Atei Italiani
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Messaggio Da teto Mar 24 Lug 2012 - 15:13

il blogger Marco Delmastro ( http://www.borborigmi.org/ ) ha proposto un gioco che consiste nell'individuare la presenza di particelle in un "event display".
Lui pubblicherà 16 event display e 16 descrizioni degli eventi corrispondenti (per esempio, "un bosone Z che decade in due elettroni") lo scopo è associare gli event display con le descrizioni degli eventi corrispondenti però prima bisogna capire come individuare le particelle, qui la serie completa ( http://www.borborigmi.org/2012/07/20/rivelatori-di-particelle-a-lhc-la-serie-completa/ )

riassunti:

Rivelatori di particelle a LHC. Prima parte: cosa riveliamo?
Non si rilevano le particelle di cui si è alla ricerca ma i residui dei loro decadimenti. Le particelle che si cercano al CERN sono instabili e decadono subito, quello che si cerca sono i prodotti di questi decadimenti. (che sono particelle stabili, stabili vuol dire che decadono ma sono comunque rilevabili)
La principale sfida di ogni ricerca è quella di identificare una certa particelle dalle sole tracce che ha lasciato nel decadere, e nel distinguere queste tracce caratteristiche da tutti gli altri fenomeni che ne producono di simili, o addirittura si uguali. Esempio: un bosone Z decade in coppie leptone-antileptone (ovvero: elettrone-positrone, muone-antimuone, tau-antitau, e tutte le variazioni possibili di neutrino-antineutrino); se voglio dunque identificare la produzione di un bosone Z in una collisione, andrò per esempio a cercare le tracce di un elettrone e un antielettrone che abbiano caratteristiche compatibili con la provenienza dal decadimento di una Z.
Le particelle "stabili" prodotte dai decadimenti delle particelle di cui andiamo alla ricerca sono ben poche. Ogni tipo di particella "esotica" che si vuole cercare prima o poi decade in: elettroni, fotoni, muoni, un qualche tipo di adrone (pioni, protoni, neutroni), neutrini e le loro antiparticelle. La maggior parte di queste particelle sono rilevabili dagli strumenti che riescono a misurare le proprietà ( posizione, carica, energia, momento )

Rivelatori di particelle a LHC. Seconda parte: diversi modi di interazione
Come si identificano i prodotti di decadimento? (che sono 5 famiglie di particelle, elettroni, fotoni, muoni, adroni vari e neutrini) Per farlo bisogna vedere come interagiscono con la materia (e i rilevatori possono vedere ciò). La firma caratteristica di ognuna di queste particelle non è unica, ma è data dalla combinazione di pochi modi caratteristici di interazione, non più di quattro o cinque. Eccoli qui: 1)Una particella può avere carica elettrica, positiva o negativa (per esempio: elettroni, muoni, protoni, pioni carichi), oppure essere elettricamente neutra (per esempio: fotoni, neutroni, pioni neutri, neutrini). 2) Una particella può interagire principalmente in modo elettromagnetico (elettroni, fotoni, pioni neutri che decadono praticamente sempre in due fotoni), oppure adronico (cosa significa lo spiego dopo) 3) Una particelle può interagire con la materia più o meno normalmente, oppure molto poco (muoni), oppure praticamente per niente (neutrini). Nessuna particella ha una firma univoca. Un elettrone è carico, e interagisce principalmente in modo elettromagnetico. Il fotone interagisce principalmente in modo elettromagnetico, ma è elettricamente neutro. Il neutrino è neutro come il fotone, ma non interagisce quasi per niente. Il muone interagisce molto poco (ma decisamente molto di più di un neutrino!), ed è elettricamente carico. Come è carico il pione (carico, ce n'è anche uno neutro), che però interagisce principalmente in modo adronico. Solo grazie alla combinazione di diverse firme lasciate in sezioni diverse del rivelatore possiamo azzardare l'identificazione di una particella, e una misura precisa delle sue caratteristiche.

