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Spinoza - libero arbitrio ed etica

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Messaggio Da Ludwig von Drake Ven 5 Giu 2009 - 11:17

Non solo è possibile costruire un'etica attraverso la critica del libero arbitrio, della finalità e del dover essere, ma è indispensabile passare attraverso questa critica. Non si può porre il problema dell'azione dell'uomo e delle sue possibilità, se si resta legati ad un concetto dell'uomo che lo definisce come un essere a parte nella natura, un essere che si ritiene abbia un potere di dominio su tutte le cose naturali, che si ritiene padrone di se stesso e, al tempo stesso, padrone dell'universo. Credo che in questa concezione di Spinoza si trovi un elemento di "modernità non moderna", di una critica lungimirante della modernità. Egli non accetta di formulare, come faceva Cartesio, un progetto, faustiano o prometeico, di dominazione della natura.

Per Spinoza partire dal libero arbitrio significa porre l'uomo al centro di tutto, significa considerare la coscienza, il rapporto immediato col corpo, il rapporto non riflesso con se stesso, come un principio, ignorando che quel tanto di azione, attività, che si attribuisce all'uomo, ha senso soltanto se si capisce cosa la determina, cosa la produce come effetto. Non può esserci liberazione dall’idea di una "causalità umana" se non con la comprensione della necessità. Da questo punto di vista, Spinoza è uno di quei pensatori che, prima di Hegel, prima di Marx, svilupperà l'idea che la libertà non può essere altro che la "comprensione della necessità" e che, di conseguenza, il nostro rapporto spontaneo con l'essere, il rapporto nel quale pensiamo di avere il dominio delle cose, il libero arbitrio, deve essere criticato in quanto rapporto immaginario con la realtà.

La critica a questa idea del libero arbitrio non implica la radicale svalutazione delle nostre percezioni, dei sentimenti, della sensibilità. Significa che si deve purificare il "rapporto con il mondo" per arrivare veramente a formarci un'idea adeguata del nostro posto in esso, della nostra stessa struttura naturale. Per Spinoza, la finalità, il libero arbitrio, la coscienza, sono l'illusione costitutiva dalla quale bisogna staccarsi per lasciare posto alla scienza e alla filosofia. Bisogna comprendere il sistema relazionale che individua e distingue l’uomo e, partendo da questo, costruire, produrre, in base alle nostre possibilità e condizioni, sistemi di vita adeguati per appropriarci dell'essenza delle cose. Tali sistemi adeguati sono anche degli schemi per intervenire ed operare nel mondo, il che ci permette di procurarci le cose di cui abbiamo bisogno, di costituire le reti della comunicazione e le basi della comunità.
In Spinoza è dominante l'idea che la conoscenza non sia mai conoscenza pura, che non esista una gnoseologia pura, in quanto questa si costruisce sempre sul fondamentale elemento del "rapporto col mondo", su quelle che possiamo chiamare "forme di vita" preconoscitive, sul rapporto immediato, esperienziale con le cose, prima dell’intervento della critica e della formazione di idee "adeguate". È quella che Spinoza definisce conoscenza del "primo tipo", la quale è legata ad un grado minimo di realizzazione del nostro desiderio d'esistenza, del nostro conatus essendi, ovvero dello sforzo per l’autoconservazione nell'essere. In questo caso, l’uomo è legato ad una situazione di passività, di eteronomia e di condizionamento, è parte passiva della natura, parte prodotta piuttosto che produttiva, attiva, e si trova quindi nell’impossibilità di realizzare le proprie capacità. C'è uno sviluppo parallelo della conoscenza e della capacità di vivere ed agire, nonché della vita affettiva, poiché ciò che corrisponde ad una conoscenza del primo tipo, cioè ad una situazione di passività del nostro corpo, dal punto di vista della vita affettiva è realmente un'esperienza nella quale il nostro potere d'esistere è sminuito, è dominato dal potere delle cause esteriori. Emerge, in questa situazione, il sentimento negativo per eccellenza, che tutto il pensiero materialista rifiuta: la tristezza, il dolore, la sofferenza.

Spinoza individua una specie di "storia modale" all'interno della sostanza infinita. Questa storia, rispetto alla totalità della natura-sostanza, è parziale, "interna". È nel suo corso, attraverso diverse modalità, che l’uomo può giungere alla formazione di idee adeguate e diventare, in certe condizioni e sotto certe forme, "ragionevole". Diventare ragionevoli non significa semplicemente comprendere la legge delle cose, comprendere i rapporti di reciproca appartenenza delle cose, ma significa anche dare al nostro corpo la possibilità di estendere le relazioni con altri corpi, di partecipare ad una natura comune; non esiste un dominio dell’uomo nell'appropriazione delle cose della natura. Si pone, a partire da qui, il problema dell'associazione, della comunicazione, con i corpi che ci somigliano, con altri corpi umani; questo implica, sul piano affettivo, la possibilità del passaggio dal sentimento della tristezza a quello della gioia, della trasformazione dei rapporti di eteronomia, di dipendenza, di schiavitù, in uno stato di liberazione, che è tale sempre soltanto all'interno, e per mezzo, della necessità.

EMSF

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Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
Don Chisciotte - Guccini

https://iltronodispade.wordpress.com/
Ludwig von Drake
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