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la filosofia come fondamento della comprensione del mondo.

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Messaggio Da Comune mortale Mer 18 Feb 2009 - 11:47






Certo il filosofo Severino ( che stimo immensamente ) parla di comprensione autentica da parte della filosofia. Nel senso che è su come la filosofia da sempre ha concepito il senso delle cose, degli òn per i greci, degli essenti, ( l'albero, la casa, le persone, i popoli, le galassie ecc...) che l'occidente e il mondo ( la sua arte, la sua scienza, la sua tecnologia, la sua concezione della fede, le sue religioni ) è cresciuto e pasciuto. Questo detto in soldoni. Da questo punto di vista ( faccio fatica a chiamarlo cosi ) dio è cio che la filosofia anticamente ha pensato come episteme. Episteme ( stème stare, lo stare, lo stante, e epi sopra, su.) è cio che non puo venir scosso dal divenire delle cose e dei popoli e delle persone. Il pensiero poi dira di dio che è cio che si eleva sulle cose e sulla realtà diveninte. Lo dira conformemente a quella struttura originaria del pensare portata alla luce dalla filosofia greca. Il pensiero epistemico nel senso radicale dira di dio che è immutabile e eterno. Il cristianesimo poi grazie all'incontro con il senso greco delle cose diventà cattolico: in fondo parla con categorie filosofiche greche.
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Messaggio Da lordtom24 Mer 18 Feb 2009 - 11:54

Comune mortale ha scritto:




Certo il filosofo Severino ( che stimo immensamente ) parla di comprensione autentica da parte della filosofia. Nel senso che è su come la filosofia da sempre ha concepito il senso delle cose, degli òn per i greci, degli essenti, ( l'albero, la casa, le persone, i popoli, le galassie ecc...) che l'occidente e il mondo ( la sua arte, la sua scienza, la sua tecnologia, la sua concezione della fede, le sue religioni ) è cresciuto e pasciuto. Questo detto in soldoni. Da questo punto di vista ( faccio fatica a chiamarlo cosi ) dio è cio che la filosofia anticamente ha pensato come episteme. Episteme ( stème stare, lo stare, lo stante, e epi sopra, su.) è cio che non puo venir scosso dal divenire delle cose e dei popoli e delle persone. Il pensiero poi dira di dio che è cio che si eleva sulle cose e sulla realtà diveninte. Lo dira conformemente a quella struttura originaria del pensare portata alla luce dalla filosofia greca. Il pensiero epistemico nel senso radicale dira di dio che è immutabile e eterno. Il cristianesimo poi grazie all'incontro con il senso greco delle cose diventà cattolico: in fondo parla con categorie filosofiche greche.

Ciao Comune mortale..
Sono d'accordo, assolutamente d'accordo questa volta.

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Messaggio Da ros79 Mer 18 Feb 2009 - 12:33

ovviamente mi trovo totalemente d'accordo con Severino.

l'essere umano per poter continuare il suo ruolo nel teatro-mondo da lui stesso costruito ha bisogno di fede.la fede nel credere di aver istituito qualcosa che sia incontrovertibile, pur sapendo che non potrà esserlo, ma nel momento in cui ho fede tralascio quel dato e continuo a fare la mia vita.
poi è tutta una questione interpretativa di quella fede.

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Messaggio Da Comune mortale Mer 18 Feb 2009 - 16:08

Ros quando diciamo che si ha fede, diciamo e ammettiamo la controvertibilità ( la non assolutezza ) di quello che si dice. Il credente che ha fede crede invece il contrario. E' convinto che attraverso la fede ( dal momento che dio è una verita non di ragione ) si è certi che dio esista. Invece deve dire che è proprio in virtu della fede che dio si palesa per qualcosa di dubitabile e incerto. Se dio fosse di per sè autoevidente sarebbe daccapo una verità di ragione ( la si intrpreterebbe in questo modo ) e allora non servirebbe piu la fede per credere in dio. E allora dio sarebbe oggetto della scienza. E' perchè il credente sa che dio è una semplice opinione che ricorre alla fede per trasformare. Per trasformare una semplice opinione o punto di vista in qualcosa di assoluto e certo. Severino chiama questo il far divenir altro le cose. E' certamente trasformare una opinione in qualcosa di certo e vero è essenzialmente un far divenir altro qualcosa. Quindi la fede come una sorta di super-volontà. Teniamo fermo questo punto e andiamo oltre.