Rivelatori di particelle a LHC. Primo intermezzo: cilindri dove non si possono costruire sfere.
Prima di lanciarci nei dettagli della rilevazione delle particelle, un paio di brevi considerazioni di carattere geometrico, necessarie per comprendere alcuni degli schemi che vi mostrerò nei prossimi articoli.
Per un esperimento a un collisionatore come LHC, idealmente ai fisici piacerebbe costruire dei rivelatori sferici o ovali intorno al punto di interazione: le particelle (primarie o secondarie) prodotte nella collisione dei fasci si allontano a raggiera dal punto di interazione come uno spray tridimensionale.
Spoiler:
Costruire un rivelatore sferico o ovale non è però affatto banale dal punto di vista tecnologico. Quello che si fa dunque è costruire dei rivelatori grosso modo cilindrici: la simmetria circolare è rispettata almeno in una direzione (quella perpendicolare alle linee del fascio), mentre nell'altra direzione i rivelatori seguono nella loro segmentazione le linee a raggiera che originano dal punto di interazione, pur essendo sostanzialmente rettangolari. Nei prossimi articoli vedrete dunque spesso dei disegni simili a questo:
Spoiler:


Rivelatori di particelle a LHC. Terza parte: unire i puntini lasciati da particelle cariche
Elettroni, muoni, protoni, pioni e tutta un'altra pletora di adroni (e le loro antiparticelle) sono particelle elettricamente cariche. Il fatto che certe particelle abbiano carica elettrica ci permette di fare due cose. Intanto, approfittiamo del fatto che una particella dotata di carica elettrica tende a ionizzare la materia che attraversa: quando una particella carica passa attraverso un materiale, tende più o meno facilmente a scalzare dalle loro placide orbite alcuni degli elettroni degli atomi di questo materiale. Con gli accorgimenti opportuni, questi elettroni scalzati dal passaggio della particella carica possono essere raccolti, e trasformarli in un segnale elettrico da trattare e misurare. Sfruttando questo principio costruiamo dei rivelatori segmentati in tanti piccole piastrelline sensibili, che si "accendano" se attraversate da una particella carica. La forma e la dimensione delle piastrelline sensibili, e la tecnologia su cui si basa il loro "accendersi" al passaggio di una particella carica, possono essere veramente diverse (per esempio: a volte si usano pixel in silicio, proprio come nei sensori della macchine fotografiche digitali; altre volte tubicini con del gas dentro; o altro ancora). Quello che è importante è che possiamo piazzare una serie consecutiva di strati di questo tipo di rivelatori intorno al punto in collisione dei fasci: le particelle cariche prodotte nella collisione attraverseranno questi strati accendendo qualche piastrellina in ogni strato. Con una procedura analoga al gioco di "unisci i puntini" (solo più complessa, perché non ci sono i numerini, e bisogna provare la combinazione più sensata: scriviamo programmi di computer che sono particolarmente efficaci in questo compito) dalle piastrelle accese possiamo risalire a una serie di tracce per ogni collisione. La parte di un rivelatore che si occupa di questa operazione si chiama in gergo tracciatore (tracker).
Spoiler:
La misura della traccia associata al passaggio di una particella carica è una cosa buona, ma sa sola non ci dice molto. Si trattava di una particella con carica positiva o negativa? Qual era la sua velocità (o meglio, il suo momento)? Queste informazioni aggiuntive si possono ottenere sfruttando la ben nota legge di Lorentz, che magari ricordate dalle scuole superiori: un particella carica che si muova in un campo magnetico subisce una forza perpendicolare alla direzione del moto che la spinge a curvare. Il verso della curvatura dipende dalla carica della particella (dunque opposto per cariche opposte), l'entità della curvatura dalla velocità della particella. Se immergiamo dunque il tracciatore in un campo magnetico, le tracce della particelle cariche non saranno più diritte ma curve, e misurandone il senso e il raggio di curvatura possiamo risalire al segno della carica (positiva o negativa) e alla velocità della particella. Per questo un tracciatore associato a un campo magnetico viene chiamato anche spettrometro (nel senso che misura lo spettro delle energie delle diverse particelle che vede). Nella figura qui sotto le linee del campo magnetico (che di solito viene indicato con la lettera B) sono perpendicolari allo schermo, dunque, se considerate un rivelatore cilindrico, parallele alla linee dei fasci.
Spoiler:
Ogni esperimento di fisica delle particelle agli acceleratori ha solitamente due spettrometri. Un primo tracciatore centrale, messo molto vicino alla linea del fascio, per misurare tutte le tracce che emergono dal punto di collisione, e magari anche la presenza di tracce che non provengono dall'interazione principale (a LHC, lo scontro tra i due protoni), ma dal decadimento secondario di una particella che che è sopravvissuta abbastanza da allontanarsi dal punto di collisione. E un secondo tracciatore, messo come guscio esterno del rivelatore, dedicato a misurare le tracce dei muoni, i quali, interagendo molto poco, normalmente attraversano tutto il resto del rivelatore senza fermarsi. Normalmente questo si chiama in gergo spettrometro per muoni.

