Atei Italiani
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Don Azeglio

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Messaggio Da Ospite Ven 28 Nov 2008 - 20:25

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Uno dei pochi ricordi buoni che conservo di un prete.
Tratto da un autobiografia che descrive la società in una borgata romana nei primi anni del dopoguerra (oggi fagocitata dalla città e non più identificabile). Tempi duri di quand'ero bambino, e si aspettava il Natale per poter mangiare un pezzo di pollo...
Bèh, leggetela se ne avete voglia, altrimenti tornate a qualche altro argomento: non mi offenderò!
(Chiedo scusa per qualche "trattino" rimasto a causa della diversa formattatura del testo originale).
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Feste… romane


Nella prima decade di agosto, come tutti gli altri abitanti della borgata, ricevemmo la visita di una delegazione di uomini gioviali e ciarlieri, circondati da un nugolo di allegri ragazzini che, su mandato della Parrocchia, si recavano casa per casa a sollecitare le offerte dei fedeli: occorreva raccogliere più fondi possibile per organizzare degnamente, come di consueto, l’attesa Festa dell’Assunta.
Questa era una ricorrenza che si ripeteva puntualmente sin dall’inizio della storia di quel borgo rustico ed alla quale, fin dalle origini, partecipavano tutte le famiglie dei coloni. Momento propizio per conoscersi, radunarsi, divertirsi e poter avere, almeno in quell’occasione, la possibilità di interrompere le solite pesanti occupazioni rurali.
Era anche l’occasione buona perché i giovani potessero incontrare le ragazze da vicino, i bambini potessero come sempre continuare a far monellerie ed imparare nuovi giochi, gli adulti potessero scambiarsi informazioni sui raccolti e le altre attività agricole, ed i vecchi alzare un po’ il gomito senza per questo essere criticati più di tanto.
Ma era anche e soprattutto la giusta opportunità, per il parroco, quell’aitante Don Azeglio simpatico e gaudente, per riaffermare l’autorità della chiesa sia sul territorio che sulle pecorelle smarrite che sul quel territorio tiravano a campare; era la circostanza più adeguata per sollecitare con enfasi, nei sermoni domenicali che precedevano la grande Festa, la necessità delle contribuzioni straordinarie dei pochi esercizi commerciali, dei mezzadri e dei contadini, accettando con dignità donazioni anche minime sia in moneta che in natura.
Ogni tanto i soliti maligni spettegolavano circa la donazione, rigorosamente in natura, che a loro dire un’ancor giovane e piacente vedovella accordava di frequente al sacerdote.
Per altro don Azeglio comunque non veniva mai meno alla sua missione ascoltando con serenità e comprensione assoluta le confessioni delle comari, recitando le messe con sentimento e partecipazione, tentando con discreti risultati di convincere qualche genitore un po’ restìo a mandare il figlioletto troppo piccino al catechismo o quello un po’ troppo cresciuto a far da chirichetto, almeno nelle ricorrenze speciali ed in concomitanza con la processione dell’Assunta, facendo leva soprattutto sulla buona disponibilità delle madri e delle nonne, forse ottenuta nel confessionale con un atipico «ego te absolvo» accompagnato da qualche ricattino di poca importanza.
Di tanto in tanto don Azeglio partecipava, con una vecchia doppietta a cani esterni di sua proprietà, alle partite di caccia alla spinosa organizzate da uno dei fattori del Conte in stretta collaborazione col fioraio Giuseppe, un uomo tarchiato ed un po’ gobbo che aveva le sue piccole serre, la sua dimora in mattoni e le coltivazioni nelle vicinanze della Piazza, residenza fatiscente condivisa con dignitosa riservatezza da una moglie legittima e due concubine, tutti felicemente conniventi. Altro associato fisso era il medico condotto ed il Brigadiere, tutti amici di vecchia data, da prima della guerra.
Quando la caccia dava buoni esiti, il gruppo era solito festeggiare all’osteria della sora Peppa, sempre nei pressi della Piazza, pronta a cucinare la spinosa alla cacciatora come solo lei sapeva fare ed a fornire fiumi di vino rosso e generoso. Spesso la gente di passaggio poteva cogliere, da dietro l’incannucciata che faceva da separè tra la via ed il cortile dell’osteria, risate e battute di quell’incauto prete gaudente pronunciate a voce alta tra una briscola ed un tressette.
