armi esercito aviazione marina
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Rasputin
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silvio
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armi esercito aviazione marina
Apro il topic per gli appassionati di argomenti bellicosi, avanti ragazzi.
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Re: armi esercito aviazione marina
Stavo leggendo il resoconto di una spedizione di Garibaldini in Grecia nella guerra di indipendenza contro i Turchi, dove abbiamo perso anche due deputati volontari del Regno D'Italia.
Casa Savoia fece di tutto per fermare i volontari.
Casa Savoia fece di tutto per fermare i volontari.
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Re: armi esercito aviazione marina
Ah, i Savoia non amavano troppo Garibaldi: massone, anticlericale... troppo bravo per loro, mettici qualcosa che ho dimenticato e hai un bel quadretto.silvio ha scritto:Stavo leggendo il resoconto di una spedizione di Garibaldini in Grecia nella guerra di indipendenza contro i Turchi, dove abbiamo perso anche due deputati volontari del Regno D'Italia.
Casa Savoia fece di tutto per fermare i volontari.
Al famigerato "incontro di Teano" (che avvenne in realtà a Caianello), altrochè saluti: erano tutti e due furibondi.
Il Savoia perchè si rendeva conto che 1089 persone avevano fatto quello che il suo esercito non aveva avuto il coraggio di fare (e la Storia lo ricorda), Garibaldi perchè sapeva che il Savoia era sceso per impedirgli di marciare su Roma.
Uno dei tanti motivi per cui io sono uno di quelli che avrebbero preferito il ritorno dei capelli di Bisio a quello dei Savoia...
Al di là che io di monarchie ne riconosco UNA SOLA: anche se era... duplice!
Sì, fossi vissuto 150 anni fa, sarei stato "dall'altra parte".
Un omaggio all'ultimo (no, io lì non c'ero, ma sono passato a metterci i fiori alla Kaisergruft).
Quando ci fu la pagliacciata dell'assalto al campanile di San Marco, mi era scappata che allora mi sentivo legittimato ad alzare su "Palazzo Cheba" (il municipio di Trieste) la bandiera con l'Aquila Bicipite. E diversi, fra cui un professore universitario, hanno detto "con l'Aquila Bicipite vengo anch'io". E non abbiamo riso...
Quella monarchia non sarà stata una grande potenza militare però... Una vignetta venuta fuori all'avvento dell'Euro: Francesco Giuseppe che pensa "Una moneta unica per l'Europa? Quando c'ero io già esisteva e si chiamava Corona".
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Re: armi esercito aviazione marina
Vogliamo vedere "Quelli buoni"?
Ecco il già altrove citato 2e REP, i parà della Legione Straniera francese, probabilmente l'élite dell'élite della Armée de Terre.
Il link diretto, dato che il video dura circa un'ora: https://www.youtube.com/watch?v=ryLAeuyqZ1I
E " allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"quelli cattivi"! Specnaz! Solo il nome faceva cagare sotto diversi reparti occidentali.
Il link diretto (il video dura circa mezz'ora): https://www.youtube.com/watch?v=VdKf0ume_kU
Ecco il già altrove citato 2e REP, i parà della Legione Straniera francese, probabilmente l'élite dell'élite della Armée de Terre.
Il link diretto, dato che il video dura circa un'ora: https://www.youtube.com/watch?v=ryLAeuyqZ1I
E " allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"quelli cattivi"! Specnaz! Solo il nome faceva cagare sotto diversi reparti occidentali.
Il link diretto (il video dura circa mezz'ora): https://www.youtube.com/watch?v=VdKf0ume_kU
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Re: armi esercito aviazione marina
The Pilot ha scritto:
E "quelli cattivi"! Specnaz! Solo il nome faceva cagare sotto diversi reparti occidentali.
Il link diretto (il video dura circa mezz'ora): https://www.youtube.com/watch?v=VdKf0ume_kU
Ma si esercitano con munizioni vere?
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Re: armi esercito aviazione marina
Pare proprio di sì!Rasputin ha scritto:The Pilot ha scritto:
E "quelli cattivi"! Specnaz! Solo il nome faceva cagare sotto diversi reparti occidentali.
Ma si esercitano con munizioni vere?
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Re: armi esercito aviazione marina
Addestrarsi con munizioni vere non è così insolito.
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Re: armi esercito aviazione marina
Comunque questo era un reparto interessante, veri soldati.
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Re: armi esercito aviazione marina
Continuo con questi:
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Re: armi esercito aviazione marina
Se l'armata rossa nel suo complesso è l'esercito di terra più potente a partire dal 1943/45 lo si deve anche al fatto che hanno prima fermato e poi sconfitto questi (anche grazie al fattore numerico che vedeva sfavoriti come sempre i tedeschi), all'interno di Wehrmacht e Luftwaffe:
- Fallschirmjaeger - Kurt Student - Luftwaffe
https://www.youtube.com/watch?v=NFhI-3ZZBgk
https://www.youtube.com/watch?v=b4Fdt_QrVnw
per coloro che non li conoscono consiglio di documentarsi sulla battaglia di Monte Cassino o ricercare testimonianze dei militari alleati che li hanno attaccati per mesi...
https://www.youtube.com/watch?v=VYucnYaZiCQ
- Waffen SS
https://www.youtube.com/watch?v=RgYj8g6LOoI
Domanda di verifica, un Tenente Colonello USA nella prima guerra del golfo aveva all'interno del suo carro M1 Abrams una foto di un noto ufficiale della seconda guerra mondiale secondo voi era:
a) George Patton - USA
b) Douglas MacArthur .- USA
c) Bernard Montgomery - UK
d) Erwin Rommel - Deutschland
Poi è sempre bene ricordarsi anche di questa categoria di soldati e confrontarli con quanto fatto dagli Italiani (Savoia - Badoglio) nel 1943
https://www.youtube.com/watch?v=4iGqNcxVqj8
- Fallschirmjaeger - Kurt Student - Luftwaffe
https://www.youtube.com/watch?v=NFhI-3ZZBgk
https://www.youtube.com/watch?v=b4Fdt_QrVnw
per coloro che non li conoscono consiglio di documentarsi sulla battaglia di Monte Cassino o ricercare testimonianze dei militari alleati che li hanno attaccati per mesi...
https://www.youtube.com/watch?v=VYucnYaZiCQ
- Waffen SS
https://www.youtube.com/watch?v=RgYj8g6LOoI
Domanda di verifica, un Tenente Colonello USA nella prima guerra del golfo aveva all'interno del suo carro M1 Abrams una foto di un noto ufficiale della seconda guerra mondiale secondo voi era:
a) George Patton - USA
b) Douglas MacArthur .- USA
c) Bernard Montgomery - UK
d) Erwin Rommel - Deutschland
Poi è sempre bene ricordarsi anche di questa categoria di soldati e confrontarli con quanto fatto dagli Italiani (Savoia - Badoglio) nel 1943
https://www.youtube.com/watch?v=4iGqNcxVqj8
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Re: armi esercito aviazione marina
I soldati tedeschi hanno combattuto con grande determinazione e coraggio, forse sono in soldati migliori del mondo, sicuramente i russi hanno vinto con un sacrificio immane di vite.
La Germania non aveva possibilità, la disparità numerica ed economica era troppo sfavorevole, nei diari di Speer è descritto il verdetto degli industriali tedeschi nell'imminenza del conflitto, la Germania perderà la guerra in tre anni, Speer dice siamo durati 5 anni, due di più.
Cassino è stata una battaglia incredibile, i paracadutisti tedeschi hanno fatto la storia.
La Germania non aveva possibilità, la disparità numerica ed economica era troppo sfavorevole, nei diari di Speer è descritto il verdetto degli industriali tedeschi nell'imminenza del conflitto, la Germania perderà la guerra in tre anni, Speer dice siamo durati 5 anni, due di più.
Cassino è stata una battaglia incredibile, i paracadutisti tedeschi hanno fatto la storia.
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Re: armi esercito aviazione marina
Rasputin ha scritto:
Poi è sempre bene ricordarsi anche di questa categoria di soldati e confrontarli con quanto fatto dagli Italiani (Savoia - Badoglio) nel 1943
Anche i nostri hanno combattuto bene in molte circostanze, certo i politici del tempo non hanno brillato in responsabilità e coerenza, il nostro esercito non era tecnicamente all'altezza della situazione, l'entrata in guerra è stato un errore fatale di Mussolini che ha pagato con la vita e la distruzione del suo movimento politico.
Il Re ha fatto una una mossa saggia da un lato, perché ha evitato la completa devastazione del paese, ma doveva solo arrendersi, avvertire lealmente e non fare la guerra alla Germania.
http://it.wikipedia.org/wiki/185%C2%AA_Divisione_paracadutisti_%22Folgore%22
http://www.brigatafolgore.com/battaglia-el-alamein.html
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Re: armi esercito aviazione marina
Ancora un passo sulla Legione Straniera: 1er REC.
