche più giovani di Sally, che devono affrontare quel che ha passato lei. Hurry Down Sunshine è un libro lucido, umano, illuminante; è una specie di guida per chi deve avere a che fare con le regioni oscure dell'anima, ed è utile anche ai familiari, agli amici e a tutti coloro che vogliono essere vicini ai loro cari in difficoltà. Forse ci ricorderà anche quanto è stretto il lembo di normalità nel quale ci muoviamo, tra gli abissi della mania e della depressione che si aprono ai suoi lati.
2008 by Oliver Sacks (Traduzione di Maria Sepa) JEANLOUP SIEFF, «INA A EAST HAMPTON, NEW YORK» (1963)
Oliver Sacks
15 marzo 2009
Corriere.it
Ludwig von Drake- -------------
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SCALA DI DAWKINS :
Data d'iscrizione : 19.11.08
Re: Quell'estate impazzì mia figlia
Grazie alla chimica-farmaceutica sono stati sintetizzati ottimi farmaci.
In questo modo si tiene sedato il paziente con dei neurolettici nella fase maniacale (si pensa di poter far qualunque cosa) e si usano antidepressivi nella fase depressiva.
Se si imposta bene la terapia è una delle malattie psichiatriche che danno i risultati migliori e permettono di continuare tranquillamente una vita normale.
Niente a che vedere con schizofrenia e sindromi paranoiche, la menata è che se l'anamnesi non è accurata il rischio di suicidio iniziale (prima di iniziare la terapia) è molto elevato.
In questo modo si tiene sedato il paziente con dei neurolettici nella fase maniacale (si pensa di poter far qualunque cosa) e si usano antidepressivi nella fase depressiva.
Se si imposta bene la terapia è una delle malattie psichiatriche che danno i risultati migliori e permettono di continuare tranquillamente una vita normale.
Niente a che vedere con schizofrenia e sindromi paranoiche, la menata è che se l'anamnesi non è accurata il rischio di suicidio iniziale (prima di iniziare la terapia) è molto elevato.
maxsar- -----------
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SCALA DI DAWKINS :
Data d'iscrizione : 13.01.09
Re: Quell'estate impazzì mia figlia
mi ha sempre affascinata la psiche umana, anche nei suoi risvolti più cupi.
riporto qui di seguito un brevissimo testo che ho scritto qualche anno fa...
Mi soffermo con gli occhi della mente a guardare un punto
immobile nel cielo scuro illuminato a intermittenza da scosse elettriche.
Il viaggio è breve, ma perdo di vista la meta nel momento in
cui vengo assalita da pensieri.
Pensieri generici, di vita, di sentimenti, di effimero… non
posso toccare, non posso afferrare, sento che se lo facessi impazzirei. Ecco il
significato della quotidianità…
riporto qui di seguito un brevissimo testo che ho scritto qualche anno fa...
Mi soffermo con gli occhi della mente a guardare un punto
immobile nel cielo scuro illuminato a intermittenza da scosse elettriche.
Il viaggio è breve, ma perdo di vista la meta nel momento in
cui vengo assalita da pensieri.
Pensieri generici, di vita, di sentimenti, di effimero… non
posso toccare, non posso afferrare, sento che se lo facessi impazzirei. Ecco il
significato della quotidianità…
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"Che cos'ho in comune con gli ebrei? Non ho neppure niente in comune con me stesso"
F.Kafka
ros79- -----------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
le sindromi bipolari,in tutte le loro varianti, e in genere le depressioni miste, sono in assoluto i disturbi psichici più diffusi, e spesso i meno o peggio curati, nonchè i meno conosciuti.
Il litio citato nel racconto di solito è efficace per la deprssione bipolare 1 (la cosiddetta mania depressiva), ma non per le crisi maniacali in acuto, per le quali si usano gli antipsicotici. Durante la crisi si comincia anche la terapia con stabilizzanti i quali hanno effetti nel lungo termine.
Conosco il problema perchè sono affetto da un disturbo dell'umore misto, molto meno grave naturalmente del bipolare 1, ma che comunque mi da sempre il suo bel da fare.
