gioco event display LHC
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gioco event display LHC
il blogger Marco Delmastro ( http://www.borborigmi.org/ ) ha proposto un gioco che consiste nell'individuare la presenza di particelle in un "event display".
Lui pubblicherà 16 event display e 16 descrizioni degli eventi corrispondenti (per esempio, "un bosone Z che decade in due elettroni") lo scopo è associare gli event display con le descrizioni degli eventi corrispondenti però prima bisogna capire come individuare le particelle, qui la serie completa ( http://www.borborigmi.org/2012/07/20/rivelatori-di-particelle-a-lhc-la-serie-completa/ )
riassunti:
Rivelatori di particelle a LHC. Prima parte: cosa riveliamo?
Non si rilevano le particelle di cui si è alla ricerca ma i residui dei loro decadimenti. Le particelle che si cercano al CERN sono instabili e decadono subito, quello che si cerca sono i prodotti di questi decadimenti. (che sono particelle stabili, stabili vuol dire che decadono ma sono comunque rilevabili)
La principale sfida di ogni ricerca è quella di identificare una certa particelle dalle sole tracce che ha lasciato nel decadere, e nel distinguere queste tracce caratteristiche da tutti gli altri fenomeni che ne producono di simili, o addirittura si uguali. Esempio: un bosone Z decade in coppie leptone-antileptone (ovvero: elettrone-positrone, muone-antimuone, tau-antitau, e tutte le variazioni possibili di neutrino-antineutrino); se voglio dunque identificare la produzione di un bosone Z in una collisione, andrò per esempio a cercare le tracce di un elettrone e un antielettrone che abbiano caratteristiche compatibili con la provenienza dal decadimento di una Z.
Le particelle "stabili" prodotte dai decadimenti delle particelle di cui andiamo alla ricerca sono ben poche. Ogni tipo di particella "esotica" che si vuole cercare prima o poi decade in: elettroni, fotoni, muoni, un qualche tipo di adrone (pioni, protoni, neutroni), neutrini e le loro antiparticelle. La maggior parte di queste particelle sono rilevabili dagli strumenti che riescono a misurare le proprietà ( posizione, carica, energia, momento )
Rivelatori di particelle a LHC. Seconda parte: diversi modi di interazione
Come si identificano i prodotti di decadimento? (che sono 5 famiglie di particelle, elettroni, fotoni, muoni, adroni vari e neutrini) Per farlo bisogna vedere come interagiscono con la materia (e i rilevatori possono vedere ciò). La firma caratteristica di ognuna di queste particelle non è unica, ma è data dalla combinazione di pochi modi caratteristici di interazione, non più di quattro o cinque. Eccoli qui: 1)Una particella può avere carica elettrica, positiva o negativa (per esempio: elettroni, muoni, protoni, pioni carichi), oppure essere elettricamente neutra (per esempio: fotoni, neutroni, pioni neutri, neutrini). 2) Una particella può interagire principalmente in modo elettromagnetico (elettroni, fotoni, pioni neutri che decadono praticamente sempre in due fotoni), oppure adronico (cosa significa lo spiego dopo) 3) Una particelle può interagire con la materia più o meno normalmente, oppure molto poco (muoni), oppure praticamente per niente (neutrini). Nessuna particella ha una firma univoca. Un elettrone è carico, e interagisce principalmente in modo elettromagnetico. Il fotone interagisce principalmente in modo elettromagnetico, ma è elettricamente neutro. Il neutrino è neutro come il fotone, ma non interagisce quasi per niente. Il muone interagisce molto poco (ma decisamente molto di più di un neutrino!), ed è elettricamente carico. Come è carico il pione (carico, ce n'è anche uno neutro), che però interagisce principalmente in modo adronico. Solo grazie alla combinazione di diverse firme lasciate in sezioni diverse del rivelatore possiamo azzardare l'identificazione di una particella, e una misura precisa delle sue caratteristiche.
Rivelatori di particelle a LHC. Primo intermezzo: cilindri dove non si possono costruire sfere.
Prima di lanciarci nei dettagli della rilevazione delle particelle, un paio di brevi considerazioni di carattere geometrico, necessarie per comprendere alcuni degli schemi che vi mostrerò nei prossimi articoli.