Questa super-volonta che vuole trasformare le cose sta alla radice anche del pensiero per cosi dire scientifico-razionale. Non ne è immune. Si prenda una cosa come : " 1+1= 2" . Di sta cosa non si puo dire che è qualcosa di autoevidente. O meglio lo è all'interno di una radicale volontà interpretante. Una volonta che attribuisce a quel segno "1" un certo e determinato significato e senso che di per sè non è evidente. Non è autoevidente che il segno " 1" significhi una certa e determinata cosa. Quindi la fede come volonta trasformante è il tratto comune ed originario all'interno del quale si inscrive lo scibile occidentale. Fede è quella volonta che opera in chi crede e in chi crede all'evidenza empirico-razionale. Da questo punto di vista aver fede in dio è qualcosa di " umano troppo umano" che accomuna originariamente anche chi dice di non aver fede. Chi ha fede deve per forza sostenere la non assolutezza di quello che va via via sostenendo ( sempre che abbia occhi per ricoscere il dispositivo trasformatore ) e chi non ha fede idem con patate.
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Messaggio Da ros79 Mer 18 Feb 2009 - 16:58

Comune mortale ha scritto:Ros quando diciamo che si ha fede, diciamo e ammettiamo la controvertibilità ( la non assolutezza ) di quello che si dice. Il credente che ha fede crede invece il contrario. E' convinto che attraverso la fede ( dal momento che dio è una verita non di ragione ) si è certi che dio esista. Invece deve dire che è proprio in virtu della fede che dio si palesa per qualcosa di dubitabile e incerto. Se dio fosse di per sè autoevidente sarebbe daccapo una verità di ragione ( la si intrpreterebbe in questo modo ) e allora non servirebbe piu la fede per credere in dio. E allora dio sarebbe oggetto della scienza. E' perchè il credente sa che dio è una semplice opinione che ricorre alla fede per trasformare. Per trasformare una semplice opinione o punto di vista in qualcosa di assoluto e certo. Severino chiama questo il far divenir altro le cose. E' certamente trasformare una opinione in qualcosa di certo e vero è essenzialmente un far divenir altro qualcosa. Quindi la fede come una sorta di super-volontà. Teniamo fermo questo punto e andiamo oltre.


Questa super-volonta che vuole trasformare le cose sta alla radice anche del pensiero per cosi dire scientifico-razionale. Non ne è immune. Si prenda una cosa come : " 1+1= 2" . Di sta cosa non si puo dire che è qualcosa di autoevidente. O meglio lo è all'interno di una radicale volontà interpretante. Una volonta che attribuisce a quel segno "1" un certo e determinato significato e senso che di per sè non è evidente. Non è autoevidente che il segno " 1" significhi una certa e determinata cosa. Quindi la fede come volonta trasformante è il tratto comune ed originario all'interno del quale si inscrive lo scibile occidentale. Fede è quella volonta che opera in chi crede e in chi crede all'evidenza empirico-razionale. Da questo punto di vista aver fede in dio è qualcosa di " umano troppo umano" che accomuna originariamente anche chi dice di non aver fede. Chi ha fede deve per forza sostenere la non assolutezza di quello che va via via sostenendo ( sempre che abbia occhi per ricoscere il dispositivo trasformatore ) e chi non ha fede idem con patate.
si e sono totalmente d'accordo con quello che dici e il mio solito discorso sulla realtà soggettiva verte sempre su questo concetto.
noi crediamo (per via di questa fede) di vedere ciò che è perchè così l'abbiamo interpretata ma è una traduzione quindi sempre controvertibile.
questa la fede senza religione.
la fede in ambito religioso vuole appunto levare ogni possibilità di non assolutezza non rendendosi conto che cadono in un paradosso a priori.

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Messaggio Da Comune mortale Mer 18 Feb 2009 - 17:14

si e sono totalmente d'accordo con quello che dici e il mio solito discorso sulla realtà soggettiva verte sempre su questo concetto.
noi crediamo (per via di questa fede) di vedere ciò che è perchè così l'abbiamo interpretata ma è una traduzione quindi sempre controvertibile.
questa la fede senza religione.
la fede in ambito religioso vuole appunto levare ogni possibilità di non assolutezza non rendendosi conto che cadono in un paradosso a priori.