Non prendo il litio, ma il valproato, un antiepilettico. Si usano in genere gli antiepilettici per la loro capacità di normalizzare l'attività elettrica del cervello.
In poche parole il cervello di chi soffre di questa enorme gamma di disturbi dell'umore ha dei picchi di attività elettrica che tendono poi a generare dei cali di tensione ad essi conseguenti. In pratica questo si traduce o in periodi di umore espansivo (maniacale, ipomaniacale, misto) e in periodi di umore depresso (depressione, distimia, disforie, nervosismo ecc.).
A livello comportamentale ci può essere iperattività (attività esagerata e afinalizzata), logorrea, comportamento di spesa eccessiva ecc.
Ricordo il periodo di ambivalenza vera e propria che ebbi. L'ipomania era accompagnata da fissazioni, iperattività, mancanza di sonno, autosopravvalutazione (mi vedevo bellissimo eheh), una grande facilità al litigio e alla rabbia, e. naturalmente, la sensazione di stare veramente molto bene. Tutto era velocissimo e a me le persone sembravano in genere troppo lente. Difficile da spiegare. Le depressioni erano miste (cioè accompagnate da agitazione mentale e motoria) e duravano circa 3 giorni. Le fasi espansive circa dieci.
da che mi curo ho avuto un solo viraggio, ma non "mentale", ma solo fisico (iperattività sportiva e lavorativa esasperata), che purtroppo però mi ha portato ad un lungo periodo di sovraffaticamento.
Il problema è congenito e ereditario, ma gli stress ambientali tendono ad aggravare o a far emergere il problema.
Il litio citato nel racconto di solito è efficace per la deprssione bipolare 1 (la cosiddetta mania depressiva), ma non per le crisi maniacali in acuto, per le quali si usano gli antipsicotici. Durante la crisi si comincia anche la terapia con stabilizzanti i quali hanno effetti nel lungo termine.
Conosco il problema perchè sono affetto da un disturbo dell'umore misto, molto meno grave naturalmente del bipolare 1, ma che comunque mi da sempre il suo bel da fare.
Non prendo il litio, ma il valproato, un antiepilettico. Si usano in genere gli antiepilettici per la loro capacità di normalizzare l'attività elettrica del cervello.
In poche parole il cervello di chi soffre di questa enorme gamma di disturbi dell'umore ha dei picchi di attività elettrica che tendono poi a generare dei cali di tensione ad essi conseguenti. In pratica questo si traduce o in periodi di umore espansivo (maniacale, ipomaniacale, misto) e in periodi di umore depresso (depressione, distimia, disforie, nervosismo ecc.).
A livello comportamentale ci può essere iperattività (attività esagerata e afinalizzata), logorrea, comportamento di spesa eccessiva ecc.
Ricordo il periodo di ambivalenza vera e propria che ebbi. L'ipomania era accompagnata da fissazioni, iperattività, mancanza di sonno, autosopravvalutazione (mi vedevo bellissimo eheh), una grande facilità al litigio e alla rabbia, e. naturalmente, la sensazione di stare veramente molto bene. Tutto era velocissimo e a me le persone sembravano in genere troppo lente. Difficile da spiegare. Le depressioni erano miste (cioè accompagnate da agitazione mentale e motoria) e duravano circa 3 giorni. Le fasi espansive circa dieci.
da che mi curo ho avuto un solo viraggio, ma non "mentale", ma solo fisico (iperattività sportiva e lavorativa esasperata), che purtroppo però mi ha portato ad un lungo periodo di sovraffaticamento.
Il problema è congenito e ereditario, ma gli stress ambientali tendono ad aggravare o a far emergere il problema.
claudio285- -------------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
Inizio col chiedere scusa per aver affiancato tematiche che ora mi rendo conto essere tra loro completamente diverse: il problema della ragazza del testo, quello dell'autore della Teoria dei Giochi e quello del protagonista della canzone...
Leggo spesso di cure di tipo "fisico" (farmaci da assumere), vorrei chiedervi: credete che l'effetto degli stessi sia influenzato dalla cura "ambientale" (il comportamento delle persone che ci circondano)?
Volendo fare una stupida graduatoria: è più importante l'aiuto dei parenti/amici o la somministrazione di farmaci? Perchè?