Il mio conoscente ha militato in questo. Durante la guerra in Kuwait (1991) era pilota di uno dei blindati che si vedono all'inizio di questo video:
Questo il canto del reggimento in questione:
Come si preparano oggi i militi del detto reggimento:
Il mio conoscente ha militato in questo. Durante la guerra in Kuwait (1991) era pilota di uno dei blindati che si vedono all'inizio di questo video:
Questo il canto del reggimento in questione:
Come si preparano oggi i militi del detto reggimento:
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Re: armi esercito aviazione marina
Avevo altrove accennato che conosco anche un ex milite della legione straniera spagnola, che per un breve tempo aveva accarezzato l'idea di passare all'altra legione straniera quando è stato congedato perchè non voleva naturalizzarsi spagnolo all'eliminazione della caratteristica di "straniera" di questa (lui se n'era andato nel settembre 1985).
Lui era proprio in questo Tercio, il IV.
Il link diretto vista la lunghezza del servizio: https://www.youtube.com/watch?v=1TcJpNxygs4
Esperienze di combattimento: zero.
Buffonate da tradizione moltissime, tipo il battesimo del sangue (sgozzavano una capra o non ricordo che altra bestia e li aspergevano con il sangue della stessa a mo' di benedizione). La cerimonia col crocione del Cristo della buona morte gliel'hanno risparmiata, almeno!
Lui era proprio in questo Tercio, il IV.
Il link diretto vista la lunghezza del servizio: https://www.youtube.com/watch?v=1TcJpNxygs4
Esperienze di combattimento: zero.
Buffonate da tradizione moltissime, tipo il battesimo del sangue (sgozzavano una capra o non ricordo che altra bestia e li aspergevano con il sangue della stessa a mo' di benedizione). La cerimonia col crocione del Cristo della buona morte gliel'hanno risparmiata, almeno!
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Re: armi esercito aviazione marina
E non sono sempre stati male equipaggiati. Nella prima guerra mondiale erano equipaggiati assai meglio che nella seconda (e non solo in rapporto a questa). Aveva fatto notizia che dopo lo scioglimento di una lingua di ghiacciaio non ricordo dove era saltata fuori una cassa di scarponi intatta e una volta asciutti, dopo poco meno di un secolo, parevano appena confezionati. Fate il confronto con le scarpe di tela dell'ARMIR...silvio ha scritto:
Anche i nostri hanno combattuto bene in molte circostanze
Va bene che nella prima guerra combattevano "in casa" o poco lontano, ma si erano attrezzate alcune aree (Pasubio, Altissimo) con speciali acquedotti ad alta pressione e relative stazioni di sollevamento per garantire acqua costante alle truppe. Nella '15-18...
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Re: armi esercito aviazione marina
Mio nonno mi raccontava della Prima Guerra Mondiale, sulle Alpi sono stati fatte molte opere notevoli ed è stato fatto un grande sforzo, magari costringendo i soldati con le brutte (non si scherzava).
Mi ha lasciato delle belle fotografie.
Personalmente ritengo che in Italia ci siano dei buoni soldati tutto sommato, siamo intelligenti, capaci, anche coraggiosi, il problema secondo me è la cultura delle classi dominanti e la burocrazia civile e militare.
Mi ha lasciato delle belle fotografie.
Personalmente ritengo che in Italia ci siano dei buoni soldati tutto sommato, siamo intelligenti, capaci, anche coraggiosi, il problema secondo me è la cultura delle classi dominanti e la burocrazia civile e militare.
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Re: armi esercito aviazione marina
Un cenno alla nostra Brigata Folgore
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Re: armi esercito aviazione marina
Quelli di oggi
si vede pure il tiro di un panzerfaust
si vede pure il tiro di un panzerfaust
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Re: armi esercito aviazione marina
Il sito sull'acquedotto militare del Pasubio (era generalmente sui fatti d'arme nell'area, ma aveva un capitolo sull'acquedotto) è stato chiuso, ma è fortunatamente stato "archiviato":
http://web.archive.org/web/20080215020410/http://www.grandeguerrasulpasubio.net/acquedotti/acquedotti.htm
La homepage archiviata:
http://web.archive.org/web/20071002210532/http://www.grandeguerrasulpasubio.net/mappa.htm
Anche il sito sull'acquedotto del Monte Altissimo non c'è più.
Altra chicca sulla maggior preparazione del Regio Esercito nella prima guerra mondiale rispetto alla seconda.
Erano state perfino costruite delle "filovie militari", non pochi le confondono con le teleferiche perchè allora il termine indicava ambo i mezzi, ma lì si trattava di vere e proprie filovie intese come sistema di trasporto elettrico con mezzi gommati alimentati da linea di contatto esterna. La particolarità era che non c'erano le due aste dei filobus (o dei filocarri dello Stelvio) come li conosciamo oggi ma una sola asta che terminava con un carrellino a due coppie di ruote affiancate, così che i fili fossero molto vicini. Talora i veicoli erano chiamati "elettromobili" (fonte: AAVV Giro d'Italia in filobus)
Perchè farle? Perchè allora era più semplice sfruttare i corsi d'acqua per produrre corrente (quei mezzi non erano particolarmente potenti) che portare fin lassù la benzina per automezzi con motore endotermico. Inoltre allora un mezzo elettrico era più facilmente guidabile (pensate ai cambi di allora e ricordate che un mezzo elettrico non ce l'ha) di uno endotermico, così da riservare questi dove servissero davvero.
http://web.archive.org/web/20080215020410/http://www.grandeguerrasulpasubio.net/acquedotti/acquedotti.htm
La homepage archiviata:
http://web.archive.org/web/20071002210532/http://www.grandeguerrasulpasubio.net/mappa.htm
Anche il sito sull'acquedotto del Monte Altissimo non c'è più.
Altra chicca sulla maggior preparazione del Regio Esercito nella prima guerra mondiale rispetto alla seconda.
Erano state perfino costruite delle "filovie militari", non pochi le confondono con le teleferiche perchè allora il termine indicava ambo i mezzi, ma lì si trattava di vere e proprie filovie intese come sistema di trasporto elettrico con mezzi gommati alimentati da linea di contatto esterna. La particolarità era che non c'erano le due aste dei filobus (o dei filocarri dello Stelvio) come li conosciamo oggi ma una sola asta che terminava con un carrellino a due coppie di ruote affiancate, così che i fili fossero molto vicini. Talora i veicoli erano chiamati "elettromobili" (fonte: AAVV Giro d'Italia in filobus)
Perchè farle? Perchè allora era più semplice sfruttare i corsi d'acqua per produrre corrente (quei mezzi non erano particolarmente potenti) che portare fin lassù la benzina per automezzi con motore endotermico. Inoltre allora un mezzo elettrico era più facilmente guidabile (pensate ai cambi di allora e ricordate che un mezzo elettrico non ce l'ha) di uno endotermico, così da riservare questi dove servissero davvero.
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Re: armi esercito aviazione marina
Non sapevo queste cose, molto interessanti.
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Re: armi esercito aviazione marina
Mio nonno (quello bulgaro) era stato un soldato di frontiera mentre, per un breve periodo nella seconda guerra mondiale, sia gli italiani, che i bulgari, erano insieme.
Per qualche motivo, in Bulgaria c'è questa credenza che gli italiani mangino le rane. Quindi, quando gli ufficiali bulgari invitarono gli ufficiali italiani per una cena "di lavoro", decisero di cucinargli coscette di rana fritte. Fortunatamente, vicino a dove era stazionato mio nonno, c'era un bel laghettone - e quindi vai mezzo battaglione a cacciare rane in mezzo alla notte e al fango, siccome la cena doveva essere una sorpresa.
Una volta catturate quasi tutte le rane dello stagnone (mi diceva almeno 200-300) e appropriatamente impanate e cucinate, invitarono gli ufficiali italiani, che ovviamente pensarono che erano deliziose coscette di pollo.
Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che erano rane!
Per qualche motivo, in Bulgaria c'è questa credenza che gli italiani mangino le rane. Quindi, quando gli ufficiali bulgari invitarono gli ufficiali italiani per una cena "di lavoro", decisero di cucinargli coscette di rana fritte. Fortunatamente, vicino a dove era stazionato mio nonno, c'era un bel laghettone - e quindi vai mezzo battaglione a cacciare rane in mezzo alla notte e al fango, siccome la cena doveva essere una sorpresa.
Una volta catturate quasi tutte le rane dello stagnone (mi diceva almeno 200-300) e appropriatamente impanate e cucinate, invitarono gli ufficiali italiani, che ovviamente pensarono che erano deliziose coscette di pollo.
Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che erano rane!
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Re: armi esercito aviazione marina
The Pilot ha scritto:
Ah, i Savoia non amavano troppo Garibaldi: massone, anticlericale... troppo bravo per loro, mettici qualcosa che ho dimenticato e hai un bel quadretto.
Al famigerato "incontro di Teano" (che avvenne in realtà a Caianello), altrochè saluti: erano tutti e due furibondi.
Il Savoia perchè si rendeva conto che 1089 persone avevano fatto quello che il suo esercito non aveva avuto il coraggio di fare (e la Storia lo ricorda), Garibaldi perchè sapeva che il Savoia era sceso per impedirgli di marciare su Roma.
Uno dei tanti motivi per cui io sono uno di quelli che avrebbero preferito il ritorno dei capelli di Bisio a quello dei Savoia...
-I Savoia amavano Garibaldi.
-I Savoia hanno usato la pedina Garibaldi per fare quanto pubblicamente agli occhi della Francia e a seguito degli accordi di Plombiere non avrebbero potuto fare.