Ma tant’è, gli abitanti della borgata non trovavano nulla da ridire, tanto più che come organizzatore di feste e processioni quel prete non temeva confronti.
E per l’appunto nella principale festa annuale, quella proprio dell’Assunta, il nostro esternava tutta la sua capacità organizzativa e il suo estro per risolvere i piccoli imprevisti.
Fatto sta che già dai primi di agosto si vedeva giungere una chiassosa carovana di giostrai e saltimbanchi. Si accampavano coi loro camion e carretti sgangherati, ma sempre dipinti a colori vivacissimi e scritte gigantesche, ai margini della Via Cornelia, lungo il tratto pianeggiante prospiciente i padiglioni di legno della scuola, oltre l’intersezione della via con l’omonima Piazza.
Subito dopo una schiera di giovanotti dalla pelle olivastra cominciava a montare le attrezzature, sempre uguali negli anni, alacremente, cosicché già verso sera la giostra a calci-in-culo, principale attrazione di quei giramondo, entrava in funzione attraendo folte schiere di villici ragazzetti. Molti facevano addirittura la fila per accaparrarsi un posto sui seggiolini incatenati e pendenti da quella specie di colossale fungo variopinto.
Tutti prendevano accordi con gli amici per ricevere un’adeguata spinta –una grande pedata al seggiolino su cui sedevano- onde poter agguantare al volo uno sfilacciato straccio rosso, unto e bisunto, appeso ad una cordicella regolabile in altezza, a lato della giostra. Chi, un po’ per la forte spinta ricevuta ed un po’ per la sua capacità di sporgersi, fosse riuscito ad agguantare al volo lo “stendardo” rosso, avrebbe avuto diritto ad effettuare un giro gratuitamente. Ovviamente scoppiavano grosse liti fra gli accoliti su chi avesse maturato quel diritto, sull’entità della spinta o sull’imperfetta sincronìa del calcio-in-culo ricevuto.
In un lato della Piazza Cornelia don Azeglio faceva poi allestire un palco di legno pieno di luci sfolgoranti, completo di microfono, trombe acustiche di potenza ed amplificatore gracchiante, dal quale si esibivano gli eroi locali, non sempre intonatissimi, nella gara canora detta l’Ora del Dilettante, o i partecipanti affamatissimi alla Gara della Pastasciutta (un tale Ciaccio giurava di digiunare ogni volta per tre giorni consecutivi, per poter vincere la disfida), ed i conduttori della Pesca di Beneficenza.
La Gara della Pastasciutta era forse la più divertente, perché ai partecipanti venivano legate le mani dietro la schiena, per impedire che potessero ingozzarsi aiutandosi con quelle, mentre i piatti –titanici!- di pastasciutta piccantissima venivano pubblicamente pesati e serviti caldi caldi trasportandoli di corsa dalla stessa vicina osteria dove don Azeglio festeggiava coi suoi amici le fortunate cacce al porcospino.
Al via i partecipanti si tuffavano letteralmente con la testa nella pastasciutta, nasi ed orecchie comprese, in un mare di spruzzi di sugo, incitazioni e versi osceni: vinceva naturalmente chi riusciva a ripulire il suo piatto nel minor tempo possibile. L’eroe veniva poi naturalmente portato in trionfo dai suoi sostenitori ed accompagnato all’osteria per potersi adeguatamente dissetare.
Verso sera la gente affluiva sempre più numerosa nella Piazza Cornelia. Famiglie al completo, tutte vestite a festa, s’incontravano sull’ampia area su cui anche Santa Maria Janua Coeli si affacciava.
Sul sagrato della chiesa, quel furbone di don Azeglio aveva esposto, su mensole di fortuna, tutti gli oggetti ricevuti in dono dalla comunità ed esposti in bella vista per la lotteria, la Pesca di Beneficenza, posizionati sui ripiani a seconda del loro valore e numerati con ritagli di cartoncino giallo. I biglietti per l’estrazione, con tanto di timbro della parrocchia a garanzia dell’autenticità, venivano poi venduti tra la gente che si accalcava ai piedi del palco o sotto il palo della cuccagna, direttamente dagli aiutanti-organizzatori della parrocchia. L’estrazione avveniva tassativamente alle ventitré in punto del quindici agosto chiamando un bambino del pubblico: il piccolo volontario veniva bendato ed estraeva i numeri pescandoli da un’ampia insalatiera di coccio fornita dalla solita osteria.
Nei giorni che precedevano, comunque, i ragazzini si rincorrevano tra la folla tirandosi dietro sferette di stoffa grandi come palle da tennis, riempite di segatura compressa e legate ad un elastico per il… recupero immediato. Altri si appostavano dietro il portico della chiesa o s’intrufolavano tra gli adulti spruzzando schizzi d’acqua sparati con pistole di celluloide colorate. “Colpisci e fuggi”, questo era il motto, e non importava se, a farne le spese, ci andava di mezzo anche qualche ragazza.