Leggo spesso di cure di tipo "fisico" (farmaci da assumere), vorrei chiedervi: credete che l'effetto degli stessi sia influenzato dalla cura "ambientale" (il comportamento delle persone che ci circondano)?
Volendo fare una stupida graduatoria: è più importante l'aiuto dei parenti/amici o la somministrazione di farmaci? Perchè?
Ludwig von Drake- -------------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
Non c'è una differenza netta tra cure farmacologiche e cure psicoterapiche o in gererale "ambientali".
A rigore tutti i tipi di cura hanno una radice fisica. Gli psicofarmaci agiscono apportando una modificazione dell'ambiente interno del corpo, passando da quello del cervello. L'ambiente circostante influenza il sistema in maniera non dissimile: le parole, i gesti, le pressioni ambientali sono tutte riducibili ad una serie di stimoli fisici (suoni, sensazioni fisiche, visioni) che influenzano in maniera più "indiretta" rispetto ai farmaci il sistema mente-cervello-corpo.
A rigore tutti i tipi di cura hanno una radice fisica. Gli psicofarmaci agiscono apportando una modificazione dell'ambiente interno del corpo, passando da quello del cervello. L'ambiente circostante influenza il sistema in maniera non dissimile: le parole, i gesti, le pressioni ambientali sono tutte riducibili ad una serie di stimoli fisici (suoni, sensazioni fisiche, visioni) che influenzano in maniera più "indiretta" rispetto ai farmaci il sistema mente-cervello-corpo.
claudio285- -------------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
Ti parlo partendo dal presupposto che si parli di malattia mentale e non disturbi di personalità o minori; è sicuramente più importante la somministrazione di farmaci.
Volendo fare una stupida graduatoria: è più importante l'aiuto dei parenti/amici o la somministrazione di farmaci?
Perchè?
Perché?
L’azione di un farmaco è oggettiva e scientifica, quasi tutte le malattie psichiatriche sono dovute all’ipoespressione o iperespressione di neurotrasmettitori (ci sono diverse studi d immaging funzionale mediante rmi).
Nel caso di una depressione grave (scusate, arriva sempre in ballo questa, ma è l’esempio più facile), l’azione dei famigliari, amici, parenti da sola è completamente inutile.
Potete provare quanto volete a smuovere un paziente colpito da questa malattia, ma non si caverà un ragno dal buco.
Successivamente al trattamento farmacologico un ambiente sereno e un aiuto da parte degli amici è sicuramente adiuvante, ma fra i due è di certo più importante il trattamento farmacologico.
Non sono d’accordo, se somministriamo ad un paziente un antimao (antidepressivo, che blocca il riassorbemento della serotonina andando a bloccarne il reuptake) dopo 3 settimane si nota quasi sempre un miglioramento oggettivo (ci possono essere al limite incompatibilità tra i diversi principi attivi per il genotipo del paziente ed un farmaco più o meno efficace) dovuto alla maggior concentrazione di serotonina.
Non c'è una differenza netta tra cure farmacologiche e cure psicoterapiche o in generale "ambientali".
A rigore tutti i tipi di cura hanno una radice fisica. Gli psicofarmaci agiscono apportando una modificazione dell'ambiente interno del corpo, passando da quello del cervello. L'ambiente circostante influenza il sistema in maniera non dissimile: le parole, i gesti, le pressioni ambientali sono tutte riducibili ad una serie di stimoli fisici (suoni, sensazioni fisiche, visioni) che influenzano in maniera più "indiretta" rispetto ai farmaci il sistema mente-cervello-corpo.
Questo è quantificabile, sul fatto che la psicanalisi o l’interazione ambientale sia riuscita ad alzare la concentrazione di un singolo neurotrasmettitore non è mai stato dimostrato, e nel caso possa essere forse plausibile l’effetto è quasi trascurabile nel caso di una malattia mentale.
Questi trattamenti possono essere adiuvanti a quelli di tipo farmacologico, ma non possono sostiurisi a questi in nessun caso .