-I Savoia dovettero fermare Garibaldi 1 per dimostrare a Napoleone III la loro estraneità a propositi di annessione del sud Italia alla casa Savoia. 2 Per fermare la popolarità di Garibaldi. L'unità doveva farsi sotto i Savoia. Garibaldi, a nò di sfottò disse al re : ora la strada per Roma sarà una passeggiata: come dire, ho fatto tutto io.
- I Savoia furono i più aniclericali della storia... che Garibaldi fosse massone come buona parte dei protagonisti del Risorgimento Italiano, ai Savoia non poteva che far piacere.
- Roma era difesa dai Francesi. I Savoia avevano bisogno dei Francesi.
- quando i Francesi subirono nel '70 sconfitta dai Prussiani a Sedan, i bersaglieri approfittarono per entrare a Roma...ma in nome del "liberatore" Re ittorio Emanuele.
jillo- -----------
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Re: armi esercito aviazione marina
Rasputin ha scritto:Se l'armata rossa nel suo complesso è l'esercito di terra più potente a partire dal 1943/45 lo si deve anche al fatto che hanno prima fermato e poi sconfitto questi (anche grazie al fattore numerico che vedeva sfavoriti come sempre i tedeschi), all'interno di Wehrmacht e Luftwaffe:
- Fallschirmjaeger - Kurt Student - Luftwaffe
https://www.youtube.com/watch?v=NFhI-3ZZBgk
https://www.youtube.com/watch?v=b4Fdt_QrVnw
per coloro che non li conoscono consiglio di documentarsi sulla battaglia di Monte Cassino o ricercare testimonianze dei militari alleati che li hanno attaccati per mesi...
https://www.youtube.com/watch?v=VYucnYaZiCQ
- Waffen SS
https://www.youtube.com/watch?v=RgYj8g6LOoI
Domanda di verifica, un Tenente Colonello USA nella prima guerra del golfo aveva all'interno del suo carro M1 Abrams una foto di un noto ufficiale della seconda guerra mondiale secondo voi era:
a) George Patton - USA
b) Douglas MacArthur .- USA
c) Bernard Montgomery - UK
d) Erwin Rommel - Deutschland
Poi è sempre bene ricordarsi anche di questa categoria di soldati e confrontarli con quanto fatto dagli Italiani (Savoia - Badoglio) nel 1943
https://www.youtube.com/watch?v=4iGqNcxVqj8
la wehrmacht non poteva utilizzare la vincente tattica del blitzkrieg su un fronte tanto ampio quanto quello Russo. Le truppe subirono i pesanti effetti del logoramento.
Gli spsostamenti sul lungo fronte erano penalizzati dalla scarsità di carburante... stesso motivo che causò la rotta dell'afrika korps.
A proposito del valore degli italiani Rommel ebbe a dire che nemmeno i suoi (tedeschi) avrebbero ardito a giudare quelle bare volanti (gli sgangeri aerei italiani privi di radar). I soldati italiani erano sapevano dimostrare di essere si pari valore dei migliori tedeschi. Ma gli ufficiali (sempre a detta di Rommel) erano delle merde.
jillo- -----------
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Re: armi esercito aviazione marina
Ci si dimentica un po' spesso "dell'altra parte".
Un filmato propagandistico dell'armata (ancora) rossa...
https://www.youtube.com/watch?NR=1&v=jm2UvE1aLh8
Tra l'altro si vedono anche gli Yak-36, con lo Harrier i soli VTOL ad essere divenuti operativi.
Certo che potevano farci cagar sangue, se si fossero messi d'impegno.
Gira una strana storia, alimentata da scrittori per lo più americani, secondo la quale i sovietici (e i russi oggi) tenessero in mare i sottomarini lanciamissili solo due settimane, contro i due mesi degli americani, per sfiducia negli equipaggi. No, il motivo era molto più tecnico: i loro missili erano, e in gran parte sono ancora, a propellenti liquidi. Più di due settimane, considerati poi i tempi tecnici di verifica prima e dopo la crociera, non potevano stare caricati.
Infatti per armare un R-29 Sineva (il nome è russo, significa circa "il colore blu"), ancora il missile SLBM di punta russo, occorre:
1) caricare i propellenti nei due o tre stadi
2) mettere i missili nei pozzi di lancio
3) a fine crociera estrarli e vuotarli
4) bonificare i serbatoi
5) verificare i motori
6) solo allora si potevano ricaricare e ricollocare a bordo (ritornare a 1 e 2)...
Quei missili usano propellenti "ipergolici" (combustibile e comburente si accendono da sè appena entrano in contatto), che sono tossici, corrosivi e ovviamente infiammabile uno (UDMH), capace di innescare combustioni spontanee l'altro (tetrossido di diazoto o ipoazotide che dir si voglia).
Un filmato propagandistico dell'armata (ancora) rossa...
https://www.youtube.com/watch?NR=1&v=jm2UvE1aLh8
Tra l'altro si vedono anche gli Yak-36, con lo Harrier i soli VTOL ad essere divenuti operativi.
Certo che potevano farci cagar sangue, se si fossero messi d'impegno.
Gira una strana storia, alimentata da scrittori per lo più americani, secondo la quale i sovietici (e i russi oggi) tenessero in mare i sottomarini lanciamissili solo due settimane, contro i due mesi degli americani, per sfiducia negli equipaggi. No, il motivo era molto più tecnico: i loro missili erano, e in gran parte sono ancora, a propellenti liquidi. Più di due settimane, considerati poi i tempi tecnici di verifica prima e dopo la crociera, non potevano stare caricati.
Infatti per armare un R-29 Sineva (il nome è russo, significa circa "il colore blu"), ancora il missile SLBM di punta russo, occorre:
1) caricare i propellenti nei due o tre stadi
2) mettere i missili nei pozzi di lancio
3) a fine crociera estrarli e vuotarli
4) bonificare i serbatoi
5) verificare i motori
6) solo allora si potevano ricaricare e ricollocare a bordo (ritornare a 1 e 2)...
Quei missili usano propellenti "ipergolici" (combustibile e comburente si accendono da sè appena entrano in contatto), che sono tossici, corrosivi e ovviamente infiammabile uno (UDMH), capace di innescare combustioni spontanee l'altro (tetrossido di diazoto o ipoazotide che dir si voglia).
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Re: armi esercito aviazione marina
PaperJack ha scritto:Mio nonno (quello bulgaro) era stato un soldato di frontiera mentre, per un breve periodo nella seconda guerra mondiale, sia gli italiani, che i bulgari, erano insieme.
Per qualche motivo, in Bulgaria c'è questa credenza che gli italiani mangino le rane. Quindi, quando gli ufficiali bulgari invitarono gli ufficiali italiani per una cena "di lavoro", decisero di cucinargli coscette di rana fritte. Fortunatamente, vicino a dove era stazionato mio nonno, c'era un bel laghettone - e quindi vai mezzo battaglione a cacciare rane in mezzo alla notte e al fango, siccome la cena doveva essere una sorpresa.
Una volta catturate quasi tutte le rane dello stagnone (mi diceva almeno 200-300) e appropriatamente impanate e cucinate, invitarono gli ufficiali italiani, che ovviamente pensarono che erano deliziose coscette di pollo.
Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che erano rane!
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Governo ladro, piove! (C. Teja, 1861)
The Pilot- -----------
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SCALA DI DAWKINS :
Data d'iscrizione : 17.07.12
Re: armi esercito aviazione marina
Solo per appassionati...
Francesi vs Borboni... anzi Lazzari
- Spoiler:
I LAZZARI E LA DIFESA DELLA NAPOLETANITÀ
Le tre giornate di Napoli del 1799
Agli inizi del mese di gennaio del 1799, l'armata francese agli ordini di Championnet, straordinario personaggio che alle brillanti doti di generale unisce quelle di abile politico, si ritrova, senza colpo ferire, libera la strada per piombare su Napoli, grazie all'improvvida ritirata, dal munitissimo campo trincerato di Capua, delle truppe avversarie guidate dal generale Mack, il quale, peraltro, nell'operazione di sganciamento, perde oltre la metà dei suoi uomini. Praticamente una disfatta senza combattere.
La notizia rapida si sparge per la capitale indifesa, e se prima era soltanto sussurrato, ora si parla apertamente di tradimento.
Di ciò ne è fermamente convinta quella parte del popolo napoletano più fiera e combattiva, che è rappresentata dai lazzari. La devozione di quest'ultimi ai Borbone è eguagliata soltanto da un'altrettanta smisurata devozione per Napoli. Saranno loro l'estrema difesa della città.
La trama del tradimento è stata vasta e con diverse fasi nel tempo, per cui i lazzari ricordano al popolo le proteste del loro amato re Ferdinando, che alle interessate insistenze delle camarille di Corte, che gli consigliavano, per la sua sicurezza, l'immediata partenza per la Sicilia, opponeva la certezza che nessuna guarnigione potesse garantirgli la salvezza meglio dei suoi fedelissimi lazzari, ed indicava la colonna di 1200 armati guidati dal capo-lazzaro De Simone, che aveva scelto per vessillo la bianca bandiera dei Borbone, contrassegnata dal cristianissimo segno della croce. Un'insegna del tutto simile alzerà qualche tempo dopo l'armata sanfedista del cardinal Ruffo.
Purtroppo alla fine gli intrighi dei cortigiani l'avevano spuntato sulla volontà del monarca, che il 21 dicembre 1798 aveva firmato un proclama con il quale informava il suo amatissimo popolo che si recava a Palermo a
preparare la riscossa.