Per un esperimento a un collisionatore come LHC, idealmente ai fisici piacerebbe costruire dei rivelatori sferici o ovali intorno al punto di interazione: le particelle (primarie o secondarie) prodotte nella collisione dei fasci si allontano a raggiera dal punto di interazione come uno spray tridimensionale.
Rivelatori di particelle a LHC. Terza parte: unire i puntini lasciati da particelle cariche
Elettroni, muoni, protoni, pioni e tutta un'altra pletora di adroni (e le loro antiparticelle) sono particelle elettricamente cariche. Il fatto che certe particelle abbiano carica elettrica ci permette di fare due cose. Intanto, approfittiamo del fatto che una particella dotata di carica elettrica tende a ionizzare la materia che attraversa: quando una particella carica passa attraverso un materiale, tende più o meno facilmente a scalzare dalle loro placide orbite alcuni degli elettroni degli atomi di questo materiale. Con gli accorgimenti opportuni, questi elettroni scalzati dal passaggio della particella carica possono essere raccolti, e trasformarli in un segnale elettrico da trattare e misurare. Sfruttando questo principio costruiamo dei rivelatori segmentati in tanti piccole piastrelline sensibili, che si "accendano" se attraversate da una particella carica. La forma e la dimensione delle piastrelline sensibili, e la tecnologia su cui si basa il loro "accendersi" al passaggio di una particella carica, possono essere veramente diverse (per esempio: a volte si usano pixel in silicio, proprio come nei sensori della macchine fotografiche digitali; altre volte tubicini con del gas dentro; o altro ancora). Quello che è importante è che possiamo piazzare una serie consecutiva di strati di questo tipo di rivelatori intorno al punto in collisione dei fasci: le particelle cariche prodotte nella collisione attraverseranno questi strati accendendo qualche piastrellina in ogni strato. Con una procedura analoga al gioco di "unisci i puntini" (solo più complessa, perché non ci sono i numerini, e bisogna provare la combinazione più sensata: scriviamo programmi di computer che sono particolarmente efficaci in questo compito) dalle piastrelle accese possiamo risalire a una serie di tracce per ogni collisione. La parte di un rivelatore che si occupa di questa operazione si chiama in gergo tracciatore (tracker).
Rivelatori di particelle a LHC. Quarta parte: solenoidi e tracciatori.
Come sono fatti i rivelatori (e i loro rispettivi campi magnetici) in ATLAS, in CMS, e in ALICE? Cominciamo dai campi magnetici. In tutti i rivelatori di cui parliamo oggi, il campo magnetico usato per curvare le particelle cariche (e misurarne così il momento attraverso la curvatura) è generato da un solenoide. Un solenoide è una bobina di forma cilindrica, formata da spire circolari ravvicinate
Veniamo dunque ai tracciatori. La soluzione più diffusa negli esperimenti odierni consiste nel piazzare una serie di rivelatori segmentati in tanti piccole piastrelline sensibili, che si "accendano" se attraversate da una particella carica. La tecnologia più utilizzata è simile a quella dei sensori delle macchine fotografiche digitali: delle superfici di silicio, tagliuzzate in pixel che danno un segnale al passaggio di una particella carica. Siccome segmentare un piastra di silicio in pixel di piccole dimensioni e complesso e costa caro (esattamente come per le macchine fotografiche!), mano a mano che ci si sposta dal punto di interazione, per risparmiare - e complicarsi meno la vita con il numero di canali - la segmentazione diventa spesso meno fine, e a volte i pixel quadrati vengono sostituiti da striscioline di silicio più grandi. CMS ha un tracciatore i cui strati, con suddivisioni più o meno fini, sono tutti basati sul silicio.