Nell’Ora del Dilettante l’orchestra prendeva posto sul fondo del palco ed apriva le ostilità suonando un paio di brani fra quelli più in voga.
All’imbrunire si susseguivano i “cantanti”, sempre annunciati con grande enfasi dall’estemporaneo presentatore di turno. Al microfono uomini e donne di ogni età, dai dieci anni ai settanta, tutti in ghingheri e tutti convintissimi di avere una voce splendida, degna del Teatro alla Scala o della Rai. La famosa orchestra del Dopolavoro del Trionfale, convocata ogni anno per tentare di accompagnare i sedicenti incompresi cantanti e vincitrice di importanti concorsi musicali del circondario, era invariabilmente formata da due fisarmoniche, una chitarra ed un clarinetto un po’ svociato, oltre ad un voluminoso tamburo che marcava il tempo per conto proprio.
Altro… pilastro della serie di manifestazioni era L’albero della Cuccagna, che vedeva regolarmente impegnati i giovani più robusti del luogo. Erano sempre gli stessi, e si sarebbero ripresentati tutti gli anni a venire nel difficile tentativo di agguantare, dopo ricadute a volte paurose dal palo altissimo ricoperto di grasso di incerta origine, quei pochi salumi appesi lassù a mo’ di frutti penzolanti dai rami. Naturalmente i primi volonterosi arrampicatori servivano unicamente da staffetta, a ripulire cioè un po’ di quel grasso così generosamente distribuito sulla superficie dell’albero. Gli ultimi a tentare la scalata erano naturalmente i più probabili vincitori del prosciutto -mai più d’uno per anno- e dei quattro o cinque salami messi a concorso dalla sora Letizia, la pizzicarola.
La Rottura della Pignatta era un altro polo di attrazione della manifestazione.
Anch’essa si svolgeva, manco a dirlo, con i soliti quattro o cinque atletici energumeni, bendati, cui si forniva un consistente randello di legno duro ricavato il più delle volte da un vecchio manico di piccone: con tale arnese costoro avrebbero dovuto tentare di frantumare quei capienti cocci.
Le pignatte da localizzare e spaccare a bastonate venivano appese ad una robusta corda tesa tra un gancio posto in alto, sopra la porta d’accesso del negozietto del carbonaro, il buon Giannetto, ed il dirimpettaio palo della luce, di castagno antico, dal quale pendeva una delle poche lampadine d’illuminazione della Piazza, protetta da una specie di padella di latta rovesciata e smaltata di bianco.
Il temerario concorrente, con una fascia di stoffa nera stretta sugli occhi, veniva guidato sotto la corda. Uno degli organizzatori lo spingeva un po’ facendogli fare qualche giro su se stesso per fargli perdere l’orientamento, ed a quel punto il malcapitato poteva tentare di sferrare un paio di bastonate in direzione dell’ipotetica pignatta. Spesso il fendente andava a vuoto e qualcuno rischiava, di tanto in tanto, di prendere una terribile randellata in testa.
Naturalmente solo uno di quei contenitori racchiudeva qualche soldo: tutti gli altri erano ricolmi di farina, segatura o, ancora, acqua fresca di fontanella. Il bello è che quando finalmente il concorrente individuava quello giusto e riusciva a frantumarlo, tutte le monetine metalliche, da quelle da VNA a quelle, più importanti, da due, cinque e dieci lire, schizzavano via sparpagliandosi in ogni dove, subito inseguite da una masnada di ragazzini pronti ad accapigliarsi per avere l’opportunità di raccattarne qualcuna. Il “fortunato” bastonatore cercava, ovviamente, di raccogliere subito le banconote di carta più grandi, di più alto valore, trascurando per forza di cose gli spiccioli che così, immancabilmente, si eclissavano diventando appannaggio dei monelli.
La notte calda scendeva sugli euforici abitanti del borgo, ed il palco irradiava ancora luci e musiche per ballare. Finché a mezzanotte in punto, se la questua aveva dato buoni risultati, le luci fantasmagoriche di qualche fuoco d’artificio annunziavano con solennità l’ora del rientro.
Ci si avviava così mestamente lungo la strada buia, verso casa, con negli orecchi ancora l’eco di quei “botti” e negli occhi il riverbero di quella polvere di comete.
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Bèh, se vi è piaciuto il brano, bene, altrimenti scusatemi per avervi fatto perdere un po' di tempo.
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Messaggio Da Libero Ven 28 Nov 2008 - 23:45