Altri luttuosi eventi confermano poi, a detta dei lazzari, la trama del tradimento, il 28 dicembre una parte della flotta napolitana, all'ancora nella cala di Mergellina, era stata dolosamente incendiata. Il successivo 8
gennaio 1799 spetterà alla rimanente parte della flotta alla fonda nel porto. Bruciano come torce gli splendidi vascelli orgoglio della marineria napoletana, quali il Tancredi, il Guiscardo, il Partenope, il Pallade.
Infine la ritirata di Mack da Capua. Il tradimento è dunque certezza.
La borghesia, come sempre, pensa a difendere i suoi interessi in pericolo e negozia sotto banco con i giacobini e i francesi. Lampante conferma di quanto urlano i popolani per le strade che "chi tene pane e vino/add'esse giacubbino".
Il vicario del re intanto, come se niente fosse, tratta un'armistizio vergognoso con Championnet.
Ma ormai la Lazzaria è un fiume in piena che nessuno può più fermare. Risuona terribile l'antico grido del "serra serra" per chiamare a raccolta ed alle armi tutti quelli che hanno a cuore la difesa di Napoli contro il
nemico alle porte.
Senza strateghi, armati all'inizio delle sole mani o al più delle rudimentali "peroccole" (sorta di mazza nodosa con la cima a forma di pera), che roteate con perizia sono un'arma micidiale, che ferisce ed uccide, i lazzari, al grido di "viva San Gennaro" e " viva 'o Rre nuosto", percorrono le strade della capitale alla caccia dei giacobini.
Nella notte tra il 14 e 15 gennaio 1799 avviene spontanea la mobilitazione del popolo napoletano. Ai lazzari si uniscono i cavatori di tufo della Sanità, i conciapelli dei vicoli delle Concerie, gli scaricanti del Porto, gli ortolani e i fruttaioli del Mercato, i marinai e i pescatori di Santa Lucia, il più borbonico dei quartieri cittadini.
Nella giornata del 15 la folla in tumulto, pur senza la guida di veri capi militari, occupa tutti i punti strategici di Napoli. S'impadronisce così delle porte e delle fortificazioni, inalberando il vessillo reale a castel Nuovo, castel Sant'Elmo, forte del Carmine, castello dell'Ovo. Poi disarma i 12.000 uomini della milizia civica, rifornendosi quindi di fucili, munizioni e perfino di cannoni. Infine dà l'assalto alle carceri, liberando 6.000
prigionieri, in gran parte ladri. Nella logica dei lazzari quest'ultimi meritano la libertà perché hanno rubato ai borghesi, che sono tutti traditori, prima verso il re ed ora verso la città. Nei giorni seguenti viene presidiata l'altura di Capodichino e la zona di Poggioreale, ingressi obbligati, fin dai tempi antichi, per un esercito che voglia invadere Napoli.
La borghesia e la maggioranza dell'aristocrazia assistono terrorizzate al susseguirsi degli eventi.
Solo il partito giacobino, su imbeccata dello stesso Championnet, ha un piano preciso: impadronirsi, al momento opportuno, di castel Sant'Elmo, chiave di volta delle difese della città per la sua posizione dominante, e dar così man forte ai francesi quando attaccheranno.
Il 20 gennaio è la vigilia di quelle tre storiche giornate, in cui la stragrande maggioranza del popolo napoletano, e per esso la Lazzaria in prima linea, rivendicherà, per propria scelta, con un grosso tributo di
sangue e un eroismo che meritava miglior sorte, il diritto alla dignità di essere nazione e di scegliersi liberamente i propri ordinamenti politici.
In questa giornata una folla di 40.000 lazzari giura alla presenza delle sante reliquie di san Gennaro, di morire in difesa della comune patria. Loro insegna sarà una bandiera con l'effigie di un teschio e la scritta "evviva il Santo Ianuario nostro generalissimo".
Nel frattempo l'armata francese, forte di ben ventiduemila uomini, resi euforici dalle recenti facili vittorie, è ferma nella piana tra Sarno e Pomigliano, quando ad essa si ricongiunge la mezza brigata del colonnello
Broussier, proveniente da Benevento e che alle forche Caudine si è scontrata duramente con alcune bande legittimiste, e , pur disperdendole, ha avuto morti oltre 400 dei suoi. Gli invasori cominciano ad assaporare la collera dei popoli meridionali e a rendersi conto che entrare in Napoli non sarà poi una passeggiata.
La diana di guerra suona alle prime luci dell'alba del 21 gennaio 1799. Per una maggiore sicurezza delle loro retrovie, i francesi iniziano col radere al suolo il villaggio di Pomigliano d'Arco. Da questo crudele segno si
capisce che non concederanno nessuna tregua ai napoletani, né la chiederanno. Sarà battaglia all'ultimo sangue. Scrive di quel momento il Colletta: "Napoli non ha bastioni, o cinta di muri, o porte chiuse; ma la
difendevano popolo immenso, case l'una all'altra addossate, fanatismo di fede, odio ai francesi".
Il piano di Championnet prevede la disposizione dell'armata su quattro colonne: la prima agli ordini del generale Dufresne dirigerà su Capodimonte; la seconda, sotto il generale Kellerman, al castello del Carmine; la terza, guidata dal generale Duhesme, attaccherà porta Capuana; la quarta colonna al comando di Broussier sarà di riserva, e ciò anche per concedere riposo ai suoi uomini provati dal precedente scontro.
Le colonne entrano subito in contatto con gli avamposti dei lazzari, che contrattaccano impavidi con la fronte serrata da colorati fazzoletti, sotto cui è riposta l'immagine miracolosa da San Gennaro. È l'inizio di una spaventosa mattanza. Fare il resoconto dettagliato della battaglia, che durerà ininterrottamente per tre giorni, è impresa disperata perché mille e mille gli episodi degni di menzione.
A Capodimonte, a Capodichino, al ponte della Maddalena i francesi non passano. Le baionette dei loro battaglioni s'infrangono letteralmente contro un muro di carne umana. I corpi dei caduti diventano barricate per i lazzari superstiti. Anche per gli attaccanti il tributo in morti e feriti è altissimo. Dappertutto si spande l'acre odore della polvere da sparo, e, tra il denso fumo, s'intravede lo scintillìo terribile delle armi bianche, che squarciano, mutilano.
La punta di lancia del dispositivo d'attacco è la colonna Duhesme, che con la sua avanguardia, guidata dal generale Monnier, riesce a sloggiare, dopo ripetuti assalti, le bande di lazzari a guardia della strada di Poggioreale.
Dopo di che il grosso dei francesi carica alla baionetta le barricate di porta Capuana. Ma ci sono a difesa duemila napoletani, spalleggiati da alcune centinaia di svizzeri della Guardia Reale Borbonica. Il coraggioso
Monnier si rende conto che di qui non si passa, se non sul corpo dei difensori. La lotta è asprissima. L'eroismo del lazzari contagia gli svizzeri, che si battono anch'essi come leoni.
La disciplina e l'esperienza dei soldati francesi riescono ad aver ragione per un momento di tanta intrepidezza, d'un balzo essi sono al di là della porta e sbucano nell'omonima piazza. Dalle finestre e dai tetti delle case tutt'intorno è fuoco a volontà. Il generale Monnier cade colpito a morte, i suoi soldati sono decimati. I superstiti indietreggiano, per poi ritirarsi precipitosamente, presi d'infilata dal tiro di alcuni cannoni, messi immediatamente in posizione dai napoletani.
A questo punto se cedono i battaglioni di Duhesme è la fine per l'intera armata. La situazione diventa veramente critica, quando sopraggiunge una forte colonna di tremila lazzari. Ma essi purtroppo non conoscono l'arte militare e ignorano cosa significhi lo sfruttamento del successo, pertanto
si attardano a festeggiare la momentanea vittoria.
Il sangue freddo di un Thìebault dello stato maggiore francese fa poi il resto e le sorti della giornata, già compromesse per le armi repubblicane, si riequilibrano. Infatti, con i suoi uomini impegna i sopraggiunti lazzari, poi, d'accordo con Duhesme, simula una ritirata.
I realisti si gettano con foga all'inseguimento e s'infilano nella trappola loro tesa. Vengono così presi di fianco da un nutrito fuoco di fucileria; sono i granatieri che sparano ordinatamente e ad ondate successive, come fossero alle manovre. Sotto questa grandinata di proiettili i lazzari cadono a fila serrate.
Intanto, nelle stesse ore, si è consumato un altro tradimento alle spalle degli insorti. I giacobini napoletani, con uno stratagemma, si sono impadroniti di Sant'Elmo, disarmando i popolani di guardia. I cannoni del
forte, che dominano la città, da ora in avanti tuoneranno per i francesi.
Per il generale Championnet è un grosso punto a suo favore, d'altronde per ottenere tale scopo ha brigato non poco nei giorni precedenti.
Sul finire della giornata la truppa di Duhesme, a conclusione di una serie di reiterati feroci assalti, espugna porta Capuana. I francesi, incattiviti dalla testarda resistenza e timorosi che possa ripetersi quanto accaduto in mattinata, danno fuoco a tutti i palazzi circostanti, trucidandone gli occupanti.