Le particelle cariche prodotte nelle collisioni ionizzano il gas, ovvero strappano alcuni elettroni dai suoi atomi, lasciandosi dietro una scia di cariche elettriche. Questi elettroni, sotto l'azione del campo elettrico trasversale (quello indicato con una E e una frecciatina bianca nella figura), migrano verso i bordi del cilindro, sui cui "tappi" sono piazzati dei sensori (nella figura, le readout chamber - camere di lettura - montate sulla struttura verde) che ne percepiscono l'arrivo. In base alla misura di posizione fatta dai sensori sui "tappi" del cilindro è possibile ricostruire la projezione trasversale delle tracce; misurando invece l'istante in cui i sensori si accendono (e conoscendo la velocità di deriva degli elettroni nel gas nel cilindro) si può ricostruire la terza dimensione spaziale delle tracce. Questo tipo di rivelatore è molto più preciso di quelli al silicio, e permette di misurare molte più tracce di quelli basati sulle tegoline:
D'altra parte, è anche più lento: il cilindro resta riempito di cariche dovute alle tracce delle collisioni precedenti, e, nel caso di collisioni a ritmo sostenuto, va incontro a fenomeni di saturazione. Le diverse scelte di ALICE, e di ATLAS e CMS sono dunque dovute ai diversi obiettivi di fisica degli esperimenti: se ad ALICE interessano le collisioni di ioni pesanti, che avvengono ritmi più blandi ma producono moltissime tracce (come potete vedere nella figura lì sopra), ATLAS e CMS puntano a raccogliere dati in collisioni protone-protone, che producono (relativamente) meno tracce, ma molto più frequentemente.
E con questo, abbiamo terminato la panoramica sui tracciatori centrali. Adesso dovreste sapere come si fa a risalire a carica e momento delle particelle cariche. Ma non tutte le particelle sono cariche (e dunque ci servirà anche un modo per misurare posizione ed energia delle particelle neutre, come il fotone o il neutrone), e non in tutte le condizioni i tracciatori centrali sono sufficientemente precisi (se il momento di una particela carica è troppo grande, la curvatura della sua traccia nel campo magnetico centrale sarà minima, e la misura del momento da parte del tracciatore molto imprecisa). Per ovviare a questi due problemi, i tracciatori sono seguiti dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite una strategia infallibile: il loro completo assorbimento! Ne parliamo nelle prossime puntate.
Rivelatori di particelle a LHC. Quinta parte: sciami di elettroni e fotoni.
Dicevamo nella puntata precedente che non tutte le particelle sono cariche, e che ci servirà dunque anche un sistema per misurare energia e posizione di particelle neutre, come il fotone o il neutrone. Inoltre, i tracciatori centrali potrebbero non essere sempre la soluzione migliore per misurare l'energia delle particelle cariche: se la velocità di queste particela è troppo grande, la curvatura della loro traccia nel campo magnetico centrale sarà infatti minima (di fatto, le tracce appariranno praticamente diritte), e la misura del momento da parte del tracciatore non molto precisa. Per ottener una precisione migliore, dovreste estendere la copertura del tracciatore fino a dimensioni poco pratiche, aumentando a dismisura il numero degli strati, e accollandovi un costo spropositato. La soluzione scelta invece da praticamente tutti gli esperimenti di fisica delle particelle delle alte energie, è quella di far seguire i tracciatori dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite il loro completo assorbimento. L'idea è semplice: se riesco a fermare una particella, e a farle rilasciare tutta la sua energia nel rivelatore mentre ne interrompo la corsa, posso misurare questa energia con grande precisione.
Come si ferma una particella? In generale, facendola passare attraverso un materiale sufficientemente denso, all'interno del quale la particella interagirà perdendo tutta la sua energia iniziale. Per capirci meglio, prenderemo ad esempio un fotone (che etichetteremo con la lettera \gamma). Se viaggia nel vuoto, un fotone resta sostanzialmente uguale a se stesso, di fatto senza perdere energia e senza alterare le sue caratteristiche. Se invece attraversa un materiale, un fotone di sufficientemente alta energia (e per sufficientemente alta energia intendo con energia superiore a qualche decina di MeV) interagirà principalmente producendo una coppia elettrone-antielettrone, così:
Ecco dunque lo scenario che si prospetta per un fotone che entra in un materiale caratterizzato da una certa lunghezza di radiazione X_0: dopo aver percorso un distanza X_0 si convertirà in una coppia elettrone positrone; i due figliuoli proseguiranno per un'altra X_0 prima di emettere un fotone ciascuno, che li accompagnerà nel viaggio per un'altra X_0, prima di convertirsi a sua volta in un'altra coppia elettrone-positrone, mentre i primi elettrone e positrone emetteranno un altro fotone. La cascata di particelle generata si chiama sciame elettromagnetico, ve ne faccio uno schema semplificato:
Se prendiamo per buona l'idea che ogni coppia elettrone-positrone si divida a metà l'energia del fotone madre, e che ogni fotone emesso da un elettrone o un positrone gli porti via metà dell'energia, non è difficile calcolare quale sarebbe il numero e l'energia delle particelle nello sciame dopo un certo quantità di lunghezze di radiazione attraversate. Si tratta di uno scenario super semplificato, ma vi da un'idea di quello che succede. Nella realtà le cose sono più caotiche, nonché tridimensionali:
Quando si ferma il processo? A un certo punto i fotoni avranno un'energia troppo bassa per produrre nuove coppie elettrone-positrone (se l'energia del fotone è inferiore alla somma delle masse di un elettrone e un positrone, circa 1 MeV, la produzione di coppie è impossibile), e inizieranno a interagire con la materia con processi diversi, che portano rapidissimamente al loro assorbimento da parte del materiale. Analogamente, appena la loro energia scende sotto qualche Mev, elettroni e positroni non emetteranno più fotoni, ma anch'essi inizieranno a interagire con il materiale con processi di collisione che portano al loro assorbimento totale altrettanto rapidamente. Se riuscite a costruire un rivelatore capace di sfruttare questi processi di bassa energia, e di misurare l'energia delle particelle che popolano lo sciamo elettromagnetico subito prima del completo assorbimento, avete costruito un calorimetro elettromagnetico. La somma delle (piccole) energie di queste (tante) particelle vi darà una misura affidabile dell'energia (elevata) del fotone iniziale. Come questo possa essere fatto nella pratica, e con quali tecnologie, ve lo racconto la prossima volta, prendendo ad esempio le scelte di ATLAS e CMS.
Notate che questo rivelatore non misura solo l'energia dei fotoni: funziona benissimo anche per misurare l'energia degli elettroni. Se infatti a colpire il vostro rivelatore è un elettrone, otterrete lo stesso uno sciame elettromagnetico, con lo stesso principio:
continua...
Lui pubblicherà 16 event display e 16 descrizioni degli eventi corrispondenti (per esempio, "un bosone Z che decade in due elettroni") lo scopo è associare gli event display con le descrizioni degli eventi corrispondenti però prima bisogna capire come individuare le particelle, qui la serie completa ( http://www.borborigmi.org/2012/07/20/rivelatori-di-particelle-a-lhc-la-serie-completa/ )
riassunti:
Rivelatori di particelle a LHC. Prima parte: cosa riveliamo?
Non si rilevano le particelle di cui si è alla ricerca ma i residui dei loro decadimenti. Le particelle che si cercano al CERN sono instabili e decadono subito, quello che si cerca sono i prodotti di questi decadimenti. (che sono particelle stabili, stabili vuol dire che decadono ma sono comunque rilevabili)
La principale sfida di ogni ricerca è quella di identificare una certa particelle dalle sole tracce che ha lasciato nel decadere, e nel distinguere queste tracce caratteristiche da tutti gli altri fenomeni che ne producono di simili, o addirittura si uguali. Esempio: un bosone Z decade in coppie leptone-antileptone (ovvero: elettrone-positrone, muone-antimuone, tau-antitau, e tutte le variazioni possibili di neutrino-antineutrino); se voglio dunque identificare la produzione di un bosone Z in una collisione, andrò per esempio a cercare le tracce di un elettrone e un antielettrone che abbiano caratteristiche compatibili con la provenienza dal decadimento di una Z.