Non so se lo hai gia fatto, ma, hai mai pensato di scrivere un libro ? Non sto esagerando, rendi ogni momento del tuo racconto. visibile all' immaginazione con le tue descrizioni ok

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Messaggio Da Ospite Sab 29 Nov 2008 - 11:49

Libero ha scritto:Non so se lo hai gia fatto, ma, hai mai pensato di scrivere un libro ? Non sto esagerando, rendi ogni momento del tuo racconto. visibile all' immaginazione con le tue descrizioni ok
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Sì, caro Libero: ho già pubblicato qualcosa.
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Messaggio Da Libero Sab 29 Nov 2008 - 11:59

pischello ha scritto:
Libero ha scritto:Non so se lo hai gia fatto, ma, hai mai pensato di scrivere un libro ? Non sto esagerando, rendi ogni momento del tuo racconto. visibile all' immaginazione con le tue descrizioni ok
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Sì, caro Libero: ho già pubblicato qualcosa.
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In ogni caso, il racconto mi è piaciuto, sono sempre stato attratto da "quei tempi". Scusami ma non so come altro dirlo. Metti in luce una società diversa da quella che conosco. La curiosità mi spingerebbe a chiedertene altri.

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Messaggio Da Ospite Sab 29 Nov 2008 - 12:17

Libero ha scritto:
pischello ha scritto:
Libero ha scritto:Non so se lo hai gia fatto, ma, hai mai pensato di scrivere un libro ? Non sto esagerando, rendi ogni momento del tuo racconto. visibile all' immaginazione con le tue descrizioni ok
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Sì, caro Libero: ho già pubblicato qualcosa.
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In ogni caso, il racconto mi è piaciuto, sono sempre stato attratto da "quei tempi". Scusami ma non so come altro dirlo. Metti in luce una società diversa da quella che conosco. La curiosità mi spingerebbe a chiedertene altri.
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Grazie. Non vorrei essere troppo invadente (in fondo questo è un forum sull'ateismo, azzz!!!).
Vedrò di pubblicare qualche altra cosa On Line in futuro.
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Messaggio Da *Valerio* Sab 29 Nov 2008 - 15:03

pischello ha scritto:
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Bèh, se vi è piaciuto il brano, bene, altrimenti scusatemi per avervi fatto perdere un po' di tempo.

Sincerissimi complimenti!

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