I sinistri bagliori degli incendi illuminano così tragicamente quella notte da tregenda. Lo spirito combattivo dei lazzari però non è per nulla fiaccato. Dufresne è ancora fermo a Capodimonte, mentre Kellerman è riuscito soltanto ad oltrepassare il ponte della Maddalena.
La mattina del 22 i combattimenti, mai del tutto cessati, riprendono con più accanimento. Championnet, con Sant'Elmo in suo potere, procede rapidamente alla modifica del primitivo piano di operazioni, che prevedeva, una volta sfondato a porta Capuana, la conversione della colonna Duhesme in direzione di piazza Mercato e del forte del Carmine, prendendo di fianco il grosso dell'armata dei lazzari di circa ottomila combattenti, tenuti a bada nel frattempo dalla colonna Kellerman, proveniente dal ponte della Maddalena. Il piano, valido dal punto di vista militare e già a buon punto per il successo di Duhesme, sarebbe però costato troppo in termini di vite umane ai francesi, vista la caparbia resistenza ad oltranza dei lazzari.
Quest'ultima considerazione muove dunque Championnet ai cambiamenti operativi. Dà ordine alle truppe di riserva, al comando di Broussier, di avanzare al ponte della Maddalena, con la consegna di tenere soltanto le
posizioni; mentre Kellerman, il più brillante dei suoi generali, viene spedito celermente a Capodimonte a trarre d'impaccio Dufresne in grosse difficoltà, per poi piombare alle spalle dei difensori delle barricate del
Carmine.
I lazzari comprendono subito che la battaglia è ad una svolta decisiva. Ora combattono alla disperata, con selvaggia determinazione. Un ufficiale francese, che li invita alla resa, viene fatto a pezzi. Comincia il
cecchinaggio dei fautori del partito giacobino, che dai palazzi sparano alle spalle dei difensori. Gli agguati fanno incrudelire i lazzari, che si vendicano incendiando le case dei simpatizzanti giacobini e massacrando sul posto i sospettati. È la guerra civile ancor più rabbiosa di quella contro i francesi.
Due battaglioni, agli ordini di Kellerman, occupano le colline di Capodimonte e del Vomero, stabilendo quindi un definitivo contatto con il castello di Sant'Elmo. Da quest'ultimo si cominciano a tirar cannonate sui
punti della città, dove è più forte la resistenza. Lo sventolio del tricolore francese gela il cuore degli insorti che soltanto in quel momento apprendono del tradimento consumato ai loro danni, ma non per questo scema la loro determinazione alla lotta, tanto che gli uomini di Kellerman, appoggiati da gruppi di giacobini napoletani in armi, e che scendono baldanzosi dalle colline, vengono fermati dai lazzari di Foria e di Chiaia,
che li inchiodano sul posto. Soltanto l'intervento di un altro battaglione, che cala da Capodichino, sblocca la situazione nella zona di Foria, prendendo di fianco i difensori. I francesi non fanno prigionieri, un gruppo
di quaranta lazzari viene, seduta stante, fucilato sul posto.
I capi-lazzari infine danno ordine a quel che resta delle bande di riparare nel vasto pianoro di Largo delle Pigne (ora piazza Cavour), che diviene un'unica immensa barricata. Ci vogliono sette ore di reiterati attacchi per aver ragione di quella eroica testarda resistenza. Eroismo disperato anche a Santa Lucia e alla Madonna dei Sette Dolori. Per la notte Championnet dà ordine ai suoi di accamparsi nell'appena conquistato Largo delle Pigne.
Sono i cannoni di Sant'Elmo....
... all'alba di quel livido 23 gennaio 1799, a dare il segnale d'inizio per la spallata conclusiva dei repubblicani. Le forze della Lazzaria controllano ormai solo il cuore della vecchia Napoli, cioè
l'intricato quartiere Mercato e parte di via Toledo (ora via Roma), con i capisaldi di castello del Carmine, castel Nuovo e castello dell'Ovo.
È ancora una volta Kellerman, giovanissimo generale di soli 27 anni, a risolvere brillantemente la situazione. François-Etienne Kellerman, figlio di François Cristophe l'eroe di Valmy, in assoluto il miglior stratega in
campo di quei memorabili giorni. Sarà sempre lui l'anno successivo, il 14 giugno 1800, a tramutare a Marengo con un repentino attacco della sua cavalleria, una battaglia già perduta in una splendida vittoria, di cui Napoleone si attribuirà l'esclusivo merito. È a maggior gloria dei capi-lazzari aver tenuto testa, per giorni, a strateghi di tale statura.
In quella tragica giornata del 23 la colonna Kellerman prende di fianco i lazzari, attestati a difesa di via Toledo, e li ricaccia fino a Largo Castello. Castel Nuovo è preso d'assalto ed espugnato. Ciò consente a
Kellerman di battere alle spalle con i cannoni di questo castello, gli ottomila lazzari, che appoggiati tatticamente alle fortificazioni del Carmine, tengono in iscacco le forze di Broussier.
Soltanto nel pomeriggio viene conquistato alla baionetta dagli uomini del generale Rusca il castello del Carmine.
Salvo piccoli focolai, è la fine di ogni resistenza organizzata. I francesi di Championnet sono ormai padroni di Napoli. Ma il prezzo pagato è altissimo: duemila di loro non festeggeranno la vittoria; i loro corpi
giacciono ancora insepolti per le strade. I lazzari superstiti, vinti, ma non domi, si eclissano con le armi nell'intricato dedalo di vicoli. Saranno presenti, di lì a pochi mesi, all'appello di Ruffo per la liberazione della
città.
In questo stesso giorno si compie lo scempio di Palazzo Reale, allorchè il capo-lazzaro Paggio abbandona con i suoi il palazzo, la plebaglia lo invade saccheggiandolo. Sembra sia stato lo stesso Championnet, secondo la tesi della studiosa Raffaella del Puglia, ad incitare, con suoi emissari, la canaglia al saccheggio.
Dovunque, nelle strade, nei vicoli, nelle piazze, nei vecchi palazzi anneriti dagli incendi, dovunque si inciampa nei corpi dei lazzari caduti.
Alcuni luoghi, dove il combattimento è stato più aspro, sono dei veri e propri carnai. Diecimila di loro, secondo altri studiosi ottomila (ma non si conoscerà mai l'esatto numero), sono morti, armi in mani, per testimoniare ai posteri che la Nazione Napoletana non è un'invenzione.
Financo i vincitori devono ammettere l'eroismo dei lazzari in difesa della Napoletanità. Scrive il generale Championnet nella sua relazione per Parigi: "...si combatte in ogni strada; il terreno è disputato palmo a palmo; i lazzari sono guidati da capi intrepidi. I lazzari, questi uomini meravigliosi (ètonnants) sono degli eroi...". Il capo di stato maggiore, il generale Bonnamy, scriverà poi, al termine del suo rapporto, queste
lapidarie parole "...l'azione del lazzari farà epoca nella Storia!".
Soltanto il malcostume autolesionista di certa storiografia, che ha sempre allignato dalle nostre parti, ha avuto l'improntitudine di stracciare questa splendida pagina di Storia nostra.
Orazio Ferrara
jillo- -----------
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SCALA DI DAWKINS :
Data d'iscrizione : 29.08.12
Re: armi esercito aviazione marina
Qui ci addentriamo nel vivo delle battaglie a tattica lineare
UN DELIRIOOOOOOO!!!
RUUUUUUUUULLO DI TAMBURI
UN DELIRIOOOOOOO!!!