Le particelle "stabili" prodotte dai decadimenti delle particelle di cui andiamo alla ricerca sono ben poche. Ogni tipo di particella "esotica" che si vuole cercare prima o poi decade in: elettroni, fotoni, muoni, un qualche tipo di adrone (pioni, protoni, neutroni), neutrini e le loro antiparticelle. La maggior parte di queste particelle sono rilevabili dagli strumenti che riescono a misurare le proprietà ( posizione, carica, energia, momento )
Rivelatori di particelle a LHC. Seconda parte: diversi modi di interazione
Come si identificano i prodotti di decadimento? (che sono 5 famiglie di particelle, elettroni, fotoni, muoni, adroni vari e neutrini) Per farlo bisogna vedere come interagiscono con la materia (e i rilevatori possono vedere ciò). La firma caratteristica di ognuna di queste particelle non è unica, ma è data dalla combinazione di pochi modi caratteristici di interazione, non più di quattro o cinque. Eccoli qui: 1)Una particella può avere carica elettrica, positiva o negativa (per esempio: elettroni, muoni, protoni, pioni carichi), oppure essere elettricamente neutra (per esempio: fotoni, neutroni, pioni neutri, neutrini). 2) Una particella può interagire principalmente in modo elettromagnetico (elettroni, fotoni, pioni neutri che decadono praticamente sempre in due fotoni), oppure adronico (cosa significa lo spiego dopo) 3) Una particelle può interagire con la materia più o meno normalmente, oppure molto poco (muoni), oppure praticamente per niente (neutrini). Nessuna particella ha una firma univoca. Un elettrone è carico, e interagisce principalmente in modo elettromagnetico. Il fotone interagisce principalmente in modo elettromagnetico, ma è elettricamente neutro. Il neutrino è neutro come il fotone, ma non interagisce quasi per niente. Il muone interagisce molto poco (ma decisamente molto di più di un neutrino!), ed è elettricamente carico. Come è carico il pione (carico, ce n'è anche uno neutro), che però interagisce principalmente in modo adronico. Solo grazie alla combinazione di diverse firme lasciate in sezioni diverse del rivelatore possiamo azzardare l'identificazione di una particella, e una misura precisa delle sue caratteristiche.
Rivelatori di particelle a LHC. Primo intermezzo: cilindri dove non si possono costruire sfere.
Prima di lanciarci nei dettagli della rilevazione delle particelle, un paio di brevi considerazioni di carattere geometrico, necessarie per comprendere alcuni degli schemi che vi mostrerò nei prossimi articoli.
Per un esperimento a un collisionatore come LHC, idealmente ai fisici piacerebbe costruire dei rivelatori sferici o ovali intorno al punto di interazione: le particelle (primarie o secondarie) prodotte nella collisione dei fasci si allontano a raggiera dal punto di interazione come uno spray tridimensionale.
- Spoiler:
- Spoiler:
Si tratta di una sezione di un rivelatore (in questo caso ATLAS) fatta perpendicolarmente alle linee dei fasci. Oppure disegni simili a questo:
Si tratta di una sezione trasversale (in questo caso, sempre di ATLAS), dalla quale dovrebbe essere facile capire che stiamo parlando di un cilindro, opportunamente aperto alle due estremità per far entrale i tubi di fascio e condurli fino al centro del rivelatore.
Che cosa sono e a che cosa servono le varie sezioni colorate, inizieremo a capirlo alla prossima puntata.
Rivelatori di particelle a LHC. Terza parte: unire i puntini lasciati da particelle cariche
Elettroni, muoni, protoni, pioni e tutta un'altra pletora di adroni (e le loro antiparticelle) sono particelle elettricamente cariche. Il fatto che certe particelle abbiano carica elettrica ci permette di fare due cose. Intanto, approfittiamo del fatto che una particella dotata di carica elettrica tende a ionizzare la materia che attraversa: quando una particella carica passa attraverso un materiale, tende più o meno facilmente a scalzare dalle loro placide orbite alcuni degli elettroni degli atomi di questo materiale. Con gli accorgimenti opportuni, questi elettroni scalzati dal passaggio della particella carica possono essere raccolti, e trasformarli in un segnale elettrico da trattare e misurare. Sfruttando questo principio costruiamo dei rivelatori segmentati in tanti piccole piastrelline sensibili, che si "accendano" se attraversate da una particella carica. La forma e la dimensione delle piastrelline sensibili, e la tecnologia su cui si basa il loro "accendersi" al passaggio di una particella carica, possono essere veramente diverse (per esempio: a volte si usano pixel in silicio, proprio come nei sensori della macchine fotografiche digitali; altre volte tubicini con del gas dentro; o altro ancora). Quello che è importante è che possiamo piazzare una serie consecutiva di strati di questo tipo di rivelatori intorno al punto in collisione dei fasci: le particelle cariche prodotte nella collisione attraverseranno questi strati accendendo qualche piastrellina in ogni strato. Con una procedura analoga al gioco di "unisci i puntini" (solo più complessa, perché non ci sono i numerini, e bisogna provare la combinazione più sensata: scriviamo programmi di computer che sono particolarmente efficaci in questo compito) dalle piastrelle accese possiamo risalire a una serie di tracce per ogni collisione. La parte di un rivelatore che si occupa di questa operazione si chiama in gergo tracciatore (tracker).