Ovviamente la terapia deve essere ben inquadrata e forse si tende, in alcune realtà, a calcare troppo la mano sulla quantità, ma non bisonga neanchè cadere nell'errore opposto
Sui trattamenti fisici in senso stretto il dibattito è più ampio: l’elettroshock veniva usato in maniera allucinante fino a pochi decenni e per questo è entrato nel libro nero della terapia psichiatrica.
Non è però tutto da buttare, se correntemente messo in atto (paziente sedato e con dosi di rilassanti
muscolari) in casi di depressioni grave resistente ai farmaci (pochi casi, ma ci sono) è l’unico trattamento in grado di arrivare a dare un buon margine di successo.
Con l’ansia di eliminare completamente dal protocollo terapeutico i trattamenti scomodi si è tagliata fuori l’unica
terapia funzionale per una ristrettissima cerchia di particolari pazienti (forse è autorizzata una clinica vicino a Firenze, ma non sono sicuro).
maxsar- -----------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
con gli antidepressivi la serotonina aumenta subito. Il farmaco ha effetto subito. ma ci vuole tempo perchè agiscano a livello psicocomportamentale. Di solito prima c'è l'effetto comportamentale e poi psichico. In alcuni 2 setimane, in altri un mese, fino a mesi e mesi.
Perchè un rialzamento della serotonia nelle sinapsi causi un effetto antidepressivo nessuno lo sa, e non è vero che una psicoterapia non possa avere come effetto anche quello di alzare i livelli di serotona, sempre che questa cosa sia così importante.
E' più probabile che il rialzamento della serotonina causi una catena di effetti neurochimici che portano, in una certa quantità di casi, ad un effetto antidepressivo visibile. Nessuno sa come questa catena si svolga fin'ora.
Non è chiaro se i depressi abbiano una carenza di serotonina cronica o se tale carenza sia dovuta a qualche altro fatto derivante dall'esser già depressi. A dir la veritànon è nemmeno chiaro se i depressi abbiano una carenza effettiva di serotonina, e se l'effetto antidepressivo sia dovuto ad un rialzamento "forzato", rispetto alla norma.
A dirla tutta non mi risulta che esistano dei valori di serotonina medi calcolati. Non so nemmeno se esista uno strumento efficace per misurarli o per studiarli.
la psicoanalisi è un rottame, per psicoterapia intendo solo e soltanto le psicoterapie cognitivo comportamentali. Le uniche verificate secondo parametri scientifici
L'"elettrochoc" si fa sui depressi farmacoresistenti, che ci sono purtroppo. Funziona...per 2 settimane, poi sei punto a capo.
Perchè un rialzamento della serotonia nelle sinapsi causi un effetto antidepressivo nessuno lo sa, e non è vero che una psicoterapia non possa avere come effetto anche quello di alzare i livelli di serotona, sempre che questa cosa sia così importante.
E' più probabile che il rialzamento della serotonina causi una catena di effetti neurochimici che portano, in una certa quantità di casi, ad un effetto antidepressivo visibile. Nessuno sa come questa catena si svolga fin'ora.
Non è chiaro se i depressi abbiano una carenza di serotonina cronica o se tale carenza sia dovuta a qualche altro fatto derivante dall'esser già depressi. A dir la veritànon è nemmeno chiaro se i depressi abbiano una carenza effettiva di serotonina, e se l'effetto antidepressivo sia dovuto ad un rialzamento "forzato", rispetto alla norma.
A dirla tutta non mi risulta che esistano dei valori di serotonina medi calcolati. Non so nemmeno se esista uno strumento efficace per misurarli o per studiarli.
la psicoanalisi è un rottame, per psicoterapia intendo solo e soltanto le psicoterapie cognitivo comportamentali. Le uniche verificate secondo parametri scientifici
L'"elettrochoc" si fa sui depressi farmacoresistenti, che ci sono purtroppo. Funziona...per 2 settimane, poi sei punto a capo.
claudio285- -------------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
L'azione del farmaco dal punto di vista farmacodinamico è abbastanza veloce, ma il tempo per cui si saturino abbastanza le monoamminosidasi e si arrivi ad un certo livello di 5-ht è quello.on gli antidepressivi la serotonina aumenta subito.