RUUUUUUUUULLO DI TAMBURI
- Spoiler:
L’ESERCITO FRANCESE:LA BATTAGLIA DEI SOLDATI
La battaglia! Parola che in sè riassume l’essenza stessa dell’essere soldato, la prova ultima di mesi di addestramento, di lunghe marce, spesso in territori ostili, di mille privazioni. Per gli umili soldati, la battaglia non è gloria e onore, ma solo morte e confusione. L’inizio dello scontro è solitamente segnato dalla distribuzione di generalizzate quanto generose razioni di acquavite, che i soldati bevono con avidità: in fin dei conti, affrontare la morte da sobri è molto più difficile. A questo punto gli uomini formano i propri ranghi, serrano le proprie fila; poi attendono, immobili gli ordini degli ufficiali. In questi momenti di inattività prima dello scontro vero e proprio regna un silenzio quasi irreale: ognuno pensa a cosa potrà accadere di lì, a poco e cerca, nel contempo, di riuscire a captare con lo sguardo ogni piccolo, impercettibile dettaglio che possa rassicurarlo: la presenza dei propri comandanti, quella di altre truppe sui fianchi, l’ordine interno al proprio battaglione. Al limite ci si scambia qualche breve frase o qualche sorriso per dare e darsi fiducia. Sono però attimi interminabili nei quali il battito del cuore si fa più frenetico e si suda freddo. I soldati controllano l’efficienza dell’arma, sistemano la pietra focaia, ripongono quelle di riserva in tasche facilmente accessibili, per lo più in quelle del panciotto; sistemano il briquet e la borraccia in modo tale che, muovendosi, non sia di impaccio; infine aprono la giberna e si assicurano, quasi ce ne fosse bisogno, che sia piena di cartucce pronte all’uso. Schierato spalla a spalla con i suoi compagni, carica il fucile e aspetta il momento nel quale verrà dato l’ordine di avanzata o di tirare addosso al nemico. Ma ora la sua più grande preoccupazione sono le palle di cannone che arrivano e che, veramente, segnano l’inizio della battaglia. Si tratta, infatti, del fuoco di preparazione nemico. Fermi come birilli, si spera che i proiettili passino alti e che gli ufficiali, per limitare le perdite, diano l’ordine di coricarsi per terra, cosa che però avviene piuttosto di rado. Si tratta di una prova terribile che, a volte, alcuni generali praticano per punire unità che si sono dimostrate particolarmente indisciplinate nel corso della campagna, come fece, ad esempio, il generale francese di cavalleria Lassalle; altre volte, invece, è chiamata addirittura la Guardia a sostenere questo tipo di combattimento assolutamente squilibrato a favore dell’artiglieria, per tenere un tratto di fronte, come avvenne ad Aspern-Essling. Il soldato ha però una visione molto parziale e limitata della battaglia: egli non solo non riesce a capirne l’andamento generale, ma nemmeno è in grado di realizzare ciò che accade a soli 30-40 metri di distanza. Il suo orizzonte si riduce drasticamente e può vedere distintamente unicamente ciò che accade di fronte, e poi ancora per una lunghezza limitata, diciamo 200-250 metri, forse anche meno, mentre tutto ciò che avviene sui fianchi o sul retro rimane qualcosa di ignoto: d’altronde, se anche si girasse, cosa pressochè impossibile quando si combatte in ranghi serrati, non vedrebbe altro che i profili e le sagome dei compagni di reparto e il fumo dei fucili. Paradossalmente, anche quando combatte in ordine aperto le cose non cambiano di molto, a meno che non riesca a proteggersi dai proiettili nemici dietro qualche asperità del terreno. Ad aggravare questa situazione di smarrimento, insicurezza e, al contempo, di drastica limitazione dei propri orizzonti visivi, sta poi il fatto che assai di rado il soldato conosce il terreno sul quale dovrà combattere, situazione tanto più avvilente quanto più le battaglie si svolgono lontane dai confini patri e in territori occupati da una popolazione ostile se non fanaticamente anti-francese: non a caso, uno dei teatri più sanguinosi e crudeli sarà proprio quello spagnolo, dove tuttavia, nel corso dei lunghi anni di guerra, mai si avranno battaglie campali paragonabili a quelle di Wagram o Borodino, per fare solo due esempi. Lontani da casa, privi di un sistema sanitario degno di questo nome o anche lontanamente paragonabile a quello che intendiamo noi oggi, con poco cibo, sanno che non potranno contare sull’aiuto della popolazione civile e dunque sono consci che anche una piccola ed a prima vista leggera ferita superficiale può rivelarsi mortale. Non a caso, la causa di morte più letale erano proprio le infezioni e la conseguente cancrena. All’epoca non era ancora noto il concetto di microbo e dunque le ferite non venivano sterilizzate; addirittura, si pulivano anche con acqua sporca, mentre i soldati, che già non potevano curare la propria igiene personale durante la campagna, venivano alloggiati in locali altrettanto sudici e privi delle più elementari (almeno per noi…) norme igieniche. Le condizioni erano così precarie che, paradossalmente, combattere in climi rigidi poteva essere un vantaggio: ad esempio, moltissimi feriti della battaglia di Eylau, combattuta in febbraio, riuscirono a salvarsi – pur fra indicibili sofferenze – proprio grazie al freddo pungente che impediva alle ferite di diventare purulente. La ferita più comune era, ovviamente, quella provocata dai proiettili tondi sparati dai moschetti: questi, in piombo, potevano passare da parte a parte gli arti o, nel peggiore dei casi, spezzare le ossa e frantumarle: in questo caso, la cancrena era praticamente inevitabile… Da parte loro, le palle di cannone avevano effetti pi&ugarve; immediati: o la morte o l’amputazione di braccia o gambe; di solito, essendo arroventate, riuscivano a cicatrizzare immediatamente la ferita, per cui il malcapitato riusciva a sopravvivere, come accadde al generale Uxbridge a Waterloo. Ma torniamo al campo di battaglia. Gli uomini, immobili, sono pronti ad avanzare: l’attesa, tuttavia, può essere lunghissima, specie per le truppe poste in riserva, e provoca nei soldati sentimenti ambivalenti: la speranza di non combattere, ma anche l’ansia di sapere quando. Quando, poi, arrivava l’ordine tutta la tensione accumulata fino a quel momento ha finalmente modo di iniziare a scaricarsi. Sotto l’azione ipnotica ed al tempo stessa esaltante dei tamburi, ora il soldato bada a mantenere l’allineamento, il passo, le giuste distanze dai compagni e ad ascoltare gli ordini dei propri ufficiali. Mantenere l’ordine all’interno dell’unità, era, tuttavia, molto difficile, specie per dei soldati che si trovavano da poco tempo sotto le armi e che avevano avuto un addestramento raffazzonato ed estemporaneo: sotto l’azione della paura e della confusione, del terreno (specie se accidentato o in pendenza), dei corpi dei caduti o degli ostacoli che si potevano incontrare, solo i reparti meglio addestrati e che potevano contare su molti veterani riuscivano a conservare l’allineamento ed a mantenere un passo regolare. Davanti al reparto che avanzava a ranghi chiusi vengono schierati gli schermagliatori, cioè, soldati che combattevano a ranghi aperti, col compito di iniziare il combattimento: i loro obiettivi preferiti sono gli ufficiali nemici, di solito ben riconoscibili, ma anche il semplice far sparare le unità nemiche, dal momento che le armi del tempo tendevano a fare cilecca tanto più si sparava. L’azione dei volteggiatori o cacciatori – perchè così vengono chiamati gli schermagliatori all’interno dell’esercito francese – può essere molto incisiva ed è tanto più efficace quanto più i soldati si trovano ad operare su terreni difficili, che possono offrire anche semplici ripari ai proiettili nemici e che, soprattutto, siano difficili da attraversare da parte di unità in ordine chiuso. Infatti, il vero spauracchio degli schermagliatori è quello di essere attaccati alla baionetta da questo tipo di formazioni, contro le quali potrebbero fare ben poco; se poi a caricare è la cavalleria, allora la tragedia si compie: preso singolarmente, il fante non riesce a difendersi ed anche uno squadrone di cavalleria è in grado di mettere in rotta un intero battaglione che combatte a ranghi aperti, causando perdite pesantissime. Questo schermo può essere di due tipi: quello creato da apposite compagnie interne al battaglione (per i francesi, a partire dalla riforma napoleonica del 1804, detti volteggiatori) interne al battaglione e quello creato da interi battaglioni di fanteria leggera. Due le differenze: la prima riguarda l’entità numerica degli uomini adibiti a questo compito – rispettivamente 100 circa o 800 circa -, la seconda l’indipendenza sul campo di battaglia, visto che le compagnie devono supportare necessariamente il battaglione cui appartengono, mentre i battaglioni leggeri vengono utilizzati come unità indipendenti nel quadro generale della battaglia. In più, questi ultimi possono, alla bisogna, combattere anche a ranghi chiusi. Gli schermagliatori esaurivano la loro funzione una volta che l’unità in ordine chiuso che proteggevano arrivava a 100-80 metri dal nemico. Ora, come due velieri, le due formazioni avversarie iniziavano a scaricare le loro armi; i primi colpi, quelli più efficaci per il basso numero di cilecche, sparati secondo un ordine ben preciso, poi a volontà. Ma cosa accadeva nei ranghi durante un’azione di fuoco? Dopo il primo sparo, il fumo provocato dalle armi era tale che poteva persino avvolgere l’intera unità in una nube di fumo non solo difficile a disperdersi se non vi era vento, ma che anche rendeva più difficile vedere i nemici. In effetti, quest’ultimo dato era di relativa importanza, visto che i fucili erano talmente imprecisi che non si prendeva la mira ma semplicemente si puntava in direzione del bersaglio. Mano a mano che l’azione proseguiva è le perdite aumentavano, l’unità era costretta a ridurre il proprio fronte per poter compensare i vuoti così, creatisi, mentre i soldati iniziavano, in misura sempre maggiore, a fare cilecca e ad armeggiare con il