Rivelatori di particelle a LHC. Quarta parte: solenoidi e tracciatori.
Come sono fatti i rivelatori (e i loro rispettivi campi magnetici) in ATLAS, in CMS, e in ALICE? Cominciamo dai campi magnetici. In tutti i rivelatori di cui parliamo oggi, il campo magnetico usato per curvare le particelle cariche (e misurarne così il momento attraverso la curvatura) è generato da un solenoide. Un solenoide è una bobina di forma cilindrica, formata da spire circolari ravvicinate
Spoiler:
Le linee del campo magnetico generato sono parallele alla direzione dei fasci, e i tracciatori degli esperimenti vi sono immersi. ATLAS ha un solenoide che genera un campo di 2 Tesla, ospitato nel criostato che contiene il calorimetro elettromagnetico, il rivelatore che solitamente occupa lo strato esterno al tracciatore, e di cui parleremo nelle prossime puntate. Le linee del campo del solenoide di ATLAS si chiudono subito dietro alle spire in cui fluisce la corrente, e dunque prima del calorimetro. Questo permette di evitare che il calorimetro stesso sia immerso nel campo magnetico (bene), ma aumenta la quantità di materiale passivo (nel senso che viene attraversata dalle particelle, ma che non misura nulla) che lo separa dal tracciatore (male, e vedremo perché nelle prossime puntate). Il solenoide di CMS genera invece un campo di 4 Tesla, ed è piazzato dopo il calorimetro elettromagnetico.Il calorimentro di CMS sente dunque il campo magnetico (male, e vedremo perché tra due puntate), ma in compenso ha meno materiale passivo che lo separa dal tracciatore (bene). Grazie alla sua posizione, le linee di campo del solenoide di CMS si richiudono direttamete sullo spettromentro a muoni, cosa che permette a CMS di avere un solo campo magnetico per due dei suoi sotto-rivelatori, e in sostanza di essere più piccolo ("compact"!). ATLAS ha invece un secondo campo magnetico per lo spettrometro a muoni, di cui parleremo in seguito. ALICE usa un grande solenoide che circonda tutto il rivelatore (dunque non solo il tracciatore, ma anche gli altri sottorivelatori), solenoide riciclato da L3 - uno dei rivelatori di LEP - che genera un campo di 0.5 Tesla.
Veniamo dunque ai tracciatori. La soluzione più diffusa negli esperimenti odierni consiste nel piazzare una serie di rivelatori segmentati in tanti piccole piastrelline sensibili, che si "accendano" se attraversate da una particella carica. La tecnologia più utilizzata è simile a quella dei sensori delle macchine fotografiche digitali: delle superfici di silicio, tagliuzzate in pixel che danno un segnale al passaggio di una particella carica. Siccome segmentare un piastra di silicio in pixel di piccole dimensioni e complesso e costa caro (esattamente come per le macchine fotografiche!), mano a mano che ci si sposta dal punto di interazione, per risparmiare - e complicarsi meno la vita con il numero di canali - la segmentazione diventa spesso meno fine, e a volte i pixel quadrati vengono sostituiti da striscioline di silicio più grandi. CMS ha un tracciatore i cui strati, con suddivisioni più o meno fini, sono tutti basati sul silicio.
Spoiler:
ATLAS ha fatto una scelta diversa: se le prime due serie di strati del tracciatore (pixel e SCT, SiliCon Tracker, un rivelatore le cui tegoline sono delle piccole strisce) sono anch'esse basate sul silicio, il segmento più esterno è invece fomato da una serie di tubicini riempiti di gas, delle specie di tubi al neon al contrario, che producono un segnale elettrico al passaggio di una particella (questo pezzo di tracciatore si chiama TRT, Transition Radiation Tracker). A differenza dei rivelatori al silicio, che danno un'informazione solo digitale (acceso o spento, particella passata oppure no), questi tubi aggiungono un'informazione sul tipo di particella che è passata, grazie alla diversa modalità di interazione con il gas nei tubi. Questo permette di discriminare, per esempio, un elettrone da un pione carico, a prescindere dalla curvatura della traccia misurata.
Spoiler:
ALICE invece non misura le tracce delle particelle cariche prodotte nelle collisioni con una serie di tegoline sensibili come fanno ATLAS e CMS, ma con un rivelatore chiamato Time Projection Chamber, ovvero Camera a Proiezione Temporale. Si tratta di una camera cilindrica riempira di un gas, e soggetta a un campo elettrico lungo la direzioni dei fasci.
Spoiler:

Le particelle cariche prodotte nelle collisioni ionizzano il gas, ovvero strappano alcuni elettroni dai suoi atomi, lasciandosi dietro una scia di cariche elettriche. Questi elettroni, sotto l'azione del campo elettrico trasversale (quello indicato con una E e una frecciatina bianca nella figura), migrano verso i bordi del cilindro, sui cui "tappi" sono piazzati dei sensori (nella figura, le readout chamber - camere di lettura - montate sulla struttura verde) che ne percepiscono l'arrivo. In base alla misura di posizione fatta dai sensori sui "tappi" del cilindro è possibile ricostruire la projezione trasversale delle tracce; misurando invece l'istante in cui i sensori si accendono (e conoscendo la velocità di deriva degli elettroni nel gas nel cilindro) si può ricostruire la terza dimensione spaziale delle tracce. Questo tipo di rivelatore è molto più preciso di quelli al silicio, e permette di misurare molte più tracce di quelli basati sulle tegoline:

Spoiler:

D'altra parte, è anche più lento: il cilindro resta riempito di cariche dovute alle tracce delle collisioni precedenti, e, nel caso di collisioni a ritmo sostenuto, va incontro a fenomeni di saturazione. Le diverse scelte di ALICE, e di ATLAS e CMS sono dunque dovute ai diversi obiettivi di fisica degli esperimenti: se ad ALICE interessano le collisioni di ioni pesanti, che avvengono ritmi più blandi ma producono moltissime tracce (come potete vedere nella figura lì sopra), ATLAS e CMS puntano a raccogliere dati in collisioni protone-protone, che producono (relativamente) meno tracce, ma molto più frequentemente.
E con questo, abbiamo terminato la panoramica sui tracciatori centrali. Adesso dovreste sapere come si fa a risalire a carica e momento delle particelle cariche. Ma non tutte le particelle sono cariche (e dunque ci servirà anche un modo per misurare posizione ed energia delle particelle neutre, come il fotone o il neutrone), e non in tutte le condizioni i tracciatori centrali sono sufficientemente precisi (se il momento di una particela carica è troppo grande, la curvatura della sua traccia nel campo magnetico centrale sarà minima, e la misura del momento da parte del tracciatore molto imprecisa). Per ovviare a questi due problemi, i tracciatori sono seguiti dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite una strategia infallibile: il loro completo assorbimento! Ne parliamo nelle prossime puntate.