Ben detto Ros. ok

Vedi Ros ( e qui volevo una tua riflessione come del resto di tutti ) il dire del credente trasforma qualcosa di controvertibile in qualcosa di non controvertibile. Di assoluto e certo. Il dire della scienza s'incammina nello stesso solco; e qui speriamo che non mi prendano per pazzo. Che cos'è certo di per se ? Che cosa c'è di certo, di assolutamente incontrovertibile di per se ? Piglia qualsiasi cosa e dimmi se è quella cosa indipendentemente dal nostro linguaggio e dalle nostra volonta interpretante. Certo mi si dira: " ma che vai dicendo la legge della gravità esiste al di fuori e prima della nostra volonta interpretante ! " Questo è vero dico io. E dico tuttavia ( è questo il tratto essenziale del mio discorso ) che cosa ne sarebbe delle leggi della natura scoperte dalla fisica senza il linguaggio interpretante della fisica e della matematica ? Cioe voglio dire è sempre la volonta interpretante che vuole che il numerico ( il linguaggio matematico ) significhi qualcosa ( il divenir altro ) nel mentre stabilisce dei rapporti tra eventi .
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Messaggio Da Ospite Ven 20 Feb 2009 - 12:46

Comune mortale ha scritto:
si e sono totalmente d'accordo con quello che dici e il mio solito discorso sulla realtà soggettiva verte sempre su questo concetto.
noi crediamo (per via di questa fede) di vedere ciò che è perchè così l'abbiamo interpretata ma è una traduzione quindi sempre controvertibile.
questa la fede senza religione.
la fede in ambito religioso vuole appunto levare ogni possibilità di non assolutezza non rendendosi conto che cadono in un paradosso a priori.

Ben detto Ros. ok

Vedi Ros ( e qui volevo una tua riflessione come del resto di tutti ) il dire del credente trasforma qualcosa di controvertibile in qualcosa di non controvertibile. Di assoluto e certo. Il dire della scienza s'incammina nello stesso solco; e qui speriamo che non mi prendano per pazzo. Che cos'è certo di per se ? Che cosa c'è di certo, di assolutamente incontrovertibile di per se ? Piglia qualsiasi cosa e dimmi se è quella cosa indipendentemente dal nostro linguaggio e dalle nostra volonta interpretante. Certo mi si dira: " ma che vai dicendo la legge della gravità esiste al di fuori e prima della nostra volonta interpretante ! " Questo è vero dico io. E dico tuttavia ( è questo il tratto essenziale del mio discorso ) che cosa ne sarebbe delle leggi della natura scoperte dalla fisica senza il linguaggio interpretante della fisica e della matematica ? Cioe voglio dire è sempre la volonta interpretante che vuole che il numerico ( il linguaggio matematico ) significhi qualcosa ( il divenir altro ) nel mentre stabilisce dei rapporti tra eventi .

....e qui torniamo al vecchio discorso già fatto dell'occhio e del microscopio e mi domando, ma soprattutto ti domando, sulla scorta di quanto hai appena affermato, come possiamo anche approssimativamente concepire la realtà come qualcosa di "vero" se sostanzialmente accettiamo l'idea che la nostra stessa comprensione è in definitiva la volontà di tradurre attraverso il mezzo che abbiamo scelto? In parole povere come possiamo affermare che ciò esiste?

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Messaggio Da ros79 Ven 20 Feb 2009 - 12:57

Comune mortale ha scritto:
Comune mortale ha scritto:
Citazione:
si e sono totalmente d'accordo con quello che dici e il mio solito discorso sulla realtà soggettiva verte sempre su questo concetto.
noi crediamo (per via di questa fede) di vedere ciò che è perchè così l'abbiamo interpretata ma è una traduzione quindi sempre controvertibile.
questa la fede senza religione.
la fede in ambito religioso vuole appunto levare ogni possibilità di non assolutezza non rendendosi conto che cadono in un paradosso a priori.