tournez-vie per poter rendere di nuovo efficiente l’arma. La confusione aumenta in maniera esponenziale: il rumore assordante degli spari, la ridotta visibilità, il rullo dei tamburi, le urla di dolore dei feriti, quelle degli ufficiali che incitano i soldati a serrare i ranghi, creano una situazione infernale. I soldati perdono la coscienza di sè e agiscono, sparano, come automi, obbedendo ciecamente agli ufficiali: lo stato di stordimento e di confusione era tale che un soldato, a dispetto del rinculo, poteva anche non capire che il colpo non era partito e dunque caricasse l’arma per due, tre o più volte, o che, preso dalla smania di caricare, dimenticasse la bacchetta all’interno della bocca da fuoco: una tale colpevole disattenzione aveva come conseguenza diretta il fatto che il fante non potesse più aprire il fuoco, costringendolo a recuperare una bacchetta dal fucile di qualche compagno morto o ad attendere passivamente lo svolgersi degli eventi. Una tale azione non dura molto tempo: infatti, dopo qualche colpo (diciamo 5-10 minuti) una delle due formazioni cede. Gli uomini, semplicemente terrorizzati, fuggono dalla linea del fuoco e gli ufficiali possono dirsi già, fortunati e abili se riescono ad evitare una rotta generalizzata a favore di una ritirata più o meno ordinata. Quella che era una corazzata, si sta sciogliendo come neve al sole. Più, spesso, tuttavia, dopo i primissimi colpi o addirittura senza spararne alcuno, l’unità per così dire attaccante si lancia all’assalto alla baionetta. Calpestando i propri compagni che via via cadono, esaltati dal ritmo ossessivo dei tamburi e dalle urla di incitamento – o dalle imprecazioni – che provengono dai ranghi, i soldati avanzano d’impeto verso la linea nemica; qui, altri soldati, col sudore che ormai riga la fronte, sparano e caricano l’arma il più velocemente possibile, fino a rendere roventi le canne: sanno infatti che, in caso di contatto, le loro chances di poter resistere sarebbero assai scarse: la sola velocità e massa degli attaccanti basta decidere lo scontro. Gli assalitori aumentano la velocità mano a mano che si avvicinano: passano dal passo ordinario, a quello accelarato fino a quello, finale, di carica; sottufficiali e ufficiali, alla testa dei propri reparti per dare il buon esempio, sono fra i primi a cadere, ma ormai l’azione offensiva ha già una propria forza d’inerzia che può essere spezzata solo dai proiettili nemici. Raramente un attacco giunge a coinvolgere un mortale corpo a corpo le due unità avversarie; solitamente, negli ultimi 20-30 metri una delle due formazioni cede il terreno e fugge, tale è la paura del freddo acciaio della baionetta. Quando però questa eventualità si realizza, lo scontro raggiunge toni di ferocia mai vista: coloro che hanno ancora un colpo in canna scaricano l’arma a bruciapelo; altri utilizzano la baionetta per infilzare, altri ancora, maneggiando il fucile come una clava, cercano letteralmente di rompere la testa del nemico: in generale, dopo il primo pesante impatto, le due formazioni avversarie si mescolano in una contemporaneità, di combattimenti individuali che si risolvono per lo più con la morte, il ferimento o la resa di uno dei due contendenti. Ancora una volta, tutto questo avviene in pochi minuti, in un crescendo di esaltazione e di stordimento che prende tutti gli attori della tragica scena: a volte si diventa coraggiosi – o addirittura eroi – solo perchè non si ha più la consapevolezza del proprio io e si è trascinati dal turbine degli eventi. Una volta che l’assalto è riuscito e l’unità, nemica è stata spazzata via, gli ufficiali hanno il loro bel daffare per cercare di ricomporre, attorno alla bandiera – che funge da vero e proprio punto di riferimento – i ranghi e rendere nuovamente operativo il battaglione. Infatti, nel corso dell’azione molti soldati sono rimasti sul campo, altri si sono fermati o addirittura dati alla fuga, altri ancora hanno inseguito il nemico. Anche una volta ricomposta, tuttavia, l’unità potrà intraprendere poche altre azioni: gli uomini, ora, sono fisicamente spossati, hanno sete, hanno le armi che nella maggior parte dei casi non funzionano più, molti ufficiali, poi, sono caduti e dunque l’azione di comando si fa meno incisiva; in più le richieste di aiuto e le grida dei soldati rimasti feriti sul terreno certo non invogliano a proseguire il combattimento. Insomma, un reparto può attendere ore prima di entrare in azione ed esaurire la stessa nello spazio temporale di qualche decina di minuti: l’usura dello scontro è tale che non permette, almeno a breve, di intraprendere altre azioni di una certa importanza. Ovviamente, questo è un ragionamento di massima, che prevede, come tale, diverse eccezioni: forse una delle più famose riguarda il comportamento tenuto dal 9° reggimento cacciatori francesi nella fase finale della battaglia di Marengo, quando, dopo ripetute cariche, riuscì finalmente a sfondare le linee nemiche, ma ogni esercito europeo, durante le guerre napoleoniche, ha avuto dei reparti che, in una battaglia o nell’altra, si sono distinti per senso di sacrificio e per coraggio di fronte al nemico. Durante le pause, i soldati cercano, come diremmo oggi, di prendere fiato, bevono avidamente dalla borraccia o chiedono alla cantiniera, che segue sempre il reparto con un barilotto di acqua, un pò del prezioso liquido: combattere, specie d’estate, con addosso un equipaggiamento di 25 kg, una giubba in panno molto pesante e che non lascia traspirare alcunchè, con la bocca e la lingua sporche di polvere da sparo proveniente dalle cartucce che, come si ricorderà, vengono aperte con la forza dei denti, rende la gola veramente arsa e provoca una sete che sfocia nel dolore e nella pazzia, specie se si riportano delle ferite, anche lievi. Non appena si è ritornati un pò in sè e si è soddisfatta la sete, ci si guarda un pò, attorno, si cercano i volti dei commilitoni più cari, ci si accerta persino di non avere subito ferite, dato che la stessa sofferenza fisica non viene avvertita nei momenti di maggior tensione ed eccitamento emotivo, quando l’adrenalina non fa sentire nè la fatica, nè il dolore. Si cerca anche di fare ordine nelle migliaia di immagini che i propri occhi hanno visto, di dare un senso a ciò che si è appena vissuto. Si tratta, quest’ultima, di un’operazione che solo raramente riesce: il soldato è incapace di conferire un ordine logico e temporale a tutto ciò che &egarve; accaduto durante l’azione, ricorda solo alcuni frammenti, a volte persino dei particolari futili, ma non l’unitarietà della scena. Sappiamo però che vi è un’altra variabile nella guerra napoleonica, una variabile di assoluta importanza: la cavalleria. Una carica di cavalleria ero lo spettro di ogni fanteria, da quella più esperta a quella meno addestrata. In tal caso, l’unica speranza era quella di formare un quadrato, ovvero una formazione che non lasciasse scoperto fianchi e retro e che fosse al contempo molto profonda: tutti gli uomini, il primo rango inginocchiato, utilizzavano i fucili e baionetta per formare come un riccio impenetrabile. I cavalli, infatti, per istinto, non si scagliano contro tali ostacoli e la cavalleria è obbligata a girare intorno a tali quadrati. La cosa, detta così, sembra abbastanza facile, per non dire banale. Sul campo, però, le cose erano ben diverse. I soldati, affaticati dal combattimento, sentono d’un tratto un ordine: La cavallerie!!! Formè le carrè. Il cambio di formazione deve avvenire in pochissimi secondi, poichè, nel clangore della battaglia, la cavalleria può essere avvistata solo quando è vicina. La questione è molto semplice: riuscirà la fanteria a formare un quadrato prima di venire contattata? Il panico, il terrore, si diffonde in altrettanto poco tempo: è una lotta contro il tempo. I soldati, nel compierla, corrono, si strattonano, a volte incespicano e cadono venendo calpestati dai commilitoni, alcuni fuggono in preda al più, completo smarrimento. Per dare l’idea dell’effetto provocato sull’animo umano dal rumore di centinaia di zoccoli sul terreno, dalla sola idea di dover affrontare un cavaliere in carica, basti questo aneddoto. Per le riprese del film-colossal Waterloo con Rod Steiger nella parte dei Napoleone, il regista Bondarciuk poteva contare sull’aiuto dei soldati dell’Armata Rossa per girare le scene di massa: ebbene, la celeberrima scena dell’attacco della cavalleria francese contro la fanteria inglese chiusa in quadrato dovette essere girata diverse volte, perchè gli uomini letteralmente fuggivano terrorizzati non appena sentivano il terreno vibrare sotto i loro piedi. Tutti, ovviamente, sapevano che si trattava di un film e le comparse erano per di più soldati regolarmente addestrati; eppure, alla resa dei conti, le fughe furono tali e tante da dover ripetere la scena più e più volte. Pensiamo dunque nella realtà che effetto dovesse fare una vera carica di cavalleria, specie se effettuata da reparti di cavalleria pesante, come i corazzieri, l’Household inglese o i granatieri a cavallo… Se però, il quadrato si chiudeva e gli uomini non scappavano, la fanteria aveva ottime chances di resistere: gli esempi di quadrati formati distrutti sono veramente pochi ed anche all’epoca questa realtà era unanimemente conosciuta, persino dai soldati, anche se, certo, in certi momenti la razionalità può comprensibilmente lasciare il passo al terrore e dunque a cercare una fuga solitaria che porta certamente alla morte. Stretti, compressi, gli uni dietro agli altri e gli uni di fianco agli altri, i fanti sono costretti tuttavia all’immobilità: l’unica cosa che possono fare, e comunque con grande fatica dati gli spazi estremamente ridotti, è sparare. Inutile dire che se dovesse all’improvviso sbucare una batteria di cannoni o un battaglione di fanteria, il destino del quadrato sarebbe segnato letteralmente in un bagno di sangue. Da parte loro, i cavalieri, avevano da affrontare due grossi problemi: mantenere la formazione durante la carica ed effettuarla in modo tale da affaticare il meno possibile i cavalli. Se quest’ultimo punto veniva risolto facilmente riservando ai soli ultimi 50 metri il massimo sforzo degli animali, il primo richiedeva una più lunga gestazione, poichè riguardava l’addestramento di uomini e cavalli, un addestramento che richiedeva mesi se non anni. Basti pensare che la cavalleria francese, praticamente dissoltasi nel 1791-92 con la fuga all’estero dei nobili, per ritornare a potere reggere il confronto con quella nemica in campo aperto dovrà, attendere il 1805. Sul campo di battaglia la cavalleria assolveva a tre fondamentali quanto diversi compiti: controllava che non vi fossero forze nemiche sulle ali dello schieramento; attaccava per sfondare le linee nemiche o per prendere d’impeto alcune importanti posizioni; quando posta nelle retrovie, era un valido deterrente per evitare che i soldati, semplicemente, scappassero, come, ad esempio, accadde a Waterloo, dove la cavalleria leggera alleata venne tenuta in fondo allo schieramento. Dei tre compiti, ovviamente, quello più drammatico era il secondo: uno scontro che poteva essere o contro altra cavalleria – e allora si concludeva con un brutale contatto fisico, nel quale si utilizzavano le spade e pistole, nel quale si sferravano fendenti tali da spezzare se non tagliare arti, nel quale ci si sparava letteralmente in faccia – o contro la fanteria – e abbiamo visto cosa accadeva – o, infine, contro batterie di artiglieria. In quest’ultimo caso, più, ancora che le sciabole, la vera arma era la velocità,: riuscire a piombare sugli artiglieri nel minor tempo possibile si traduceva nel ricevere meno colpi e dunque nel subire meno perdite. Condurre una carica frontale contro un tale obiettivo era comunque, sempre, una brutta faccenda: l’artiglieria, male che andasse, riusciva sempre a sparare una salva a mitraglia a distanza abbastanza ravvicinata, il che assicurava la morte o comunque la messa fuori combattimento di gran parte della prima ondata di cavalieri, con gravi ripercussioni sia morali che pratiche per i compagni che seguivano. Non solo, infatti, vedere morire a pochi metri di distanza un proprio compagno può scuotere i nervi anche dei più, coraggiosi, ma l’intralcio provocato dai cadaveri di uomini ed animali rendeva difficile proseguire l’attacco mantenendo i ranghi ordinati e in tempi limitati. Una volta, per6ograve;, arrivati ai pezzi, gli artiglieri non avevano scampo e venivano inesorabilmente falciati uno dopo l’altro; solo i più fortunati, proteggendosi sotto l’affusto del pezzo, potevano sperare di salvare la vita: a questo punto, se i cavalieri avevano abbastanza sangue freddo e il giusto equipaggiamento, potevano scendere dai loro animali e chiodare i pezzi, ovvero inserire a forza nel focone uno spuntone in legno o metallo che, non potendo essere estratto, impediva al pezzo di poter sparare lungo quantomeno tutto il resto della battaglia. Proprio durante questi caotici momenti nei quali i cavalieri inseguivano le proprie prede, il reparto era molto vulnerabile agli attacchi di una cavalleria avversaria che l’avesse controcaricata a ranghi compatti. La differenza fra la vittoria e la sconfitta a volte può essere molto labile. Certo è che alla fine di una giornata di combattimenti il terreno era punteggiato di cadaveri di uomini e di cavalli più o meno orrendamente mutilati, di feriti urlanti al cielo tutto il loro dolore, di soldati che, magari aiutandosi con il fucile usato a mò di stampella, cercano di portarsi ai più vicini fuochi, nella speranza di essere aiutati: infatti, i vincitori, se non hanno più la forza fisica di inseguire, iniziano ad accamparsi per la notte, mentre ai perdenti si prospetta una notte spesa a fuggire, a lasciare quanta più strada possibile fra sè ed il nemico; ma vi sono anche civili che, come veri e propri sciacalli, depredano e spogliano i caduti di ogni loro avere, dalle scarpe al fucile: d’altronde, pensano, dopo tutto quello che abbiamo subito in termini di distruzione di case e campi, è giusto recuperare, per così dire, le spese. Wellington alla fine della battaglia di Waterloo ebbe a dire che: non vi è nulla di peggio di una battaglia vinta che una battaglia persa. I servizi di sanità sono praticamente inesistenti: ci si arrangia alla meglio e non è raro che i veterani si improvvisino anche infermieri, mentre i pochi medici operano a ritmo serrato, amputano tutto ciò che possono, senza anestesia e con rozze quanto orribili seghe, per evitare che insorga la cancrena. In questi interventi servono solo tre cose: alcool per stordire il malcapitato, un pezzo di cuoio da fargli stringere fra i denti e due robusti infermieri che lo tengano stretto. Ben presto questi posti di medicazione, che solitamente vengono posti all’interno delle più vicine case, diventano un inferno, tanto più che, ovviamente, non esistono nemmeno latrine: l’aria stessa diventa irrespirabile, pestilenziale, mentre mancano anche i viveri per poter dare un pò di forza a corpi straziati dalla forza delle armi e dalla potenza del dolore. Ecco come il chirurgo Piercy descrive uno di questi posti; siamo a Jena, due giorni dopo la battaglia: Quella mattina tutti quei disgraziati erano ancora nella sporcizia, in mezzo, agli escrementi di quelli che non potevano alzarsi, braccia e gambe tagliate, cadaveri insanguinati, un orribile concime prodotto dalla poca paglia sulla quale sono sdraiati. In qualche posto è stato dato loro un pò di brodo e del pane. Non si sa come abbiano potuto resistere fino ad ora. La notte successiva alla battaglia non si sentono canti ai bivacchi, ma solo lamenti e urla; l’aria si fa pesante per il fumo che ancora non si disperde e per quello prodotto dagli incendi; i soldati, sporchi, sudati, stanchi non hanno voglia di far altro che mangiare e dormire, coricarsi anche se questo comporta buttarsi sull’erba già umida per il calare della sera… già… mangiare… ma cosa? Si fa ricorso alle provviste che ognuno porta con sè nello zaino, un pò di pane, un pò di formaggio e poco altro… ci si vorrebbe spogliare, lavare, cambiare i vestiti, fare un buon pasto, addormentarsi e svegliarsi scoprendo di aver fatto solo un brutto, terribile sogno.
Contributo del Prof. Massimo Zanca, dottore di ricerca presso l’Università di Verona
Su gentile concessione dell’Associazione Napoleonica d’Italia
jillo- -----------
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Re: armi esercito aviazione marina
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dando venghi ? cosa ? Da Rebbibbia ? Da Reggina Celi ? No da Roma. Allora Venghi dalla Libertà !
silvio- -------------
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Re: armi esercito aviazione marina
PaperJack ha scritto:Mio nonno (quello bulgaro) era stato un soldato di frontiera mentre, per un breve periodo nella seconda guerra mondiale, sia gli italiani, che i bulgari, erano insieme.
Per qualche motivo, in Bulgaria c'è questa credenza che gli italiani mangino le rane. Quindi, quando gli ufficiali bulgari invitarono gli ufficiali italiani per una cena "di lavoro", decisero di cucinargli coscette di rana fritte. Fortunatamente, vicino a dove era stazionato mio nonno, c'era un bel laghettone - e quindi vai mezzo battaglione a cacciare rane in mezzo alla notte e al fango, siccome la cena doveva essere una sorpresa.
Una volta catturate quasi tutte le rane dello stagnone (mi diceva almeno 200-300) e appropriatamente impanate e cucinate, invitarono gli ufficiali italiani, che ovviamente pensarono che erano deliziose coscette di pollo.
Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che erano rane!
Ma qui da me le rane vanno di brutto e c'è anche la sagra due volte l'anno...c'è la fila per andare a mangiarle.
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*Valerio*- -------------
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Re: armi esercito aviazione marina
Tra le varie forze operative, veramente operative io considero il BoPe di Rio de Janeiro il piu' operativo e micidiale di tutte. Sono davvero in guerra 365 giorni all'anno, ma mica ad arrestare..si sparano come i maledetti e per uccidere.
Il piu' grande massacro tra BoPe e bande delle favelas avvenne proprio in occasione della permanenza del papa (woytila) presso un convento a ridosso della piu' insidiosa favelas di Rio. Sul "conto" di quel caro papa ci sono decine e decine di morti ammazzati poiche' il governo volle "normalizzare" la favelas in occasione del pernottamento del papa, il qule insistette per pernottare proprio a ridosso della favelas..
Comunque ci sono filmati e il famoso film che raccontano di questo reparto davvero feroce e operativo..
Il piu' grande massacro tra BoPe e bande delle favelas avvenne proprio in occasione della permanenza del papa (woytila) presso un convento a ridosso della piu' insidiosa favelas di Rio. Sul "conto" di quel caro papa ci sono decine e decine di morti ammazzati poiche' il governo volle "normalizzare" la favelas in occasione del pernottamento del papa, il qule insistette per pernottare proprio a ridosso della favelas..
Comunque ci sono filmati e il famoso film che raccontano di questo reparto davvero feroce e operativo..
delfi68- -------------
- Numero di messaggi : 11242
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Re: armi esercito aviazione marina
delfi68 ha scritto:[...]in occasione del pernottamento del papa, il quale insistette per pernottare proprio a ridosso della favelas..
Comunque ci sono filmati e il famoso film che raccontano di questo reparto davvero feroce e operativo..
Non escludo la preterintenzionalità.
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You think normal people just wake up one morning and decide they're going to work in a prison? They're perverts, every last one of them. (Vanessa)
Rasputin- ..............
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