Rivelatori di particelle a LHC. Quinta parte: sciami di elettroni e fotoni.
Dicevamo nella puntata precedente che non tutte le particelle sono cariche, e che ci servirà dunque anche un sistema per misurare energia e posizione di particelle neutre, come il fotone o il neutrone. Inoltre, i tracciatori centrali potrebbero non essere sempre la soluzione migliore per misurare l'energia delle particelle cariche: se la velocità di queste particela è troppo grande, la curvatura della loro traccia nel campo magnetico centrale sarà infatti minima (di fatto, le tracce appariranno praticamente diritte), e la misura del momento da parte del tracciatore non molto precisa. Per ottener una precisione migliore, dovreste estendere la copertura del tracciatore fino a dimensioni poco pratiche, aumentando a dismisura il numero degli strati, e accollandovi un costo spropositato. La soluzione scelta invece da praticamente tutti gli esperimenti di fisica delle particelle delle alte energie, è quella di far seguire i tracciatori dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite il loro completo assorbimento. L'idea è semplice: se riesco a fermare una particella, e a farle rilasciare tutta la sua energia nel rivelatore mentre ne interrompo la corsa, posso misurare questa energia con grande precisione.
Come si ferma una particella? In generale, facendola passare attraverso un materiale sufficientemente denso, all'interno del quale la particella interagirà perdendo tutta la sua energia iniziale. Per capirci meglio, prenderemo ad esempio un fotone (che etichetteremo con la lettera \gamma). Se viaggia nel vuoto, un fotone resta sostanzialmente uguale a se stesso, di fatto senza perdere energia e senza alterare le sue caratteristiche. Se invece attraversa un materiale, un fotone di sufficientemente alta energia (e per sufficientemente alta energia intendo con energia superiore a qualche decina di MeV) interagirà principalmente producendo una coppia elettrone-antielettrone, così:
Spoiler:
L'elettrone e il positrone prodotti avranno un'energia inferiore a quella iniziale del fotone, visto che la somma delle loro energie (massa inclusa) sarà esattamente uguale all'energia del fotone che li ha prodotti. Per comodità, anche se non è vero che in una frazione dei casi, diciamo che se la divideranno a metà tra loro. Che cosa fanno a loro volta l'elettrone o il positrone prodotti dal fotone nel materiale? A quelle energie, viaggeranno all'interno del materiale per una certa distanza, per poi emettere un fotone, così (vi faccio l'esempio dell'elettrone, per il positrone è lo stesso):
Spoiler:
Dopo aver emesso un fotone, la loro energia sarà inferiore a quelle che avevano appena dopo essere stati prodotti, perché una parte se la sarà presa il fotone. Anche qui, per semplificare molto, diciamo che il fotone si porta via metà dell'energia iniziale dell'elettrone o del positrone. Che cosa succede agli elettroni e positroni rimarsi, ed ai fotoni emessi? I fotoni viaggeranno a loro volta per un po', e, se hanno energia a sufficienza (e torneremo su questo aspetto tra un attimo), produrranno una nuova coppia elettrone-positrone. In maniera analoga, gli elettroni ed i positroni viaggeranno ancora un po' all'interno del materiale, per poi emettere nuovamente un fotone. Questi processi di emissione e di creazione di coppie sono governati da leggi statistiche, e non avvengono sempre dopo la stessa distanza. È possibile però definite una variabile, chiamata in gergo lunghezza di radiazione, che ha nella realtà una definizione complicata, ma che possiamo immaginare come la misura di quanto un fotone possa viaggiare all'interno di un materiale prima che ci sia una probabilità elevata di convertirsi in una coppia elettrone-positrone (quanto elevata non ve lo dico, facciamo finta che sia 100%), e di quanto un elettrone possa viaggiare prima di perdere una certa quantità di energia per emissione di fotoni (quantità che faremo finta sia il 50%). Questa distanza dipende alla proprietà del materiale attraversato: vi basti sapere che, più denso il materiale, più corta sarà la lunghezza di radiazione.
Ecco dunque lo scenario che si prospetta per un fotone che entra in un materiale caratterizzato da una certa lunghezza di radiazione X_0: dopo aver percorso un distanza X_0 si convertirà in una coppia elettrone positrone; i due figliuoli proseguiranno per un'altra X_0 prima di emettere un fotone ciascuno, che li accompagnerà nel viaggio per un'altra X_0, prima di convertirsi a sua volta in un'altra coppia elettrone-positrone, mentre i primi elettrone e positrone emetteranno un altro fotone. La cascata di particelle generata si chiama sciame elettromagnetico, ve ne faccio uno schema semplificato:
Spoiler:

Se prendiamo per buona l'idea che ogni coppia elettrone-positrone si divida a metà l'energia del fotone madre, e che ogni fotone emesso da un elettrone o un positrone gli porti via metà dell'energia, non è difficile calcolare quale sarebbe il numero e l'energia delle particelle nello sciame dopo un certo quantità di lunghezze di radiazione attraversate. Si tratta di uno scenario super semplificato, ma vi da un'idea di quello che succede. Nella realtà le cose sono più caotiche, nonché tridimensionali:
Spoiler:
E naturalmente diventano anche più complesse se immergete il vostro calorimetro in un campo magnetico, perché elettroni e positroni nello sciame tenderanno curvare, allargando la dimensione laterale dello sciame:
Spoiler:


Quando si ferma il processo? A un certo punto i fotoni avranno un'energia troppo bassa per produrre nuove coppie elettrone-positrone (se l'energia del fotone è inferiore alla somma delle masse di un elettrone e un positrone, circa 1 MeV, la produzione di coppie è impossibile), e inizieranno a interagire con la materia con processi diversi, che portano rapidissimamente al loro assorbimento da parte del materiale. Analogamente, appena la loro energia scende sotto qualche Mev, elettroni e positroni non emetteranno più fotoni, ma anch'essi inizieranno a interagire con il materiale con processi di collisione che portano al loro assorbimento totale altrettanto rapidamente. Se riuscite a costruire un rivelatore capace di sfruttare questi processi di bassa energia, e di misurare l'energia delle particelle che popolano lo sciamo elettromagnetico subito prima del completo assorbimento, avete costruito un calorimetro elettromagnetico. La somma delle (piccole) energie di queste (tante) particelle vi darà una misura affidabile dell'energia (elevata) del fotone iniziale. Come questo possa essere fatto nella pratica, e con quali tecnologie, ve lo racconto la prossima volta, prendendo ad esempio le scelte di ATLAS e CMS.
Notate che questo rivelatore non misura solo l'energia dei fotoni: funziona benissimo anche per misurare l'energia degli elettroni. Se infatti a colpire il vostro rivelatore è un elettrone, otterrete lo stesso uno sciame elettromagnetico, con lo stesso principio:
Spoiler:
Dal punto di vista di un calorimetro elettromagnetico, fotoni ed elettroni si manifestano nello stesso modo: come fare dunque a distinguerli? In questo caso, dovete mettere insieme le informazioni raccolte dal tracciatore centrale: un elettrone, essendo carico, lascia una traccia, mentre un fotone, essendo neutro, no. Un deposito di energia nel calorimetro elettromagnetico senza nessuna traccia associata sarà dunque con tutta probabilità un fotone, se invece c'è una traccia che gli corrisponde, sarà con buona probabilità un elettrone. Più o meno così (e tenete conto che la linea tratteggiata verde serve solo a farvi vedere dove ha viaggiato il fotone, ma il rivelatore non è in grado di evidenziarla):
Spoiler:
E i protoni? I pioni? I neutroni? Per loro vi servirà un calorimetro dedicato, basato su principi simili, perché in generale il materiale che è sufficiente per fermare elettroni e fotoni viene attraversato senza troppi problemi (e senza grandi depositi di energia) dagli adroni. Ne parliamo in una delle prossime puntate.

continua...
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Messaggio Da Steerpike Mar 24 Lug 2012 - 17:50

La maglietta ce l'ho già, ma sarà divertente. gioco event display LHC 315697

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