- Spoiler:
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Rivelatori di particelle a LHC. Quarta parte: solenoidi e tracciatori.
Come sono fatti i rivelatori (e i loro rispettivi campi magnetici) in ATLAS, in CMS, e in ALICE? Cominciamo dai campi magnetici. In tutti i rivelatori di cui parliamo oggi, il campo magnetico usato per curvare le particelle cariche (e misurarne così il momento attraverso la curvatura) è generato da un solenoide. Un solenoide è una bobina di forma cilindrica, formata da spire circolari ravvicinate
- Spoiler:
Veniamo dunque ai tracciatori. La soluzione più diffusa negli esperimenti odierni consiste nel piazzare una serie di rivelatori segmentati in tanti piccole piastrelline sensibili, che si "accendano" se attraversate da una particella carica. La tecnologia più utilizzata è simile a quella dei sensori delle macchine fotografiche digitali: delle superfici di silicio, tagliuzzate in pixel che danno un segnale al passaggio di una particella carica. Siccome segmentare un piastra di silicio in pixel di piccole dimensioni e complesso e costa caro (esattamente come per le macchine fotografiche!), mano a mano che ci si sposta dal punto di interazione, per risparmiare - e complicarsi meno la vita con il numero di canali - la segmentazione diventa spesso meno fine, e a volte i pixel quadrati vengono sostituiti da striscioline di silicio più grandi. CMS ha un tracciatore i cui strati, con suddivisioni più o meno fini, sono tutti basati sul silicio.
- Spoiler:
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Le particelle cariche prodotte nelle collisioni ionizzano il gas, ovvero strappano alcuni elettroni dai suoi atomi, lasciandosi dietro una scia di cariche elettriche. Questi elettroni, sotto l'azione del campo elettrico trasversale (quello indicato con una E e una frecciatina bianca nella figura), migrano verso i bordi del cilindro, sui cui "tappi" sono piazzati dei sensori (nella figura, le readout chamber - camere di lettura - montate sulla struttura verde) che ne percepiscono l'arrivo. In base alla misura di posizione fatta dai sensori sui "tappi" del cilindro è possibile ricostruire la projezione trasversale delle tracce; misurando invece l'istante in cui i sensori si accendono (e conoscendo la velocità di deriva degli elettroni nel gas nel cilindro) si può ricostruire la terza dimensione spaziale delle tracce. Questo tipo di rivelatore è molto più preciso di quelli al silicio, e permette di misurare molte più tracce di quelli basati sulle tegoline:
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D'altra parte, è anche più lento: il cilindro resta riempito di cariche dovute alle tracce delle collisioni precedenti, e, nel caso di collisioni a ritmo sostenuto, va incontro a fenomeni di saturazione. Le diverse scelte di ALICE, e di ATLAS e CMS sono dunque dovute ai diversi obiettivi di fisica degli esperimenti: se ad ALICE interessano le collisioni di ioni pesanti, che avvengono ritmi più blandi ma producono moltissime tracce (come potete vedere nella figura lì sopra), ATLAS e CMS puntano a raccogliere dati in collisioni protone-protone, che producono (relativamente) meno tracce, ma molto più frequentemente.
E con questo, abbiamo terminato la panoramica sui tracciatori centrali. Adesso dovreste sapere come si fa a risalire a carica e momento delle particelle cariche. Ma non tutte le particelle sono cariche (e dunque ci servirà anche un modo per misurare posizione ed energia delle particelle neutre, come il fotone o il neutrone), e non in tutte le condizioni i tracciatori centrali sono sufficientemente precisi (se il momento di una particela carica è troppo grande, la curvatura della sua traccia nel campo magnetico centrale sarà minima, e la misura del momento da parte del tracciatore molto imprecisa). Per ovviare a questi due problemi, i tracciatori sono seguiti dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite una strategia infallibile: il loro completo assorbimento! Ne parliamo nelle prossime puntate.
Rivelatori di particelle a LHC. Quinta parte: sciami di elettroni e fotoni.