Ben detto Ros. ok

Vedi Ros ( e qui volevo una tua riflessione come del resto di tutti ) il dire del credente trasforma qualcosa di controvertibile in qualcosa di non controvertibile. Di assoluto e certo. Il dire della scienza s'incammina nello stesso solco; e qui speriamo che non mi prendano per pazzo. Che cos'è certo di per se ? Che cosa c'è di certo, di assolutamente incontrovertibile di per se ? Piglia qualsiasi cosa e dimmi se è quella cosa indipendentemente dal nostro linguaggio e dalle nostra volonta interpretante. Certo mi si dira: " ma che vai dicendo la legge della gravità esiste al di fuori e prima della nostra volonta interpretante ! " Questo è vero dico io. E dico tuttavia ( è questo il tratto essenziale del mio discorso ) che cosa ne sarebbe delle leggi della natura scoperte dalla fisica senza il linguaggio interpretante della fisica e della matematica ? Cioe voglio dire è sempre la volonta interpretante che vuole che il numerico ( il linguaggio matematico ) significhi qualcosa ( il divenir altro ) nel mentre stabilisce dei rapporti tra eventi .

Lucanfo ha scritto:
....e qui torniamo al vecchio discorso già fatto dell'occhio e del microscopio e mi domando, ma soprattutto ti domando, sulla scorta di quanto hai appena affermato, come possiamo anche approssimativamente concepire la realtà come qualcosa di "vero" se sostanzialmente accettiamo l'idea che la nostra stessa comprensione è in definitiva la volontà di tradurre attraverso il mezzo che abbiamo scelto? In parole povere come possiamo affermare che ciò esiste?

infatti. l'essere umano ha bisogno di punti fermi e ha cercato di trovarli con l'interpretazione. quello che si è dimenticato è che sempre di traduzione si tratta. le leggi della fisica esistono in quanto tali o perchè le abbiamo interpretate? io propendo (eufemisticamente) per la seconda.
ovvio questa è la visione relativistica per eccellenza (assurdo ideologico peraltro) ma è quella che a parer mio ci pone di fronte a noi stessi con una "sincerità" ed umiltà maggiore. non arriveremo mai ad una risposta, ma sempre a interpretazioni, noi stessi siamo il frutto di interpretazioni. se ci pensi bene qualsiasi nostro gesto è frutto di un punto di vista.

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Messaggio Da Comune mortale Ven 20 Feb 2009 - 21:25

....e qui torniamo al vecchio discorso già fatto dell'occhio e del microscopio e mi domando, ma soprattutto ti domando, sulla scorta di quanto hai appena affermato, come possiamo anche approssimativamente concepire la realtà come qualcosa di "vero" se sostanzialmente accettiamo l'idea che la nostra stessa comprensione è in definitiva la volontà di tradurre attraverso il mezzo che abbiamo scelto? In parole povere come possiamo affermare che ciò esiste?

Provo a dire la mia. In che senso la nostra conoscenza è vera ( E questa la domanda mi pare ) se la realtà è conoscibile attraverso una volontà interpretante ? Ho scritto che il fatto che noi siamo convinti che esista una realtà indipendente dai nostri sensi è fede istintiva. Con questo non nego affatto che una realtà indipendente dai nostri sensi non ci sia ( per carità non dico questo ) ma che ci sia è il frutto di una nostra fede istintiva suffragata da tonnellate di esperimenti e ragionamenti*. E il discorso dell'occhio e del microscopio. E che allora quella fede istintiva grazie ai ragionamenti ed esperimenti ci conduce all'accettazione di una realtà esterna ed indipendente da tutti noi studiata ad esempio dalla fisica, cosa che nell'ambito delle religioni non accede. Allora una proposizione è vera se descrive un determinato stato di cose. Se piove e dico che piove io dico il vero, in caso contrario dico il falso. Ritorna lucanfo al quesito che ponevo: c'è una realtà esterna all'uomo: sissignore! L'uomo la " scopre" o " la interpreta" per quella che appare ad esempio alla scienza fisica? Se noi sosteniamo che l'uomo scopre le leggi fisiche ( e certamente le cose, gli òn per i greci, gli essenti, che noi descriviamo sotto l'insegna di leggi fisiche c'erano prima dell'uomo) sosteniamo forse che il linguaggio fisico-matematico che c'è servito per scoprirle è qualcosa di oggettivo è immanente nella natura? E allora come la mettiamo con il fatto che il linguaggio matematico è pur sempre una gloriosa invenzione dell'uomo? Sono alcuni dubbi spero prolifici.

*Bertrand Russell nel suo libro I PROBLEMI DELLA FILOSOFIA sviluppa bene questa cosa facendo capire come quella fede istintiva è suffragata da fatti.
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