Non mi risulta nessuna rewiew che dimostri, nessun problema ad ammattere il contrario se mi dai i riferimenti degli studi delle rewiew a cui fai riferimentonon è vero che una psicoterapia non possa avere come effetto anche quello di alzare i livelli di serotona, sempre che questa cosa sia così importante
Mai detto il contrario, è logico che in campo neurofisiologico si ragioni in termini di cascate molecolari, la cosa però non cambia.E' più probabile che il rialzamento della serotonina causi una catena di effetti neurochimici che portano, in una certa quantità di casi, ad un effetto antidepressivo visibile.
L'impostazione attuale tende a vedere la depressione come una predisposizione la quale si esplicita fenotipicamente in una minor produzione di 5-HT, eventi stressogeni o depressioni reattive tendono a far emergere ciò.Non è chiaro se i depressi abbiano una carenza di serotonina cronica o se tale carenza sia dovuta a qualche altro fatto derivante dall'esser già depressi.
Esistono altri modelli, ma questo mi pare il più seguito e quello sperimentalmente più valido.
Rmi funzionale ad alta emissioneNon so nemmeno se esista uno strumento efficace per misurarli o per studiarli.
Non ti ho capito, non mi pare esistano rewiew serie che paragonino l'efficacia di questi trattamenti in una patologia psichiatrica a quelli della terapia farmacologia; potrei anche sbagliarmi ovvio, ti parlo per le mie conoscenze.per psicoterapia intendo solo e soltanto le psicoterapie cognitivo comportamentali.
Ma neanche cosi tanto, si hanno remissioni in clinica anche abbastanza protratte.Funziona...per 2 settimane, poi sei punto a capo.
Comunque questo trattamento ha aperto la porta alla stimolazione intracranica la quale sembra il trattamento più promettente nell'ottica neurochirurgica.
Se vuoi ti domani posto le rewiew a cui faccio riferimento, oggi non riesco.
maxsar- -----------
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
Qui c'è un articolo che ne parla.http://www.rivistadipsichiatria.it/allegati/00175_2002_06/fulltext/284-289.pdf
Parliamo di depressione. Tcc in associazione a farmaci, per la prevenzione delle ricadute.
La mia psichiatra mi ha confermato che la Tcc viene usata anche con i malati mentali gravi, almeno nel centro dove lavora.
Parliamo di depressione. Tcc in associazione a farmaci, per la prevenzione delle ricadute.
La mia psichiatra mi ha confermato che la Tcc viene usata anche con i malati mentali gravi, almeno nel centro dove lavora.
claudio285- -------------
- Numero di messaggi : 430
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Re: Quell'estate impazzì mia figlia
Ho letto, ma se ne parla in senso adiuvante, niente in contrario, anzi se leggi i miei primi post ho scritto:"Questi trattamenti possono essere adiuvanti a quelli di tipo farmacologico, ma non possono sostiurisi a questi in nessun caso .".
New england su terapia elettronvulsiva:
Q />http://content.nejm.org/cgi/content/short/357/19/1939
Linee guida New England depressione grave: "in those with severe episodes, medication is usually recommended".
Fonte: http://content.nejm.org/cgi/content/short/342/20/1518
Linee guida New England ciclotinia: http://content.nejm.org/cgi/content/short/356/17/1771
Genetica e depressione:
http://pt.wkhealth.com/pt/re/ybpa/abstract.00062674-199800090-00021.htm
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9093253
Il New England è considerata la bibbia della medicina clinica, stasera posto le rewiew del lancet neurology.
Scusa, ma ora devo scappare se no mi linciano.
Hola
New england su terapia elettronvulsiva:
Q />http://content.nejm.org/cgi/content/short/357/19/1939
Linee guida New England depressione grave: "in those with severe episodes, medication is usually recommended".
Fonte: http://content.nejm.org/cgi/content/short/342/20/1518
Linee guida New England ciclotinia: http://content.nejm.org/cgi/content/short/356/17/1771
Genetica e depressione:
http://pt.wkhealth.com/pt/re/ybpa/abstract.00062674-199800090-00021.htm
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9093253
Il New England è considerata la bibbia della medicina clinica, stasera posto le rewiew del lancet neurology.
Scusa, ma ora devo scappare se no mi linciano.
Hola
maxsar- -----------
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