Dicevamo nella puntata precedente che non tutte le particelle sono cariche, e che ci servirà dunque anche un sistema per misurare energia e posizione di particelle neutre, come il fotone o il neutrone. Inoltre, i tracciatori centrali potrebbero non essere sempre la soluzione migliore per misurare l'energia delle particelle cariche: se la velocità di queste particela è troppo grande, la curvatura della loro traccia nel campo magnetico centrale sarà infatti minima (di fatto, le tracce appariranno praticamente diritte), e la misura del momento da parte del tracciatore non molto precisa. Per ottener una precisione migliore, dovreste estendere la copertura del tracciatore fino a dimensioni poco pratiche, aumentando a dismisura il numero degli strati, e accollandovi un costo spropositato. La soluzione scelta invece da praticamente tutti gli esperimenti di fisica delle particelle delle alte energie, è quella di far seguire i tracciatori dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite il loro completo assorbimento. L'idea è semplice: se riesco a fermare una particella, e a farle rilasciare tutta la sua energia nel rivelatore mentre ne interrompo la corsa, posso misurare questa energia con grande precisione.
Come si ferma una particella? In generale, facendola passare attraverso un materiale sufficientemente denso, all'interno del quale la particella interagirà perdendo tutta la sua energia iniziale. Per capirci meglio, prenderemo ad esempio un fotone (che etichetteremo con la lettera \gamma). Se viaggia nel vuoto, un fotone resta sostanzialmente uguale a se stesso, di fatto senza perdere energia e senza alterare le sue caratteristiche. Se invece attraversa un materiale, un fotone di sufficientemente alta energia (e per sufficientemente alta energia intendo con energia superiore a qualche decina di MeV) interagirà principalmente producendo una coppia elettrone-antielettrone, così:
- Spoiler:
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Ecco dunque lo scenario che si prospetta per un fotone che entra in un materiale caratterizzato da una certa lunghezza di radiazione X_0: dopo aver percorso un distanza X_0 si convertirà in una coppia elettrone positrone; i due figliuoli proseguiranno per un'altra X_0 prima di emettere un fotone ciascuno, che li accompagnerà nel viaggio per un'altra X_0, prima di convertirsi a sua volta in un'altra coppia elettrone-positrone, mentre i primi elettrone e positrone emetteranno un altro fotone. La cascata di particelle generata si chiama sciame elettromagnetico, ve ne faccio uno schema semplificato:
- Spoiler:
Se prendiamo per buona l'idea che ogni coppia elettrone-positrone si divida a metà l'energia del fotone madre, e che ogni fotone emesso da un elettrone o un positrone gli porti via metà dell'energia, non è difficile calcolare quale sarebbe il numero e l'energia delle particelle nello sciame dopo un certo quantità di lunghezze di radiazione attraversate. Si tratta di uno scenario super semplificato, ma vi da un'idea di quello che succede. Nella realtà le cose sono più caotiche, nonché tridimensionali:
- Spoiler:
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Quando si ferma il processo? A un certo punto i fotoni avranno un'energia troppo bassa per produrre nuove coppie elettrone-positrone (se l'energia del fotone è inferiore alla somma delle masse di un elettrone e un positrone, circa 1 MeV, la produzione di coppie è impossibile), e inizieranno a interagire con la materia con processi diversi, che portano rapidissimamente al loro assorbimento da parte del materiale. Analogamente, appena la loro energia scende sotto qualche Mev, elettroni e positroni non emetteranno più fotoni, ma anch'essi inizieranno a interagire con il materiale con processi di collisione che portano al loro assorbimento totale altrettanto rapidamente. Se riuscite a costruire un rivelatore capace di sfruttare questi processi di bassa energia, e di misurare l'energia delle particelle che popolano lo sciamo elettromagnetico subito prima del completo assorbimento, avete costruito un calorimetro elettromagnetico. La somma delle (piccole) energie di queste (tante) particelle vi darà una misura affidabile dell'energia (elevata) del fotone iniziale. Come questo possa essere fatto nella pratica, e con quali tecnologie, ve lo racconto la prossima volta, prendendo ad esempio le scelte di ATLAS e CMS.
Notate che questo rivelatore non misura solo l'energia dei fotoni: funziona benissimo anche per misurare l'energia degli elettroni. Se infatti a colpire il vostro rivelatore è un elettrone, otterrete lo stesso uno sciame elettromagnetico, con lo stesso principio:
- Spoiler:
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Re: gioco event display LHC
La maglietta ce l'ho già, ma sarà divertente.
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